Detassazione buste paga, via libera in Manovra ma non per i lavoratori

Alla Manovra 2026 approda una proposta che prevede la detassazione del 10% sui rinnovi contrattuali, ma restano esclusi i dipendenti pubblici

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

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In Manovra arriva un pacchetto dal valore di 2 miliardi di euro per l’aumento delle buste paga dei lavoratori. Si tratta di una detassazione del 10% degli aumenti previsti dai rinnovi dei contratti tra il 2026 e il 2028. In questo modo si prevede una crescita quasi netta in busta paga.

L’aumento è però previsto solo per i dipendenti privati, escludendo una platea di circa 3 milioni di lavoratori del settore pubblico. Proprio questo fattore escludente potrebbe portare alla messa in discussione del detassamento. Al momento è quindi più corretto parlare di proposta, più che di una misura certa.

Detassamento degli aumenti previsti dai rinnovi contrattuali

Nella Manovra 2026 potrebbe essere confermata all’ultimo momento dal Governo una misura che riduce la tassazione dei rinnovi contrattuali. Per quanto non sia ancora definitiva, visti i problemi che potrebbe scaturire con l’esclusione dei dipendenti pubblici, è giusto dare credito alla proposta messa sul tavolo.

Il primo aspetto che emerge è la possibilità di un aumento degli stipendi quasi netto sui rinnovi. Sarebbero già stati calcolati il costo e le risorse necessarie. La proposta vale infatti circa 2 miliardi di euro e punta a risolvere il problema del fiscal drag, ovvero quando i salari crescono per effetto dei nuovi contratti, ma le tasse si “mangiano” gran parte di quell’aumento, lasciando pochi euro netti in busta paga.

Come funziona la detassazione dei rinnovi?

Da quello che è possibile estrapolare dalla proposta giunta fino al tavolo di discussione della Manovra, si tratterebbe di una tassazione separata del 10% sugli aumenti da rinnovo contrattuale per i lavoratori privati. Il triennio preso in considerazione è quello 2026-2028.

Nel pratico, se il contratto collettivo riconosce un aumento di 100 euro lordi, con l’attuale tassazione in busta paga oggi arriverebbero tra i 60 e i 65 euro netti (a seconda dello scaglione Irpef). Ma con la tassazione separata del 10%, in busta paga arriverebbero 90 euro netti.

In altre parole, la misura punta non tanto ad alzare gli stipendi, quanto a ridurre le tasse sui futuri aumenti. Ma c’è un problema: l’esclusione dei dipendenti pubblici.

Chi resta escluso dall’aumento in busta paga

Nei prossimi giorni si terranno ulteriori riunioni al tavolo della Manovra 2026 e il tema dell’esclusione dei dipendenti pubblici potrebbe diventare motivo di cancellazione della misura o, auspicabilmente per i lavoratori pubblici, di ampliamento della platea. Al momento i lavoratori pubblici, circa 3 milioni, restano esclusi.

L’incentivo fiscale infatti vale solo per i contratti privati, escludendo per esempio scuola, sanità e dipendenti dei ministeri.

Per i lavoratori pubblici, però, gli aumenti sono già stati finanziati fino al 2030. Nel 2024 l’inflazione è scesa più del previsto, quindi gli aumenti già decisi risultano leggermente superiori all’inflazione reale. Si tratta di un piccolo vantaggio per i lavoratori pubblici, che però restano penalizzati rispetto ai privati nel caso la detassazione al 10% non si estenda anche alla loro categoria.

Cosa rischia chi non rinnova i contratti

Sempre nella bozza della misura di detassazione è presente uno scenario che va a penalizzare i datori di lavoro che non rinnovano i contratti entro tre anni dalla scadenza. Dal 2026, se non dovesse avvenire questo passaggio, i datori di lavoro saranno obbligati ad aumentare automaticamente le retribuzioni del valore dell’inflazione (fino al 5%).

L’azienda sarà quindi obbligata, anche se il contratto non viene rinnovato con quegli aumenti previsti, ad adeguare gli stipendi all’inflazione. Si tratta di un meccanismo di pressione sui datori pensato per sbloccare la contrattazione, ormai ferma da anni.