Quando l’azienda non è responsabile per l’infortunio del dipendente

Un infortunio sul lavoro è sempre colpa del datore? La Cassazione chiarisce i confini della responsabilità con un caso emblematico, ecco cosa cambia

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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I luoghi di lavoro nascondono talvolta imprevedibili insidie. In molti casi, invece i dipendenti sanno con esattezza – o dovrebbero sapere – quali sono i rischi che fronteggiano nello svolgimento delle mansioni contrattuali. E in caso di incidente nell’uso di un macchinario, con conseguente grave infortunio, non sempre il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere.

Lo ha chiarito recentemente la Cassazione penale, con la sentenza n. 22843 di quest’anno: l’azienda può essere assolta, restando esente da conseguenze legali, se l’imprudenza di un suo dipendente va oltre la soglia dei suoi poteri di controllo, tanto da creare un rischio assolutamente imprevisto e imprevedibile.

C’è un limite che, se superato, sposta l’ago della bilancia delle responsabilità. Vediamo allora più da vicino la vicenda e la decisione dei giudici di piazza Cavour.

Il caso concreto

La disputa giudiziaria prende le mosse da un pesante infortunio di cui è stato vittima un operaio neoassunto in una ditta, dopo essersi imprudentemente avvicinato – di sua spontanea iniziativa – a una macchina troncatrice dotata di sega nella zona di taglio. L’uomo subì l’amputazione della mano sinistra.

Seguì una causa legale contro la ditta e il giudice penale assolse il datore, ritenendolo non responsabile del reato di lesioni gravissime, aggravato dalla violazione delle regole per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Sulla scorta del d. lgs. 81/2008 su salute e sicurezza, non era bastato sostenere che il datore non avesse adeguatamente formato e informato la vittima dell’incidente che, peraltro, aveva iniziato a lavorare prima della firma del contratto di lavoro, avvenuta lo stesso giorno dell’infortunio.

Dalla ricostruzione dei fatti di causa era emerso che il dipendente era stato incaricato di restare nei pressi del macchinario, al quale risultava già assegnato un altro operaio esperto e a cui avrebbe dovuto passare del materiale per le lavorazioni. Inoltre, nella causa l’ispettore Spisal (Servizio Prevenzione Igiene Sicurezza Ambienti di Lavoro) aveva affermato che, per rimanere a distanza dal macchinario pericoloso in oggetto, non sarebbe stata necessaria alcuna previa formazione.

Il punto chiave è che il giudice ha valutato come estremamente imprudente e del tutto imprevedibile il comportamento del neoassunto, tanto da “scagionare” il datore da ogni responsabilità penale per violazione dell’obbligo di sicurezza.

L’evoluzione giurisprudenziale in materia di infortuni sul lavoro e il concetto di “area di rischio”

Il PM fece ricorso contro la sentenza e, presso i giudici di piazza Cavour, l’esito della disputa è stato ribaltato. Infatti, la Cassazione ha spiegato che – se il dipendente non è stato in precedenza formato e informato – il datore non può ritenersi esonerato dalla responsabilità, all’interno dell’area di rischio che gli compete. E questo anche in presenza di comportamenti del tutto imprudenti del lavoratore.

Per la Corte il ragionamento logico-giuridico del primo giudice era sbagliato perché escludeva ogni responsabilità penale del datore, per la mera libera iniziativa del dipendente che si era avvicinato sconsideratamente al macchinario.

La Cassazione ha ricordato l’evoluzione giurisprudenziale in materia e ha spiegato che:

è vero che – in materia di prevenzione antinfortunistica – si è passati da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori a uno “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (art. 20 d.lgs. n. 81/2008), che impone, dunque, anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia.

Il criterio di valutazione della responsabilità del datore non è più incentrato sull’irrilevanza tout court della condotta colposa del lavoratore, ma sul concetto di “area di rischio” che lo stesso datore è chiamato a valutare in via preventiva.

Il datore può essere colpevole anche quando il dipendente agisce imprudentemente

Questo vuol dire, spiega la Corte, che l’azienda può essere tenuta a rispondere penalmente al di là della regola di cui all’art. 20 della normativa antinfortunistica, che prevede una serie di obblighi specifici in capo al dipendenti.

La Cassazione ha così affermato che il datore non può chiamarsi fuori dalla responsabilità penale, qualora il dipendente abbia pur agito sconsideratamente e avventatamente, ma muovendosi in un “area di rischio”:

nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007).

Ecco perché la Cassazione ha ritenuto scorretto il ragionamento del tribunale, annullandone la sentenza.

Quando è esclusa la responsabilità penale del datore

Non solo. Per sgomberare il campo da ogni possibile dubbio, la Cassazione ha spiegato anche che il comportamento del dipendente esclude la responsabilità penale datoriale quando è alla base di un evento totalmente al di fuori dalla sfera di controllo dell’azienda e, in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, perciò, fuori da ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro.

La Corte chiarisce che la responsabilità va esclusa anche quando la condotta avventata del dipendente rientra nell’ambito delle mansioni, ma si sia tradotta in qualcosa che sia radicalmente diverso dalle attese modalità di esecuzione.

Per fare un esempio pratico dei possibili casi di esclusione, si pensi a un operaio addetto alla manutenzione elettrica che, senza alcuna ragione legata alle sue mansioni, decida autonomamente di salire su un’impalcatura instabile, non autorizzata e vietata dal regolamento interno, per recuperare un oggetto caduto, e cade procurandosi gravi lesioni.

In questo caso, l’azione è del tutto estranea alle mansioni affidate, non prevista né prevedibile, e posta in essere in violazione palese delle norme di sicurezza: rientra dunque nell’ambito dei comportamenti “abnormi” che rompono il nesso causale tra l’omissione datoriale e l’evento dannoso.

Che cosa cambia

Sostanzialmente, la sentenza 22843/2025 della Cassazione ha spiegato che il datore può essere penalmente responsabile del grave incidente del lavoratore, qualora quest’ultimo non abbia ricevuto le opportune e doverose istruzioni formative in merito all’utilizzo di strumenti e macchinari. Il rischio a cui va incontro il dipendente lo riguarda direttamente e può essere chiamato a rispondere anche in presenza di comportamenti imprudenti e avventati, pur rientranti però nella sfera di rischio, nel ciclo produttivo e nel perimetro prevedibile delle attività assegnate. La decisione è interessante e si inserisce in un filone su cui recentemente la Corte si è espressa anche in tema di attrezzature a noleggio.

La condotta del lavoratore è da ritenersi “abnorme” solo se fuori dalle mansioni o del tutto diversa da quanto ragionevolmente prevedibile, anche come gesto imprudente. L’uso del macchinario, pur avventato, era prevedibile, trattandosi di un contesto di lavoro ordinario.

Concludendo, è vero allora che nessuna delega a un collega esperto, nessun affiancamento e nessuna prassi aziendale può compensare o sostituire la necessità di investire sulla formazione e informare adeguatamente il (neo) dipendente.