Pochi immigrati, poche donne, sempre meno lavoratori e sempre più pensionati. Questo, in estrema sintesi, il quadro a tinte fosche tracciato dal Cnel, che nel suo rapporto annuale ha analizzato lo stato di salute del mercato del lavoro in Italia.
L’Italia è di fronte a un bivio demografico che rischia di comprometterne lo sviluppo economico, con la popolazione in età lavorativa che va diminuendo in maniera preoccupante e l’aumento della popolazione anziana che grava sulle casse pubbliche.
Tali premesse minacciano la sostenibilità del sistema produttivo e del welfare nazionale. Ma invertire la rotta, viene spiegato nel report annuale su “Demografia e forza lavoro”, è ancora possibile.
Meno lavoratori, molti pensionati
L’ago della bilancia demografica si sposta sempre più verso i pensionati. Rispetto alla media Ue e a quella dei Paesi occidentali in generale, l’Italia ha uno dei peggiori indici di dipendenza degli anziani in Europa: oltre il 40%, pari a 14 punti circa sopra la media Ue27. Tale valore indica il rapporto tra la popolazione con almeno 65 anni e la popolazione fra i 15 e i 64 anni.
Le previsioni Eurostat indicano che tale indice potrebbe superare il 65% nei prossimi decenni. Anche l’indice di dipendenza economica (rapporto tra anziani inattivi e occupati) è ben oltre la media europea, superando il 60%.
Per restare in tema, lo scorso agosto uno studio della Cgia di Mestre evidenziava come già oggi, nel Mezzogiorno, il numero dei pensionati abbia superato quello dei lavoratori attivi. Il dato, naturalmente, non tiene conto del lavoro nero che sfugge alle statistiche.
Il problema principale non riguarda l’aumento della longevità, che è comune a tutte le economie avanzate, ma il decremento della popolazione in età da lavoro. In particolare i lavoratori uomini nella fascia d’età 35-49 anni, da sempre lo zoccolo duro della forza lavoro in Italia, sono crollati da 7 milioni nel 2014 a 5,7 milioni nel 2024.
Giovani e donne
Il declino demografico ha un impatto diretto sull’economia. Negli ultimi vent’anni, gli under 35 tra gli occupati sono passati dal 33% al 23%, mentre gli over 50 sono saliti dal 20% al 40%.
Anche il tasso di occupazione dei giovani e delle donne resta drammaticamente basso. Solo il 65% delle donne tra i 35 e i 49 anni è occupato, un dato che pone l’Italia in coda all’UE, 13 punti sotto la media. Ancora peggiore la situazione dei giovani: il tasso di occupazione della fascia 15-24 anni è al 20% (27% nel 2004), mentre quello della fascia 25-34 è al 68%, ben 10 punti sotto la media europea.
Compromesso il sistema Paese
Questo sbilanciamento generazionale mina la capacità del sistema produttivo di innovarsi e crescere. Inoltre, la riduzione della forza lavoro nella fascia centrale, tra i 35 e i 49 anni, compromette le entrate fiscali e mette sotto pressione la sostenibilità della spesa pubblica.
Le soluzioni
Le soluzioni proposte dal Cnel si sviluppano lungo una serie di direttrici: politiche pubbliche più incisive (come la transizione scuola-lavoro, fra le altre) e una maggiore capacità di coinvolgere giovani, donne e immigrati nel mercato del lavoro. Punti sui quali concordano anche Bankitalia e Fondazione Nord Est.
“Paradossalmente – spiega il report – proprio per il fatto di aver sottoutilizzato tali componenti l’Italia ha attualmente maggior margine di spinta positiva su occupazione e crescita economica. Una migliore valorizzazione da combinare anche con le opportunità, non scontate, offerte dalle nuove tecnologie”.