“Non basta piantare alberi per risolvere il cambiamento climatico”

In occasione della Giornata degli alberi Francesco Sottile, professore di Arboricoltura all'Università di Palermo, spiega l'importanza della pianificazione forestale nella lotta al cambiamento climatico

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Alessandro Mariani

Giornalista green

Nato a Spoleto, dopo una laurea in Storia e una parentesi in Germania, si è stabilito a Milano. Ha avuto esperienze in radio e in TV locali e Nazionali. Racconta la società, con un focus sulle tematiche ambientali.

Per la Giornata nazionale degli alberi, Qui Finanza Green ha incontrato il prof. Francesco Sottile, ordinario di Arboricoltura all’Università di Palermo, per capire qual è il vero ruolo degli alberi nel mitigare il cambiamento climatico.

Professore, in che modo gli alberi contribuiscono alla mitigazione del cambiamento climatico?

Gli alberi, ma ancora meglio tutti gli organismi vegetali, hanno una forte relazione con l’anidride carbonica, perché sono capaci di assorbirla dall’atmosfera attraverso le foglie nello svolgimento di quel processo straordinario che si chiama fotosintesi clorofilliana che comporta l’assorbimento di anidride carbonica e il rilascio in atmosfera di ossigeno, solo dopo aver recuperato quel carbonio che serve per svolgere tutti i processi metabolici indispensabili per la sua crescita. Se la specie è arborea, buona parte del carbonio sequestrato rimane nella struttura dell’albero, se la specie è erbacea ed è priva di strutture legnose, buona parte del carbonio sequestrato e non utilizzato dalla pianta finisce nel suolo.

Perché è importante concentrarsi non solo sulla quantità, ma anche sulla qualità degli alberi piantati?

C’è l’idea diffusa che attraverso gli alberi si possa risolvere il problema della elevata concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ma è evidente a tutti, e forse oggi molto più ai giovani, che non è sufficiente piantare alberi per risolvere un problema di così vasta portata soprattutto. Bisogna prima attivare importanti processi di mitigazione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera.

Gli alberi possono quindi darci una mano certamente, ma solo se noi avremmo giocato il nostro ruolo, attraverso una consistente diminuzione della quantità di anidride carbonica e di gas climalteranti che liberiamo in atmosfera con i nostri stili di vita non sostenibili. In ultimo è chiaro che non si tratta semplicemente di quantità di alberi piantati, ma della necessità di avere infrastrutture verdi (quindi con una complessità molto maggiore della semplice presenza di alberi) in grado di manifestare una elevata efficienza fotosintetica. Dobbiamo parlare dell’albero giusto per ogni luogo, affinché la relazione pianta ambiente possa dare grande valore al lavoro fatto dai vegetali anche a beneficio degli altri esseri viventi.

Lei ha evidenziato che piantare miliardi di alberi senza un progetto preciso potrebbe essere dannoso. Potrebbe spiegarci quali sono i principali rischi associati alla forestazione senza una corretta pianificazione?

Un albero, così come qualsiasi infrastruttura vegetale, è una risorsa per l’ambiente e per tutti gli esseri viventi, uomo incluso. Detto questo, abbiamo per l’appunto bisogno dell’albero giusto per ogni contesto ambientale, abbiamo bisogno che sia rispettata la relazione tra pianta e ambiente e questo si può fare soltanto se si guarda alla nostra biodiversità e al valore che essa esprime all’interno degli equilibri ecosistemici. Una pianta sbagliata può diventare per la società più un peso che un valore, poiché diventa esigente dal punto di vista della manutenzione e può manifestare una scarsa efficienza fotosintetica, con conseguente riduzione del ruolo ecologico. Un albero sbagliato, ed esempio, può manifestare un’attività vegetativa scadente e quindi essere più soggetto al rischio di incendi.

Ce ne sono altri?

Un albero sbagliato può avere una minore capacità di ancoraggio al terreno, con una minor capacità di contenimento del rischio idrogeologico e allo stesso tempo una minore funzione di contenimento del rischio erosivo. Ancora, un albero sbagliato può anche essere soggetto ad abbattimento in condizioni climatiche avverse, con forte rischio per gli altri alberi e per la società. Quindi abbiamo bisogno di cercare l’albero giusto per ogni luogo in cui si decida di piantare. Molti anni fa si parlava di vocazionalità ambientale, di relazione stretta tra vegetali e ambiente. Forse sarebbe il caso di restituire valore a questo approccio, di imparare di nuovo a non trascurare queste relazioni che fanno il successo della vita degli alberi e possono mettere davvero a valore il contributo ecologico che le specie vegetali possono dare alla conversione climatica oggi necessaria.

Come la gestione sostenibile del suolo può contribuire all’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra?

