Scuola, troppi precari a tempo determinato: la UE bacchetta ancora l’Italia

L'istruzione pubblica espone l'Italia agli attacchi della Commissione UE, che ora deferisce una pluriennale questione alla Corte UE. Problemi noti e possibili soluzioni

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 9 Ottobre 2024 05:00

Scuola è ancora sinonimo di lavoro precario e con poche prospettive di stabilizzazione nel futuro? Secondo le istituzioni comunitarie sì, visto che recentemente il nostro paese è stato deferito dalla Corte di Giustizia UE per abuso dei contratti precari e per le disparità di trattamento economico a danno dei supplenti annuali di lungo corso, rispetto ai docenti di ruolo.

Come indicato dalla Cgil, su un totale di quasi un milione di lavoratori del settore nell’anno scolastico 2024/25 saranno circa 250mila i lavoratori precari insegnanti e ATA, che presteranno servizio nelle scuole italiane.

L’annuncio dell’accennato deferimento, da parte della Commissione europea, giunge direttamente da Bruxelles e rappresenta l’ulteriore conferma della situazione del sistema scolastico italiano, che meriterebbe di essere riveduta e corretta quanto prima.

Vediamo più da vicino gli ultimi sviluppi in ambito comunitario, ma cogliamo anche l’occasione per cercare di capire quali correttivi potrebbero essere apposti, per evitare nuovi problemi con Bruxelles.

Il perché del deferimento alla Corte di Giustizia UE

Tra fragilità del sistema delle supplenze, frequenza irregolare dei concorsi nel settore, numero insufficiente di posti di ruolo, instabilità normativa, mobilità territoriale e ritardi nelle assegnazioni, non c’è da stupirsi del campanello d’allarme fatto suonare dalla Commissione UE.

La combinazione dei fattori appena visti, infatti, fa sì che tantissimi insegnanti e lavoratori scolastici passino anni in una condizione di precarietà, aspettando un incarico stabile o di una “chiamata” che possa finalmente assicurare loro la stabilità economica e professionale.

Ecco perché la Commissione ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia europea, ritenendola responsabile di non aver dato una efficace soluzione alla pluriennale questione dell’abusivismo dei contratti a termine e delle condizioni di lavoro discriminatorie, a tutto danno degli insegnanti precari.

Più nel dettaglio, secondo la Commissione, l’Italia – violando apertamente le previsioni di cui alla direttiva del Consiglio 1999/70/CE – non ha disposto le regole necessarie per impedire la disparità di condizioni di lavoro e il ricorso abusivo a contratti a tempo determinato successivi.

Le lacune della legislazione italiana

Ma in che cosa, nel dettaglio, il nostro paese non è in regola con gli standard comunitari? Questi i due punti chiave:

  • la legislazione italiana che stabilisce la retribuzione dei docenti a tempo determinato nelle scuole pubbliche, non disciplina anche una progressione salariale fondata sull’anzianità di servizio. Tale mancanza rappresenta una discriminazione rispetto ai docenti di ruolo, assunti a tempo indeterminato, che hanno invece diritto a questa progressione del salario;
  • non rispettando il diritto europeo, l’Italia non ha preso provvedimenti adatti a reprimere alla fonte l’uso irregolare e abusivo di contratti a tempo determinato, a discapito del personale ATA (amministrativo, tecnico e ausiliario) nelle scuole pubbliche. Questo fatto contrasta con il diritto comunitario in tema di lavoro a tempo determinato.

Il decreto Salva Infrazioni non basta

L’iter UE in oggetto non è iniziato in tempi recentissimi. Infatti vero è che, nel luglio 2019, la Commissione europea aveva avviato la procedura di infrazione con l’invio di una lettera di costituzione in mora all’Italia, seguita da un’altra lettera di costituzione in mora nel dicembre 2020 e da un parere motivato nell’aprile dello scorso anno. Ma evidentemente le iniziative comunitarie non sono finora bastate ad appianare la situazione.

Poco tempo fa l’Esecutivo aveva tentato di evitare ulteriori passi delle istituzioni comunitarie, varando il decreto Salva Infrazioni, e in particolare una norma che raddoppia l’indennizzo in ipotesi di abuso di contratti a termine per i precari della pubblica istruzione. La nuova regola modifica l’art. 36 del d. lgs. 165/2001, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

In virtù della novità la somma – domandabile da chi ha alle spalle almeno un triennio di contratti atipici – potrà essere compresa tra le 4 e le 24 mensilità (dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr) e sarà fissata in rapporto alla:

  • quantità di contratti a termine;
  • durata del rapporto;
  • gravità della violazione.

Sarà il giudice incaricato a stabilire l’effettivo importo dell’indennità in oggetto e il bacino dei potenziali beneficiari che, lo ricordiamo, è costituita dagli insegnanti e dal personale ATA che hanno superato i 36 mesi di servizio con contratti a termine.

