Italiani sonnambuli, in fuga e paurosi di tutto. La fotografia annuale del Censis

Sonnambuli: ciechi dinanzi ai presagi. Così il Censis sembra vedere gli italiani, oggetto anche quest’anno del 57° Rapporto sulla situazione sociale del Paese

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Sonnambuli e ciechi dinanzi ai presagi. Così il Censis sembra vedere gli italiani, oggetto anche quest’anno del 57° Rapporto sulla situazione sociale del Paese.

L’istituto di ricerca osserva che alcuni processi economici e sociali, i cui effetti sono ampiamente prevedibili, sembrano essere esclusi dall’agenda collettiva del Paese o vengono comunque sottovalutati. Nonostante il fatto che questi processi avranno un impatto devastante sulla stabilità del sistema, l’incapacità di affrontare i presagi oscuri si traduce in una colpevole irresolutezza. La società italiana sembra essere afflitta da un sonnambulismo, immersa in un sonno profondo privo del calcolo razionale necessario per affrontare dinamiche strutturali con esiti potenzialmente nefasti.

Il crollo demografico

Nonostante le proiezioni indicano una perdita complessiva di 4,5 milioni di residenti in Italia entro il 2050, equivalenti alla scomparsa delle due città più grandi, Roma e Milano, la società sembra ignorare questa realtà. La flessione demografica sarà caratterizzata da una diminuzione di 9,1 milioni di persone con meno di 65 anni, di cui 3,7 milioni sotto i 35 anni, e da un contemporaneo aumento di 4,6 milioni di persone con 65 anni e oltre, di cui 1,6 milioni con 85 anni e oltre.

L’effetto di questa dinamica demografica si rifletterà in una carenza di quasi 8 milioni di persone in età lavorativa entro il 2050. Questa mancanza di lavoratori avrà inevitabilmente un impatto sul sistema produttivo e sulla capacità del Paese di generare valore.

Il Censis sottolinea che il sonnambulismo non può essere attribuito solo alle classi dirigenti, ma è diffuso nella “maggioranza silenziosa” degli italiani. Questi si trovano resi più vulnerabili dal disarmo identitario e politico, tanto che il 56% (il 61,4% tra i giovani) ritiene di avere scarsa influenza nella società. Con un profondo senso di impotenza, il 60,8% (il 65,3% tra i giovani) sperimenta una grande insicurezza dovuta ai numerosi rischi imprevisti. Delusi dalla globalizzazione, il 69,3% ritiene che abbia arrecato più danni che benefici all’Italia. Inoltre, l’80,1% (l’84,1% tra i giovani) è convinto che l’Italia sia irrimediabilmente in declino, mostrando una rassegnazione diffusa.

L’ansia e paura per ogni cosa: dal clima alla guerra, fino al lavoro

L’84% degli italiani vive nell’ansia a causa del clima “impazzito, mentre il 73,4% teme che i problemi strutturali irrisolti del paese possano scatenare una grave crisi economica e sociale nei prossimi anni, con diffusa povertà e violenza. Per il 73%, gli sconvolgimenti globali porteranno a una crescente pressione migratoria sull’Italia, e si teme l’incapacità di gestire l’arrivo massiccio di persone in fuga da guerre o a causa dei cambiamenti climatici. Il 53,1% ha paura che il colossale debito pubblico possa causare il collasso finanziario dello Stato.

Il ritorno della minaccia bellica ha generato nuovi allarmi, con il 59,9% degli italiani che teme lo scoppio di un conflitto mondiale che coinvolgerà anche l’Italia. Il 59,2% ritiene che il paese non sia adeguatamente preparato a difendersi da attacchi terroristici di stampo jihadista, mentre il 49,9% è convinto che l’Italia non sarebbe in grado di difendersi militarmente in caso di aggressione da parte di un nemico. Il 38,2% vede crescere un’aversione verso gli ebrei nella società.

Anche il futuro del welfare suscita grandi preoccupazioni nell’immaginario collettivo: il 73,8% teme che in futuro non ci saranno abbastanza lavoratori per sostenere il sistema pensionistico, mentre il 69,2% crede che la sanità pubblica non sarà in grado di garantire a tutti cure adeguate. L’istituto sottolinea che questi scenari ipotetici paralizzano anziché mobilizzare risorse per trovare soluzioni efficaci, generando un’inerzia diffusa tra i “sonnambuli” di fronte alle complesse sfide della società contemporanea.

