Nel 2023, secondo i dati Istat, il valore complessivo dell’economia non osservata in Italia è stato pari a 217,5 miliardi di euro, in aumento del 7,5% rispetto al 2022. La quota sul Pil ha raggiunto il 10,2%, lievemente superiore al 10,1% registrato l’anno precedente. Con economia non osservata si indica l’insieme delle attività economiche che sfuggono ai controlli fiscali o statistici. Comprende sia l’economia sommersa, quindi attività regolari ma non dichiarate, sia quella illegale, che riguarda la produzione o il commercio di beni e servizi vietati dalla legge. Nell’economia sommersa rientrano i casi di sotto-dichiarazione dei ricavi, i compensi non dichiarati e l’utilizzo di lavoro irregolare. L’economia illegale, invece, include la produzione e lo spaccio di stupefacenti, i servizi di prostituzione e il contrabbando di tabacco.
Le componenti principali, sommerso e attività illegali
L’economia sommersa rappresenta la parte più consistente del fenomeno, con 197,6 miliardi di euro, pari al 9,2% del Pil. Di questi, circa 108 miliardi derivano da sotto-dichiarazioni di fatturato o costi e 77 miliardi dal lavoro irregolare. Altre componenti minori, come affitti non dichiarati e mance, valgono complessivamente 12,2 miliardi.
Le attività illegali, come traffico di droga, prostituzione e contrabbando, generano invece 20 miliardi di euro, circa lo 0,9% del Pil. All’interno di questa categoria, la quota maggiore proviene dal traffico di stupefacenti (oltre 15 miliardi), seguito dai servizi di prostituzione (circa 4 miliardi) e, in misura marginale, dal contrabbando di sigarette (mezzo miliardo).
Nel complesso, rispetto al 2022, il valore aggiunto del lavoro irregolare è cresciuto dell’11,3%, mentre la sotto-dichiarazione è aumentata del 6,6%. Le attività illegali hanno invece registrato un incremento contenuto, pari all’1%.

Il lavoro irregolare oltre 3 milioni di occupati
L’Istat stima che nel 2023 le unità di lavoro irregolari siano state 3 milioni e 132mila, in crescita di oltre 145mila unità rispetto al 2022 (+4,9%). L’aumento ha interessato in modo analogo sia i lavoratori dipendenti sia gli indipendenti.
Il tasso di irregolarità, che misura il rapporto tra lavoratori non regolari e occupati totali, è salito al 12,7%, interrompendo un calo che durava da cinque anni. L’incremento è dovuto alla crescita del lavoro non dichiarato, aumentato a un ritmo doppio rispetto a quello regolare (+4,9% contro +2,4%).
I settori più colpiti sono quelli dei servizi alla persona, del commercio, trasporti e ristorazione e delle costruzioni, dove il peso del lavoro irregolare supera la media nazionale. In agricoltura, la quota di lavoro non regolare è pari al 17,6%, mentre negli “altri servizi alla persona” arriva al 40,5%.
Dove si concentra il sommerso
L’incidenza dell’economia sommersa varia notevolmente tra i diversi settori. Secondo i dati Istat:
- nei servizi alla persona il sommerso rappresenta il 32,4% del valore aggiunto del comparto;
- nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione la quota è del 18,8%;
- nelle costruzioni si attesta al 16,5%.
Al contrario, il peso del sommerso è più contenuto nella produzione industriale (tra l’1% e il 3%) e nei servizi professionali e alle imprese, dove scende sotto il 6%.
Questa distribuzione evidenzia che le attività rivolte direttamente ai consumatori o basate su prestazioni individuali — come assistenza, pulizie o lavoro domestico — sono le più esposte al rischio di irregolarità.