Supportare le persone con disabilità e proteggerne i diritti sono obiettivi primari del legislatore. Per questo, oltre alla nota legge 104, esistono numerose altre regole di tutela e, nella vasta giurisprudenza italiana ed europea, troviamo sentenze che vanno nella stessa direzione.
Ne è un ulteriore esempio la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Ue dello scorso 11 settembre – causa C-38/24 – che ha ribadito un principio cardine: no alla discriminazione indiretta per lavoratori che assistono figli con disabilità. Vediamo insieme, in sintesi, la vicenda e la decisione, perché rappresenta un monito per la generalità dei datori di lavoro, anche in Italia.
Indice
La disputa giudiziaria in breve e l’iniziativa della Cassazione presso la CGUE
La sentenza è il frutto di un rinvio rinvio pregiudiziale della Cassazione, con cui quest’ultima – sospendendo la causa in corso – ha chiesto l’intervento dei giudici europei al fine di chiarire un “nodo” giuridico, riguardante la vicenda che era chiamata a valutare.
La disputa nacque dalla richiesta di una dipendente caregiver, operatrice di stazione di metropolitana, di avere l’assegnazione permanente a un posto con orari fissi, per poter accudire il figlio affetto da grave disabilità e invalidità totale. L’azienda aveva però previsto a suo favore solo accomodamenti temporanei e parziali, senza tutelarla con agevolazioni permanenti.
Sia in tribunale che in appello l’esito fu negativo per la donna, che pur sosteneva l’idea di essere stata vittima di una discriminazione indiretta sul luogo di lavoro, ossia di una disposizione, criterio o pratica apparentemente neutra ma in grado di produrre un effetto sfavorevole per una o più persone determinate, svantaggiate rispetto alle altre.
Le prime sentenze non diedero ragione alla lavoratrice caregiver, ma indicarono – anzi – che l’attuale legge italiana prevede forme di tutela, ma non nel modo specifico richiesto dalla donna e, più in generale, da tutti i dipendenti che assistono familiari con disabilità grave.
La causa continuò presso i giudici di piazza Cavour, che – come accennato – si rivolsero alla Corte di giustizia Ue per chiedere se il divieto di discriminazione indiretta di cui alla direttiva 2000/78/CE, andasse applicato anche ai dipendenti senza disabilità, qualora collegati a persone con disabilità (i familiari) e se l’azienda è obbligata a predisporre accomodamenti ragionevoli anche a favore dei caregiver, e non solo degli invalidi.
Per i giudici europei la tutela contro le discriminazioni indirette si applica anche ai dipendenti caregiver
La pronuncia della Corte europea ha chiarito la corretta applicazione – al caso che qui interessa – della direttiva Ue 2000/78 sulla parità di trattamento sul lavoro.
Ebbene, in linea generale, con la sua sentenza interpretativa del diritto dell’Ue, la Corte di Giustizia ha indicato due punti fermi nella delicata materia della tutela delle persone con disabilità:
- il divieto di discriminazione indiretta si applica anche ai lavoratori senza disabilità, che assistono figli con disabilità e, per questo, possono subire svantaggi rispetto al resto del personale;
- i datori sono tenuti a prevedere e attuare soluzioni ragionevoli per garantire la parità di trattamento, a patto che non comportino oneri sproporzionati.
In particolare, il concetto di discriminazione indiretta tutela anche i dipendenti caregiver che vivono in Italia, perché c’è un articolo nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – il n. 21 – che vieta ogni discriminazione legata all’invalidità. Non solo. Altri due articoli, il 24 e il 26, garantiscono i diritti dei minori e delle persone con disabilità e, ancora, varie disposizioni dell’importante Convenzione Onu del 2006, firmata a New York, allargano la tutela anche all’ambito familiare delle persone con disabilità, opponendosi palesemente ai rischi di discriminazione indiretta.
Il datore deve predisporre soluzioni idonee ad agevolare le esigenze di cura del lavoratore
Come rimarca la Corte europea, la citata direttiva impone a datori e aziende di disporre soluzioni idonee e accomodamenti ragionevoli anche nei confronti del caregiver, in modo che il figlio con disabilità non rischi in alcun modo una diminuzione delle essenziali cure familiari, per motivi di tempo od organizzativi.
Perciò, i giudici spiegano che queste misure possono concretizzarsi ad esempio:
- nell’assegnazione di orari fissi o nella stabilizzazione dei turni;
- nella riduzione o rimodulazione dell’orario di lavoro in funzione dell’esigenza di assistenza;
- nella riassegnazione a mansioni equivalenti compatibili;
- nella predisposizione di strumenti organizzativi flessibili (ad es. telelavoro/lavoro ibrido).
Non solo. La Corte indica altresì che la direttiva 2000/78:
non obbliga il datore di lavoro ad adottare misure che portino ad imporgli un onere finanziario sproporzionato. A tale proposito, dal considerando 21 di tale direttiva discende che, per determinare se le misure in questione diano luogo a oneri sproporzionati per il datore di lavoro, è necessario tener conto, in particolare, dei costi finanziari che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni.
In caso di disputa giudiziaria, i giudici nazionali dovranno valutare tutti questi elementi e il datore – per respingere le accuse di discriminazione indiretta – non potrà limitarsi a invocare generiche difficoltà organizzative, ma dovrà provare concretamente la sproporzione della misura richiesta dal dipendente caregiver.
Che cosa cambia
Con la pronuncia dello scorso 11 settembre, i giudici europei affermano l’ampia portata del divieto di discriminazione indiretta fondata sulla disabilità, che si applica – infatti – anche al lavoratore che non sia egli stesso disabile, ma caregiver. Quest’ultimo deve poter conciliare lavoro e cure familiari, nei limiti del sacrificio non sproporzionato per il datore pubblico o privato, che dovrà valutare i vari rischi di discriminazione indiretta derivanti da regole organizzative in apparenza neutre (reperibilità, straordinari, permessi, ferie, turnazioni ecc.).
Al fine di evitare possibili contestazioni, il datore dovrà anche attivare procedure interne e veloci per le richieste preferibilmente scritte – dei caregiver, che favoriscano il dialogo delle parti e che valutino con attenzione le effettive esigenze del dipendente. Qualora dai superiori arrivi un no, sarà preferibile offrire una chiara motivazione sulle soluzioni valutate e scartate.
In ogni caso, il lavoratore che ritenga di aver subito una discriminazione indiretta, potrà ricorrere al giudice del lavoro per farla eliminare e ottenere una compensazione economica (anche possibile per i danni morali).
Concludendo, a seguito della pronuncia europea, la Cassazione potrà riprendere il processo e decidere la causa seguendo l’interpretazione fornita. E non a caso, nella decisione si indica che – alla luce di tutte le precisazioni offerte – spetta, comunque, al giudice del rinvio valutare se il soddisfacimento della richiesta della lavoratrice di beneficiare di orari fissi e permanenti, costituiva effettivamente un peso sproporzionato per il suo datore di lavoro, ai sensi dell’art. 5 della direttiva 2000/78. Quello delle tutele dei lavoratori caregiver è e resta un tema caldo, come dimostra anche la recente sentenza sulla legge 104.