Solerzia alla scrivania, proattività e prontezza nel rispondere alle richieste dei superiori sono indici di serietà e attaccamento al lavoro. Ne beneficia sicuramente il rapporto di fiducia in azienda, ma attenzione a non esagerare perché potrebbe essere controproducente. Lo ha ricordato uno studio condotto all’estero, da due ricercatrici presso London Business School e Cornell University, che giunge a interessanti conclusioni generali e quindi valide anche per il lavoro in Italia.
Ci sono ben tre motivi che rivelano che, nel corso del tempo, l’iperattività nel rispondere alle mail di lavoro può concretamente penalizzare l’equilibrio vita privata-carriera. Una sorta di effetto boomerang derivante da un’abitudine diffusissima anche tra i lavoratori italiani.
Vediamo allora più da vicino che cosa hanno spiegato le due ricercatrici e perché, sul lavoro, è opportuno dosare i tempi delle proprie azioni, anche quando si accede alla propria casella di posta elettronica.
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Lo stress immotivatamente indotto dall’email urgency bias
La ricerca in oggetto è intitolata You don’t need to answer right away! Receivers overestimate how quickly senders expect responses to non-urgent work emails ed è stata pubblicata sulla rivista Organizational Behavior and Human Decision Processes. Le autrici, Laura Giurge (London Business School) e Vanessa Bohns (Cornell University), indicano che, in ufficio, i lavoratori tendono a sovrastimare le aspettative di risposta a un messaggio di posta elettronica.
Secondo il campione analizzato, il 76% dei lavoratori risponde alle mail entro un’ora, mentre circa uno su tre lo fa addirittura entro 15 minuti. Una velocità che forse sorprende, ma che è frutto di un meccanismo molto semplice: i destinatari delle email tendono a credere o auto-convincersi che i mittenti si aspettino risposte rapide anche per comunicazioni non urgenti, specialmente se inviate fuori dall’orario lavorativo.
Nello studio il fenomeno è definito email urgency bias e – spiegano le ricercatrici – può contribuire allo stress e compromettere il benessere psicologico anche di quel dipendente che – in un dato momento – non ha alcuna imminente scadenza calendarizzata e alcuna fonte esterna di affaticamento mentale (come ad es. un picco di lavoro). Chi invia la mail di lavoro solitamente tollera un tempo di risposta, ma l’email urgency bias porta a ignorarlo.
Il caso è frequentissimo: si pensi al dipendente che, magari in prossimità della fine della giornata lavorativa, riceva un messaggio dal suo supervisore con il solo oggetto “Avviso per la prossima settimana”. Anche se il contenuto non richiede una risposta immediata, il dipendente percepisce la necessità di rispondere prontamente, per non sembrare disinteressato. È un comportamento influenzato dall’email urgency bias e dai ritmi velocissimi della società odierna.
L’iperattività fuori orario
Non solo. Anche l’invio di email al di fuori dell’orario lavorativo può generare ansia nei destinatari, che si sentono obbligati a rispondere prontamente, anche quando il contenuto non è urgente. Questo comportamento – spiegano le due ricercatrici – contribuisce a una cultura del “sempre attivo”, che può portare a esaurimento emotivo e riduzione della motivazione al lavoro. Una sorta di autosabotaggio che potrebbe spegnere le energie ed essere altamente controproducente in vista di possibili picchi di lavoro.
L’esempio pratico è quello di un team di lavoro, che riceve frequentemente email dal proprio manager durante il fine settimana, spesso senza indicazioni chiare sulla necessità di una risposta immediata. Nonostante ciò, i membri del gruppo – forse convinti di rispondere a una logica di team building – si sentono obbligati a rispondere rapidamente, pur leggendo la comunicazione in un tranquillo sabato pomeriggio o una domenica mattina al mare.
Ebbene, anche in circostanze come queste – rimarcano Giurge e Bohns – il livello di stress viene aumentato inconsapevolmente e si direbbe quasi in modo autolesionistico, influenzando negativamente il benessere psicologico e aprendo il varco a un possibile burnout nel medio termine.
Mancanza di chiarezza sulle aspettative di risposta
Come accennato, le email possono non specificare chiaramente le tempistiche di risposta attese. Sul punto possono essere vaghe perché magari scritte di fretta dal superiore che, in quel momento, aveva anche altre cose da fare. Il caso tipico potrebbe essere quello di un caporeparto, che invia un’email a un collega con il messaggio “Fammi sapere quando hai un momento”.
Senza una scadenza specifica, il destinatario potrebbe sentirsi in dovere di rispondere rapidamente, anche se il contenuto non è urgente. Ebbene, prendersi un secondo in più di tempo per scrivere una semplice indicazione come “rispondere quando possibile”, potrebbe ridurre significativamente lo stress percepito da chi legge il messaggio e migliorare la loro esperienza lavorativa, evitando di sentirsi obbligati a rispondere con velocità.
Rispondere alla mail con equilibrio, l’insegnamento per i lavoratori
Lo studio citato evidenzia che la rapidità nella gestione delle comunicazioni digitali è diventata una norma diffusa negli ambienti di lavoro contemporanei. In alcuni ambienti quasi un dogma. Ma talvolta è soltanto la spia di un apparente efficienza.
Applicando gli esiti di questa ricerca alla dimensione del lavoro in Italia, paese in cui la questione del diritto alla disconnessione resta attuale, si palesa come le aspettative, più o meno implicite, di disponibilità immediata possono comunque influire negativamente sul benessere dei lavoratori che, per timore di essere percepiti come poco reattivi o poco professionali, finiscono per controllare la posta elettronica in modo compulsivo, interrompendo spesso le attività principali, riducendo la capacità di concentrazione e la produttività e aumentando i rischi di errore.
Per evitare dannosi equivoci o bias, sarebbe auspicabile che le aziende favoriscano una cultura che rispetti i confini tra vita privata e professionale, incoraggiando pratiche di comunicazione chiare e disambigue. Non è per forza necessaria una norma scritta di regolamento aziendale, ma è sufficiente una prassi condivisa, rispettata e rispettosa dei tempi e degli spazi di ciascuno. Va premiata non la velocità di risposta ma la sua qualità, senza prefigurare punizioni per chi invia una mail in modo non immediato.
I rischi per la salute
Lo studio pubblicato sulla rivista Organizational Behavior and Human Decision Processes spiega che, sebbene la proattività possa essere vista come un segno di serietà, è essenziale che aziende e dipendenti siano consapevoli delle potenziali conseguenze negative di un’eccessiva disponibilità via email, specialmente al di fuori dell’orario lavorativo.
Concludendo, non rispettare queste indicazioni può portare a una pressione costante e ingiustificata per rispondere subito alle email. Si crea una sorta di circolo vizioso, un meccanismo a catena che contribuisce a generare un senso di allerta cronica, interferisce con il riposo e impedisce di staccare mentalmente. Col tempo, l’accumulo di ansia e fatica mentale aumentano il rischio di esaurimento emotivo e demotivazione.
In sintesi, l’iperattività digitale senza limiti favorisce il burnout, proprio come lo favoriscono i casi di mobbing o le discriminazioni in ufficio.