Superare tutte le prove di un concorso pubblico, dopo aver fatto regolarmente domanda, dovrebbe sempre garantire la firma del contratto di lavoro e l’agognato posto nella PA. I casi pratici che finiscono sotto la lente dell’opinione pubblica, però, dimostrano che non sempre è così.
Una pubblica amministrazione può negare l’avvio dell’esperienza lavorativa, perché la persona da assumere è sieropositiva? La domanda riserva una risposta che vogliamo approfondire, visto che il diritto al lavoro di un giovane concorsista era stato prima negato e poi, invece, affermato da una sentenza della magistratura – emessa quest’anno.
Vediamo insieme come sono andate le cose e che tipo di tutela lavorativa esiste in Italia, per le persone affette da Hiv.
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La vicenda e la discriminazione per sieropositività
Circa una dozzina di anni fa, un giovane si era candidato a un concorso della sanità in cui, a seguito delle prove effettuate, si era distinto per un ottimo piazzamento in graduatoria. Il posto di lavoro sembrava assicurato, fino alla doccia fredda. Contagiato dall’Hiv – virus che colpisce seriamente il sistema immunitario dell’essere umano – è stato incluso tra i vincitori della selezione operatori sanitari. Il tutto indetto da uno degli ospedali di Catania (recentissima è quella per 138 posti di infermiere). L’uomo si era trovato di fronte a una inaspettata porta sbarrata dalla stessa PA datrice di lavoro.
Nelle procedure immediatamente anteriori all’avvio dell’attività di lavoro – e in particolare dopo i controlli medici di rito – l’uomo ha dovuto subire un trattamento penalizzante e pregiudiziale collegato alla sua infezione. Uun responsabile della struttura sanitaria ha infatti ritenuto, senza dover svolgere alcun tipo di istruttoria, di presumere la sua inidoneità fisica. perché era venuto a sapere della condizione di sieropositività.
Un vero e proprio caso di discriminazione sul lavoro, contro cui però la vittima – dopo vari mesi di profonda delusione e smarrimento – ha avuto la forza di reagire. Ha presentato ricorso prima al tribunale e poi alla corte d’appello. Quest’ultima, alcune settimane fa, ha dichiarato l’effettivo danno psicologico ed economico subito dal giovane, che peraltro aveva legittimamente agguantato un posto nell’ambito sanitario.
Oltre al danno anche la beffa di ricevere un ingiustificato rifiuto a lavorare da parte di un ambiente che, per primo, dovrebbe sapere che il virus Hiv, pur responsabile dell’Aids, non è pericoloso per la collettività. In particolare, non lo è in un comune ufficio.
I giudici riconoscono reintegro e risarcimento danni
La volontà di chiedere giustizia, come accennato, ha prevalso. Anche perché il giovane, all’epoca, viveva e lavorava in Lombardia ma si era licenziato per coltivare il sogno, poi avveratosi, di vincere un concorso nella sua città di origine.
Non è mancato perciò il coraggio, e specialmente non è mancato in fase d’appello quando – assistito dai suoi legali – l’uomo ha puntato dritto a un pieno risarcimento dei danni patiti per più anni, a causa dell’ingiustificata e discriminatoria mancata assunzione.
In primo grado, invece, il giudice del lavoro ne aveva ordinato il reintegro – oggi lavora in un’area non chirurgica dell’ospedale – perché era stato accertato che contro il concorsista era stata male interpretata una sentenza della Corte Costituzionale del 1995.
Se questa è stata la prima vittoria ottenuta nell’aula di un tribunale, la sentenza dell’appello di Catania è stata la seconda vittoria, quella decisiva per ottenere finalmente – dopo anni di attesa – piena giustizia. A suo favore infatti è stato accordato un adeguato ristoro economico, che tiene anche conto della violazione della riservatezza effettuata dalla struttura pubblica – e quindi anche del GDPR e del Codice della Privacy.
La tutela del lavoratore nelle norme costituzionali e di legge
Ovviamente la vittoria del lavoratore ha trovato fondamento nella legge e nella Costituzione. All’art. 3 di questo fondamentale testo viene, infatti, affermato il principio di uguaglianza e quindi il divieto di discriminazioni in riferimento a condizioni individuali, come lo stato di salute.
Al contempo, il d. lgs. n. 216 del 2003 – relativo alla parità di trattamento dei lavoratori – e, per quanto qui interessa, già prima la legge n. 135 del 1990 (recante un programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’Aids) – affermano e ribadiscono il divieto di discriminare i lavoratori in base alla disabilità o a ragioni sanitarie.
L’unico limite alla tutela è che le condizioni di salute impediscano – di fatto – l’adempimento delle mansioni richieste. Ma nella vicenda in oggetto il lavoratore non costituiva alcun rischio sanitario, né per i colleghi né per il reparto in cui avrebbe poi lavorato. Da ricordare anche che, recentemente, un altro caso di discriminazione in struttura ospedaliera ha riguardato una giovane donna.
Che cosa cambia
Le sentenze di tribunale e appello sono importanti sotto un duplice profilo. Anzitutto, il candidato poi risultato vincitore al concorso dell’ospedale di Catania, ha potuto giovarsi del reintegro sul posto del lavoro e – successivamente – del risarcimento accordato dal giudice d’appello. Ma a ben vedere, questo provvedimento giudiziario ha un valore di ammonimento in relazione a una pluralità di possibili casi simili.
La pubblica amministrazione non può opporsi all’assunzione di chi è sieropositivo, a meno che non riesca a provare un pericolo reale e concreto per i colleghi di lavoro o per gli utenti del servizio (in questo caso sanitario).
Concludendo, la condizione di sieropositività non può essere paragonata a una inidoneità e la sentenza in oggetto è di avvertimento per tutti i datori di lavoro di ambito pubblico, ma anche di aiuto a tutti coloro che rischiano o possono rischiare una discriminazione per motivi legati allo stato di salute. Negare l’assunzione a una persona sieropositiva, significherà esporsi all’iniziativa in tribunale di quest’ultima, con la probabile – se non certa – vittoria (e conseguente risarcimento economico e morale e reintegro in ufficio).