I pensionati hanno precisi obblighi nei confronti dell’Inps e la sentenza n. 27572, emessa poche settimane fa dalla Cassazione Sezione Lavoro, lo conferma. Se l’ente previdenziale non viene informato di situazioni che incidono sul diritto o sull’importo della pensione, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate.
In particolare, la decisione riguarda un caso concreto: un pensionato che continuava a lavorare in nero, nascondendo all’Inps informazioni essenziali sulla propria situazione lavorativa. Cosa comporta questo importante provvedimento e a cosa devono prestare attenzione tutti i pensionati?
Indice
La vicenda esaminata dai giudici
Nel dettaglio, un pensionato aveva richiesto e ottenuto la pensione di anzianità, dichiarando di non svolgere alcuna attività lavorativa. In realtà, in quel periodo lavorava presso un’organizzazione sindacale senza contratto regolare e quindi senza far emergere l’occupazione né sul piano contributivo né su quello fiscale.
Una precedente sentenza passata in giudicato aveva accertato l’esistenza di questo rapporto di lavoro irregolare. Poiché non era stato tempestivamente comunicato all’Inps, l’ente non aveva potuto conoscere la reale situazione del pensionato. Da qui è nata una controversia giudiziaria tra il pensionato e l’Inps.
La Corte d’appello prima e la Cassazione poi hanno dato ragione all’istituto previdenziale, confermando il diritto a recuperare i ratei pensionistici versati indebitamente. Non solo: anche l’accredito della contribuzione figurativa, riconosciuto in relazione a un presunto distacco sindacale, è stato annullato. La contribuzione era stata infatti concessa sulla base di informazioni false: il pensionato non era mai stato assunto da un datore di lavoro per poi essere distaccato al sindacato, ma lavorava direttamente per quest’ultimo senza alcun contratto regolare.
Il principio della ripetibilità della pensione: che cosa dice la legge
La base normativa della pronuncia n. 27572 è contenuta nell’art. 13 della legge 412/1991, secondo cui:
L’omessa o incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall’ente competente, consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite.
In altre parole, il pensionato è sempre tenuto a comunicare all’Inps ogni evento che possa incidere sul suo trattamento previdenziale. Nel caso esaminato, l’uomo non aveva dichiarato il rapporto di lavoro in corso e, poiché quest’ultimo non era stato regolarmente registrato, tale omissione su un fatto determinante ha comportato l’obbligo di restituire le mensilità di pensione percepite indebitamente.
La difesa del lavoratore e la risposta della Cassazione
Il pensionato ha sostenuto di non avere colpe: per non perdere il posto di lavoro, non avrebbe potuto denunciare l’irregolarità del rapporto. Ma la Suprema Corte ha respinto questa tesi, precisando che l’uomo aveva comunque il diritto di pretendere la regolarizzazione del rapporto. In ogni caso, il danno arrecato all’Inps non poteva essere giustificato con il timore di ritorsioni da parte del datore di lavoro.
I giudici hanno infatti chiarito che il mancato esercizio di questo diritto rappresenta una scelta personale, priva di qualsiasi conseguenza sull’obbligo legale di trasparenza nei confronti dell’ente previdenziale.
Pertanto, quando viene accertata l’irregolarità di un rapporto di lavoro, la responsabilità di non averlo dichiarato all’Inps rimane a carico del pensionato. L’omessa comunicazione equivale a un occultamento di informazioni rilevanti, con la conseguente possibilità per l’ente di recuperare le somme già versate.
Contributi figurativi, quando non spettano
La sentenza della Cassazione affronta anche un altro aspetto rilevante: quello dei contributi figurativi, da distinguere da quelli volontari e che possono essere riconosciuti ai fini della pensione anticipata ordinaria. Nel caso specifico, il lavoratore aveva ottenuto l’accreditamento di contributi senza alcun versamento effettivo, per un presunto distacco sindacale.
Questo accreditamento era stato concesso dall’Inps sulla base di una ricostruzione errata dei fatti. In realtà, per tutto il periodo, l’uomo era stato alle dipendenze dirette del sindacato stesso, con una posizione assicurativa a suo carico. Una volta accertata l’assenza del presupposto per la contribuzione figurativa – ovvero il distacco sindacale – tale diritto non può essere considerato mai sorto, anche se l’Inps aveva inizialmente accreditato i contributi per errore.
Da parte sua, il lavoratore, essendo pienamente consapevole della situazione reale, non può invocare alcun diritto acquisito o affidamento legittimo: non può cioè sostenere di aver fatto affidamento in buona fede sulla validità di quei contributi, poiché sapeva che non si trattava di un autentico distacco sindacale. Di conseguenza, l’Inps ha legittimamente annullato l’accreditamento della contribuzione figurativa e il pensionato non ha alcun diritto a mantenerla.
Che cosa cambia
Andando oltre la portata del caso pratico risolto, la pronuncia 27572/2025 ha il merito di richiamare tutti alla responsabilità individuale e alla necessità di proteggere il buon funzionamento dell’intero sistema previdenziale.
Infatti, la decisione della Cassazione ribadisce un principio molto chiaro: il pensionato deve comunicare all’istituto di previdenza ogni circostanza che possa influire sul suo diritto (e misura) a percepire la pensione. Questo vale anche – e soprattutto – nel caso in cui l’attività svolta non sia regolare, o legalmente formalizzata.
Perciò non comunicare e nascondere informazioni essenziali, comporta non solo la restituzione delle somme indebite, ma può mettere in discussione anche il versamento di contributi ottenuti – sulla base di dichiarazioni incomplete o non veritiere.
Concludendo, chi percepisce una pensione – sia essa di anzianità, vecchiaia o altra prestazione – ha il dovere di informare correttamente l’ente previdenziale su qualsiasi attività lavorativa, o fatto rilevante, che possa “pesare” sul diritto alla prestazione. A maggior ragione se il rapporto di lavoro è irregolare, il pensionato resta tenuto a comunicare la propria situazione reale.
D’altronde, va da sé che la trasparenza verso Inps sia un dovere fondamentale del cittadino, che non può essere aggirato con giustificazioni legate alla natura del rapporto di lavoro, o a scelte discrezionali e squisitamente personali. E se la logica non è un’opinione, nessun beneficio può derivare da situazioni non corrispondenti alla realtà o da omissioni nei confronti delle istituzioni.