Secondo i dati ufficiali dei Registri Telematici dell’Olio (RTO) pubblicati a luglio, al 30 giugno 2025 le giacenze complessive di olio in Italia ammontano a 176.529 tonnellate, ma meno della metà di quello detenuto è di origine italiana. Un segnale che allarma produttori ma anche i consumatori e che impone una riflessione sulla sostenibilità futura di un settore simbolo del Made in Italy.
Solo il 42,1% dell’olio commercializzato è italiano
Nel dettaglio, il 71,9% delle giacenze totali è rappresentato da olio extra vergine di oliva (EVO), per un totale di oltre 126.950 tonnellate. Ma all’interno di questa categoria di eccellenza, solo il 42,1% è effettivamente prodotto in Italia, pari a 53.518 tonnellate. Una quota inferiore rispetto a quella di olio EVO proveniente da altri Paesi europei (UE), che incide per il 47,2%, mentre il restante 10,7% è diviso tra olio di origine mista e extra UE.
Il dato risulta ancora più significativo se confrontato con quanto rilevato solo un mese prima: al 31 maggio 2025, la quota di EVO italiano era al 45,9%. In un solo mese, quindi, si è registrata una flessione di quasi 4 punti percentuali, che testimonia non solo la riduzione delle disponibilità italiane, ma anche la progressiva sostituzione con prodotto d’importazione.
Di quanto sono scese le giacenze in un mese
Il confronto tra fine maggio e fine giugno 2025 evidenzia un calo netto delle giacenze complessive: si è passati da 190.020 tonnellate a 176.529 tonnellate, con una riduzione di oltre 13.490 tonnellate in soli 30 giorni, pari a una flessione del 7,1%.
Nel dettaglio:
- l’olio EVO italiano ha perso circa 5.000 tonnellate (-8,6%);
- l’olio EVO di origine UE è sceso meno, di circa 2.200 tonnellate (-3,6%).
Questo significa che, pur in un contesto di generale calo delle scorte, il prodotto nazionale è quello che sta subendo la maggiore contrazione, con implicazioni economiche evidenti:
- da un lato, una probabile difficoltà di approvvigionamento da parte di frantoi e imbottigliatori;
- dall’altro, un’ulteriore pressione sui prezzi all’ingrosso.
Cosa ci dicono i dati
Questi numeri sono la spia di una crisi strutturale della produzione olearia italiana. Il mix di calo della produzione agricola interna, crescente incidenza dei costi di trasformazione e forte concorrenza internazionale sta progressivamente riducendo il peso dell’Italia come produttore e detentore del proprio olio.
Non si tratta solo di una questione di quantità. Il fatto che più della metà dell’olio EVO sul mercato italiano non sia prodotto in Italia mina alla base la credibilità della filiera, compresa quella a denominazione di origine (DOP e IGP), e rischia di confondere i consumatori.
Il clima impazzito, tra siccità prolungate al Sud e piogge anomale al Centro-Nord, ha ridotto drasticamente la produzione 2024-2025. Secondo le stime, la campagna olearia in corso segnerà una diminuzione del 20% rispetto alla media quinquennale. Questo ha reso necessario, per le aziende, ricorrere all’importazione per soddisfare la domanda interna, sia del mercato retail che dell’industria alimentare.
Il paradosso è evidente. L’Italia è tra i primi consumatori mondiali di olio EVO, ma sta perdendo la capacità di autosostenersi. Eppure, il valore dell’olio italiano sui mercati internazionali resta elevato, soprattutto grazie ai prodotti certificati. Questo significa che la domanda estera drena parte della produzione nazionale, lasciando spazio sul mercato interno all’olio comunitario – soprattutto spagnolo e greco – più economico ma spesso con standard qualitativi diversi.
La crescente dipendenza dall’estero non è solo un problema economico. È anche un rischio strategico, perché espone l’Italia a shock di prezzo, fluttuazioni nella disponibilità e alla perdita di know-how agricolo locale.