Perché il Decreto flussi non funziona e cosa sospetta il Governo: l’esposto di Meloni

Giorgia Meloni vuole cambiare il Decreto flussi: cosa prevede il ritorno alla legge Bossi Fini sull'immigrazione

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha presentato un esposto alla procura nazionale antimafia riguardo ai dati dell’ultimo Decreto flussi. Secondo l’esecutivo, solo una piccola percentuale delle persone extracomunitarie arrivate in Italia su richiesta delle aziende ha poi effettivamente ottenuto un contratto di lavoro. La situazione è però nota da anni, come confermato da diversi report, e il decreto flussi si è già dimostrato nel 2023 uno strumento inadatto a rispondere alle richieste delle aziende italiane.

Il Decreto flussi agisce nel contesto della legge Bossi Fini, che regola l’immigrazione in Italia. Si tratta di una legge molto restrittiva e il Decreto flussi stesso è uno dei pochi modi per entrare legalmente nel nostro Paese. Negli anni però si è dimostrato piuttosto uno strumento per sanare posizioni già esistenti o, come sospetta il governo, un mezzo per regolamentare arrivi altrimenti irregolari. Giorgia Meloni vorrebbe tornare alla Bossi Fini originale, che impedisce quasi ogni arrivo regolare da Paesi che non fanno parte dell’Unione europea.

L’esposto di Meloni sul Decreto flussi e il problema dei contratti di lavoro

Il Governo, per voce della stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha espresso preoccupazione per alcuni dati legati all’ultimo Decreto flussi. La premier, durante una conferenza stampa che avrebbe dovuto essere dedicata al Decreto sanità, ha sottolineato la grande discrepanza tra le persone entrate regolarmente in Italia tramite questo strumento e quelle che poi sono effettivamente state assunte dalle aziende che avevano fatto richiesta.

“Dato ancora più preoccupante è che a fronte del numero esorbitante di domande di nulla osta, solo una percentuale minima degli stranieri che hanno ottenuto il visto per ragioni di lavoro in base al decreto flussi ha poi effettivamente sottoscritto un contratto di lavoro. In Campania, meno del 3% di chi entra con un nulla osta sottoscrive poi un contratto di lavoro” ha dichiarato Meloni, mettendo in luce il caso della Campania.

Il numero di richieste proveniente da questa regione all’ultimo click day del Decreto flussi è infatti stato altissimo. 157mila in tutto i posti di lavoro che le aziende campane avrebbero voluto coprire con profili di persone provenienti dall’estero. La sola città di Napoli avrebbe presentato più domande di nulla osta che le regioni Veneto ed Emilia Romagna sommate.

Il sospetto del Governo è che il Decreto flussi stia fungendo da canale dell’immigrazione clandestina che arriva in Italia. Gli imprenditori farebbero richiesta, otterrebbero il nulla osta tramite il click day e poi non offrirebbero i contratti promessi alle persone portate in Italia, che finirebbero per scomparire nell’irregolarità finendo a rischio sfruttamento anche da parte di organizzazioni criminali. Per questa ragione l’esecutivo ha presentato un esposto alla procura nazionale antimafia, che però non può aprire inchieste indipendentemente. Dovrà quindi a sua volta, eventualmente, trasmettere gli atti a una delle procure competenti.

I dati del Decreto flussi non sono però nuovi, come aveva sottolineato il dossier Ero Straniero nel 2023. In quell’anno infatti soltanto il 23,5% delle persone entrate in Italia tramite l’atto amministrativo che regola i flussi migratori regolari era poi stato assunto dall’azienda che l’aveva richiesto. La ricerca, sostenuta da Action Aid, A buon diritto onlus, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Fondazione delle Chiese evangeliche in Italia, Oxfam, Arci, Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza, Cild, Casa della carità e Radicali italiani, aveva analizzato quello che definiva il “Flop della lotteria degli ingressi”:

“Il governo ha finalmente parlato di dati ‘allarmanti’ relativi agli ingressi per lavoro in Italia e che, in alcuni passaggi, sembra proprio citare il nostro report, come quando afferma che esiste uno scarto significativo tra il numero di ingressi in Italia per motivi di lavoro e i contratti di lavoro che vengono poi effettivamente stipulati” hanno dichiarato i sostenitori della campagna che ha redatto il rapporto.

Perché il Decreto flussi non funziona

In Italia la legge che regola l’immigrazione è la cosiddetta Bossi Fini, del 2002, firmata dall’allora segretario della Lega Nord e da quello di Alleanza Nazionale, partito di cui Fratelli d’Italia è erede. Si tratta di una norma molto restrittiva, con porzioni anche molto contestate a livello internazionale, come la politica dei respingimenti in mare. Sostituì la Turco Napolitano, anch’essa restrittiva ma firmata in un momento di crisi migratoria senza precedenti per l’Italia, con i primi flussi via mare provenienti dall’Albania. La Bossi Fini permette in sostanza di arrivare in Italia esclusivamente se si ha già un contratto di lavoro con un’azienda che opera sul territorio del nostro Paese. L’eccezione a questa regola è il Decreto flussi.