Tuttavia, questa disposizione non è bastata a risolvere una questione aperta da anni. La tesi di fondo è che non è sufficiente punire gli abusi nei rapporti di lavoro, ma bisogna prevenirli alla fonte. Il decreto Salva Infrazioni, secondo i sindacati, non mirerebbe anche a ridurre il numero dei precari della scuola, riformando con lungimiranza il meccanismo di reclutamento dei prof.

Ricapitolando, la suddetta decisione di deferire alla Corte UE la questione dell’abusivismo dei contratti a termine settore scuola, dà quindi seguito alle contestazioni di cui al parere motivato della stessa Commissione. Evidentemente, secondo quest’ultima, la risposta del nostro paese non ha dissipato le preoccupazioni di Bruxelles, ritenendosi doveroso l’intervento della Corte.

Che cos’è il deferimento alla Corte di Giustizia UE

Abbiamo finora parlato di deferimento alla Corte UE, ma che cosa significa in sintesi? Con questa espressione ci si riferisce, semplicemente, a quello strumento legale messo in atto per assicurare che gli Stati membri rispettino il diritto dell’Unione Europea.

Pertanto, se un paese UE non rispetta i propri obblighi – derivanti dai trattati UE – o non recepisce correttamente la legislazione comunitaria nell’ordinamento nazionale, la Commissione ha il potere di deferire la questione alla Corte di Giustizia, chiedendo di fatto l’intervento di quest’ultima per risolverla e, se del caso, prendere provvedimenti a carico dello Stato membro inadempiente. Sostanzialmente, il deferimento è uno degli strumenti più efficaci in mano alla Commissione per garantire l’applicazione uniforme del diritto comunitario nell’Unione.

Il deferimento si ha dopo la citata fase preliminare, in cui la Commissione ha inviato la lettera di messa in mora all’Italia (con successivo parere motivato). Non essendosi allineata a quanto richiesto da Bruxelles, come detto lo step ulteriore è stato il deferimento alla Corte di Giustizia. Quest’ultima ora esaminerà il caso e deciderà se imporre sanzioni al nostro paese.

Possibili soluzioni Anief al problema scuola

Il precariato è la vera spina nel fianco della scuola pubblica. Mancanza di programmazione a lungo termine, contratti temporanei, a tempo determinato e eccessivo ricorso alle supplenze non fanno il bene del sistema scolastico nel suo complesso, e danneggiano anche la qualità dell’insegnamento – con studenti che molto spesso non possono contare su un rapporto durevole e fruttuoso con i prof.

Da notare che l’età media di ingresso nel ruolo è pari a 45 anni. Ciò colloca gli insegnanti italiani tra i più “anziani” del continente, con oltre la metà del corpo docente sopra i 50 anni, contro una media OCSE uguale al 37%.

Ma la complessità del sistema del reclutamento non è il solo problema. Secondo i sindacati – anche a causa delle politiche di contenimento della spesa pubblica – finora sono mancati investimenti adeguati nel settore dell’istruzione, con il risultato per cui le scuole sono frequentemente costrette a fare affidamento su un numero crescente di lavoratori precari per fronteggiare la richiesta di insegnamento.

Anief – Associazione Nazionale Insegnanti e Formatori raccomanda di attuare un doppio canale di reclutamento, costituito da concorsi ordinari e graduatorie per titoli ed esperienza per i docenti con un lungo periodo di precariato. Per l’Associazione ciò andrebbe incontro alle richieste della Commissione UE, insieme alla piena attuazione del principio di non discriminazione che vorrebbe lo stanziamento di risorse straordinarie per la scuola.

Tra nuove immissioni in ruolo e riforma del reclutamento, le proposte Cgil

Per la Cgil, la decisione del deferimento alla Corte di Giustizia UE, rispecchia semplicemente una condizione sollevata frequentemente in questi anni. Il maggior sindacato italiano sollecita all’immissione in ruolo di tutti i prof e su tutti i posti vacanti e disponibili, facendo lo stesso per il personale ATA (con stabilizzazione dei posti di sostegno).

La critica di questo sindacato si focalizza sull’aspetto economico visto che, dal punto di vista dei salari, le risorse per il rinnovo del contratto sono ritenute al momento non soltanto insufficienti per procedere all’equiparazione tra personale a tempo determinato e a tempo indeterminato, ma anche non contribuiscono a rispondere al problema del tasso d’inflazione e del carovita.

Ecco perché proprio come Anief, anche Cgil rimarca l’esigenza di immettere in ruolo il più possibile, su tutti i posti vacanti e disponibili, dando finalmente un orizzonte concreto di prospettive certe.

Concludendo, soltanto con un ambizioso piano di stabilizzazione pluriennale, con la riforma del reclutamento e dei concorsi pubblici per l’insegnamento (e relativo snellimento delle procedure), con la ciclicità delle selezioni, il potenziamento dell’organico stabile e la revisione del sistema delle supplenze, l’Italia potrà finalmente allinearsi agli obiettivi UE evitando di esporsi nuovamente agli attacchi della Commissione europea.