Badge, i minuti dalla timbratura del cartellino al tornello vanno pagati: lo dice la Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che deve essere considerato come orario di lavoro il tragitto che va dalla timbratura del cartellino fino al tornello

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 30 Maggio 2024 08:00

La corte di Cassazione ha stabilito che i dipendenti hanno diritto a ricevere una retribuzione per i minuti impiegati nelle attività precedenti e successive alla prestazione lavorativa. La sentenza è stata emessa nei confronti di Telecom, costretta a pagare oltre 1.500 euro a tre lavoratori per il tempo trascorso “dalla timbratura del cartellino al tornello posto all’ingresso al completamento della procedura di log in e di 5 minuti giornalieri quale tempo effettivo di lavoro dal completamento della procedura di log out fino alla timbratura del cartellino al tornello all’uscita”.

La disponibilità del lavoratore va retribuita

Il pronunciamento della Corte di Cassazione si basa sulla normativa vigente relativa all’orario di lavoro, in particolare sul Dlgs 66/2003 e sulle direttive comunitarie 93/104 e 203/88. La Corte ha confermato che il tempo impiegato per operazioni obbligatorie preliminari e successive alla prestazione lavorativa deve essere considerato orario di lavoro retribuibile. La Suprema Corte ha ribadito che “il tempo retribuito richiede che le operazioni anteriori o posteriori alla conclusione della prestazione di lavoro siano necessarie e obbligatorie”.

La Cassazione ha sottolineato l’importanza di considerare non solo “il tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro”.

È stato affermato che l’intero arco temporale trascorso all’interno dell’azienda per attività preparatorie e accessorie deve essere retribuito, a meno che il datore di lavoro non possa dimostrare che il dipendente fosse libero di autodeterminarsi.

Secondo la Cassazione, è considerato “orario di lavoro l’arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all’interno dell’azienda nell’espletamento di attività prodromiche e accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli, ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico”.

Così, per esempio, è stato considerato orario di lavoro il tempo impiegato dai dipendenti di una acciaieria per raggiungere il posto di lavoro, dopo aver timbrato il cartellino marcatempo alla portineria dello stabilimento, e quello trascorso all’interno di quest’ultimo immediatamente dopo il turno. Il datore di lavoro è tenuto a pagare anche il tempo di vestizione per quei lavori nei quali c’è bisogno di un cambio di abbigliamento.

La sentenza sui tempi del cartellino

La Corte territoriale, spiega la decisione, ha seguito tale impostazione avendo considerato “necessario e obbligatorio” il tragitto dall’ingresso fino alla postazione di lavoro, così come “ogni altra attività preliminare (…) ai fini del log in e, dopo, ai fini del log out”. La struttura organizzativa dell’azienda e la collocazione delle postazioni di lavoro, decise dal datore di lavoro, rendono questi tempi necessari e retribuibili.

Nel caso della Telecom “è la datrice di lavoro che ha deciso come strutturare la propria sede; dove collocare la postazione di lavoro dei ricorrenti ed il percorso da effettuare; è la datrice di lavoro che ha assegnato ai ricorrenti mansioni svolgibili solo tramite una postazione telematica ed ha quindi provveduto a scegliere il tipo di computer che ha ritenuto più opportuno e ne ha determinato con puntualità la procedura di accensione necessaria all’uso della stessa determinando così anche i tempi necessari; è la datrice che ha deciso che all’orario esatto di inizio turno i ricorrenti debbano essere già innanzi alla propria postazione già inizializzata e pronta all’uso”.