Ogni anno il Governo può stabilire, tramite un atto amministrativo che quindi non richiede l’approvazione del Parlamento, un numero di visti disponibili per le aziende italiane che vogliono assumere un lavoratore da far arrivare dall’estero. Si tratta dei cosiddetti decreti flussi, che prevedono però altre limitazioni. Ad esempio i datori di lavoro che vogliono assumere una persona dall’estero devono assicurarsi che, nella propria zona, non ci siano lavoratori italiani o stranieri regolari disponibili per quella posizione. Questo sistema presenta però diversi problemi emersi negli anni.

Il primo è la modalità di distribuzione dei permessi. Non ci sono graduatorie o analisi delle necessità delle aziende che fanno richiesta del nulla osta, ma un semplice click day. Esistono un numero di posti disponibili e l’unico criterio di assegnazione è la velocità di richiesta. Questa caratteristica non sarebbe un problema se ci fossero poche richieste, ma dall’Italia ogni anno arrivano regolarmente più richieste di quante effettivamente il Governo ne metta a disposizione.

Nel 2023 originariamente erano stati previsti 83mila posti, a fronte di più di 280mila domande. Nel 2022 i posti erano poco più di 60mila, le domande oltre 450mila. Lo scorso anno, data l’enorme quantità di richieste, erano stati aggiunti 40mila posti supplementari. Anche ipotizzando che solo il 25% delle richieste portino effettivamente a un contratto di lavoro, come suggerisce il rapporto Ero Straniero, i nulla osta forniti sarebbero comunque a malapena sufficienti. Il Governo aveva anche presentato il piano per l’arrivo di oltre 400mila immigrati regolari nei prossimi 3 anni, la metà del fabbisogno previsto dagli imprenditori.

Lo stesso concetto del nulla osta ha poi una falla. L’imprenditore, in teoria, dovrebbe già conoscere il suo lavoratore, che si trova all’estero, in Paesi anche molto lontani dall’Italia. Dovrebbe quindi assumerlo senza averlo mai visto e avendo verificato prima che per quel posto di lavoro non ci sia a disposizione nessun altro lavoratore già presente in Italia. Una situazione che tenderebbe a far diventare il Decreto flussi una sanatoria. Le persone che dovrebbero arrivare in Italia sono in realtà già nel nostro Paese da irregolari e le loro posizioni vengono regolarizzate grazie a questa misura.

Il ritorno alla legge Bossi Fini originale e le conseguenze per il mondo del lavoro

I problemi principali del Decreto flussi sono quindi la mancanza di criteri e la bassa disponibilità di posti. La presidente del Consiglio ha dichiarato di voler cambiare il funzionamento di questi provvedimenti alla luce dei dati emersi. Stando a quanto dichiarato però, il programma del Governo sarebbe quello di un ritorno alla visione originale della legge Bossi Fini:

“Con il Gruppo tecnico di lavoro abbiamo fatto una ricognizione solo sui due decreti flussi varati da noi, ma è ragionevole ritenere che le stesse degenerazioni si trascinassero da anni e mi stupisce che nessuno se ne sia reso conto.Noi modificheremo i tratti operativi che hanno portato a queste storture, e lo faremo nel rispetto del principio che ispirò la legge Bossi Fini che ha regolamentato il fenomeno in questi anni, cioè consentire l’ingresso in Italia solo a chi è titolare di un contratto di lavoro” ha dichiarato Giorgia Meloni.

Il Governo intende quindi tornare alla Bossi Fini originale. Secondo questa legge quindi, potrà entrare in Italia soltanto chi ha già un contratto di lavoro. L’imprenditore dovrebbe quindi andare in un Paese extra Ue, trovare un candidato per la posizione che ha aperto, sottoporlo a colloquio, fargli firmare un contratto di lavoro, fargli ottenere un permesso di soggiorno e solo allora portarlo nel nostro Paese.

Una procedura che rende complicatissima l’immigrazione regolare in Italia, in un mercato del lavoro che ha dimostrato di avere un grande bisogno di manodopera. La stessa premier il 3 luglio 2023 all’assemblea generale di Assolombarda dichiarò che in Italia ci fossero: “2 milioni di posti di lavoro vacanti per mancanza di profili adeguati“. Una cifra che, stando ai dati dell’Istat e a quelli delle stesse aziende, è piuttosto alta rispetto alla realtà. I posti vacanti in Italia sono circa mezzo milione e soltanto la metà per mancanza di profili adeguati.

Rimangono comune 250mila posti di lavoro che le aziende non riescono a coprire con i profili presenti in Italia. Le ragioni possono essere varie, dalla poca competitività dei salari nel nostro Paese, l’invecchiamento della popolazione fino all’effettiva mancanza di competenze. L’Italia è sempre uno degli Stati europei con il numero più basso di laureati, il 29% contro il 34% della media Ue.  L’immigrazione è una soluzione, anche se non l’unica, a questo problema, che si manifesta in moltissimi settori.