Questa è una domanda molto importante, perché permette di mettere in evidenza quanto sia riduttivo oggi pensare che solo gli alberi possono rappresentare uno strumento di contrasto alla concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. Io continuo infatti a parlare di infrastrutture verdi, cioè di quella condivisione e convivenza tra sistemi vegetali arborei, arbustivi ed erbacei, tutti in collaborazione tra loro, per garantire il mantenimento della fertilità del suolo. Il ruolo del suolo nel contrasto al cambiamento climatico è estremamente importante, perché il suolo, grazie alla sua rete di microrganismi molto diversificata, rappresenta un serbatoio di carbonio che, quando lasciato intatto, permette di sequestrarne quantità rilevanti. Avere un suolo permanentemente inerbito significa avere infrastrutture vegetali in grado di sequestrare carbonio dall’atmosfera e, tutto o in parte, di trasferirlo nel suolo.

Che ruolo abbiamo noi come individui?

A noi esseri umani tocca semplicemente saper rispettare questo carbonio del suolo, riconoscendo il valore ecologico svolto dalle infrastrutture vegetali ed evitare quanto più possibile di essere causa di una nuova emissione di carbonio dal suolo in atmosfera, soprattutto attraverso lavorazioni continue e modificazione dell’uso di suolo. Gli ultimi dati di ISPRA dimostrano quanto sia inderogabile l’esigenza di una legge in grado di contrastare il consumo di suolo su scala nazionale, per evitare la continua cementificazione ma anche la perdita di suolo dovuta a perdita di fertilità a causa di modelli agricoli industriali non più sostenibili.

Forestazione cambiamento climatico
Fonte: 123RF
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In che modo possiamo garantire che le iniziative di piantare alberi in alcune zone del globo non si scontrino con la deforestazione in altre parti del mondo?

Solo attraverso lo studio dei contesti diversificati e con chiari obiettivi da raggiungere si può fare tesoro delle risorse che oggi si rendono disponibili per mitigare la crisi climatica. Il clima non ha confini politici e quindi la visione non può essere chiusa all’interno di un territorio politicamente definito senza guardare alle relazioni geografiche. Non si può pensare ad una strategia siciliana che non tenga conto del contesto mediterraneo, non si può pensare ad una strategia italiana che non tenga conto di una strategia europea e così via.

Bisogna superare la sfida del sovranismo e provare a costruire realmente una interlocuzione in grado di mettere sul campo strumenti efficaci che tengano conto delle specificità territoriali, che tengano conto delle specificità agricole e culturali, che tengano conto di obiettivi che devono essere strutturali e quindi non necessariamente immediati. Bisogna immaginare una strategia di medio-lungo periodo, in grado di garantire un’inversione della tendenza drammatica che stiamo vivendo e quindi un avere propria conversione ecologica piuttosto che transizione.

Quindi, piantare alberi di per sé serve a poco?

Allo stesso tempo, prima di pensare di piantare alberi per lavarci la coscienza del nostro comportamento insostenibile, dovremmo invece immaginare come agire per mitigare il nostro impatto, dovremmo tutti insieme condividere su scala globale la necessità di smetterla di tagliare alberi soprattutto in quella parte del mondo in cui gli alberi costituiscono i cosiddetti polmoni del pianeta. Continuare ad essere complici della distruzione della foresta amazzonica quali consumatori di prodotti che direttamente o indirettamente sono legati alla deforestazione rappresenta un modo per non contribuire alla soluzione della crisi climatica.

Quali sono le sfide principali in questo contesto?

Ecco, quindi, che la sfida è quella di comprendere che ciascuno di noi nella propria quotidianità può giocare un ruolo significativo, attraverso i propri consumi e attraverso le proprie scelte che però richiedono un impegno di consapevolezza che metterebbe a frutto, per una volta, il fatto di essere homo sapiens capace di discernere ed operare scelte importanti.

Qual è la situazione in Italia?

Il nostro Paese deve probabilmente prendere atto della necessità di contribuire in modo significativo alla conversione ecologica. L’agroecologia, richiamata delle strategie europee della Farm to Fork e della Biodiversità 2030, è un modello ormai inderogabile basato su principi che garantiscono una produzione di cibo in piena relazione con gli ecosistemi e quindi in pieno equilibrio con gli altri esseri viventi. Non è più accettabile, infatti, un’idea di produzione agricola indifferente rispetto all’impronta lasciata nel territorio, negli ecosistemi, nell’ambiente.

Cosa deve fare in più, o di diverso, il nostro Paese?

Il nostro pianeta vive di una relazione tra ambiente atmosferico e ambiente pedologico e questa relazione è innegabilmente mediata dalle specie vegetali. Non abbiamo quindi bisogno di mettere sul tavolo un gran numero di alberi da piantare, ma dobbiamo guardare a una strategia ben definita che tenga conto della presenza delle specie vegetali nelle città e della conservazione delle aree rurali e nelle aree forestali.

Tutto ciò richiede una visione strategica, una definizione accurata degli obiettivi che un Paese, in una visione globale e non chiusa ai propri confini, deve stabilire per tutelare i propri cittadini e cittadini del mondo. Su questo il nostro Paese potrebbe essere pioniere, svolgere un ruolo esemplare, ma deve partire dalla consapevolezza che qualunque azione di conversione ecologica può determinare costi di natura economica che sono certamente molto inferiori ai guadagni su scala ambientale. Soprattutto a beneficio dei nostri figli che non ci perdoneranno comportamenti basati su ignavia e insipienza.