Ma c’è interesse per i diritti civili

C’è un settore nel nostro Paese che resta attivo, anzi vibrante, e rivendica i diritti civili. Il Censis ha raccolto queste rivendicazioni, evidenziando un divario significativo tra il paese reale e la politica. Infatti, il 74% degli italiani si esprime a favore dell’eutanasia, il 70,3% sostiene l’adozione da parte dei single, mentre il 54,3% si esprime a favore dell’adozione da parte delle coppie omosessuali. Il 65,6% si schiera a favore del matrimonio egualitario tra persone dello stesso sesso, e addirittura il 72,5% sostiene lo ius soli. Tuttavia, solo una minoranza, ben al di sotto del 50%, approva la gravidanza per altri, con il 34,4%.

Temi che il Parlamento sembra ignorare o ostacolare, e questo atteggiamento è alla base della crescente disaffezione dei cittadini nei confronti della politica. Il divario tra le posizioni della società civile e le azioni del governo contribuisce a una percezione di distacco e alienazione da parte dei cittadini, che vedono le loro richieste ignorate o non adeguatamente rappresentate nel dibattito politico.

Sempre meno giovani

La distanza esistenziale tra i giovani di oggi e le generazioni che li hanno preceduti sembra essere profonda. Attualmente, gli individui tra i 18 e i 34 anni sono poco più di 10 milioni, rappresentando solo il 17,5% della popolazione totale. Nel 2003, questa fascia d’età superava i 13 milioni, costituendo il 23% della popolazione. In vent’anni, si è verificata una perdita di quasi 3 milioni di giovani. Le proiezioni per il futuro sono altrettanto negative, con una previsione che nel 2050 gli individui tra i 18 e i 34 anni saranno poco più di 8 milioni, appena il 15,2% della popolazione.

Questo ridotto numero di giovani si traduce in un limitato peso demografico, facendoli percepire come una generazione con poca influenza. Ad esempio, soltanto l’11,1% dei 7.786 sindaci attualmente in carica (860 in totale) ha al massimo 40 anni. La maggioranza degli italiani riconosce che i giovani sono attualmente la generazione più penalizzata: il 57,3% la pensa così, mentre il 30,8% ritiene che siano soprattutto danneggiati coloro che si trovano nell’età di mezzo, e l’11,9% crede che siano gli anziani a essere lasciati indietro.

Espatriati e esuli: in fuga verso l’altrove

Il nostro Paese continua a essere principalmente un Paese di emigrati, con più di 5,9 milioni di italiani attualmente residenti all’estero, corrispondenti al 10,1% della popolazione residente in Italia. In contrasto, la componente di immigrazione vede 5 milioni di stranieri residenti nel nostro Paese, pari all’8,6% della popolazione residente in Italia.

Negli ultimi dieci anni, gli italiani che si sono stabiliti all’estero sono aumentati del 36,7%, rappresentando un incremento di quasi 1,6 milioni di individui. Un tratto distintivo dei flussi migratori più recenti è l’incremento significativo della componente giovanile. Nel corso dell’ultimo anno, gli espatriati sono stati 82.014, di cui il 44% ha un’età compresa tra 18 e 34 anni (36.125 giovani). Considerando anche i minori accompagnati dalle loro famiglie (13.447), si raggiunge il numero di quasi 50.000 unità, rappresentando il 60,4% di tutti gli espatriati nell’ultimo anno. Inoltre, il peso dei laureati tra gli expat tra i 25 e i 34 anni è notevolmente aumentato, passando dal 33,3% nel 2018 al 45,7% nel 2021.

Il Censis considera questo fenomeno come “un drenaggio di competenze” che non si può considerare positivo o auspicabile nel contesto della circolazione dei talenti, soprattutto considerando che il saldo migratorio dei laureati appare costantemente negativo per il nostro Paese.

Gli anziani di domani, sempre più soli e più vecchi

Attualmente, gli anziani rappresentano il 24,1% della popolazione complessiva, e si prevede che nel 2050 aumenteranno di 4,6 milioni, raggiungendo il 34,5% della popolazione totale. Gli anziani futuri saranno caratterizzati da una crescente tendenza a essere senza figli e soli. Il numero medio dei membri delle famiglie è destinato a diminuire da 2,31 nel 2023 a 2,15 nel 2040. Le coppie con figli diminuiranno, rappresentando solo il 25,8% del totale delle famiglie nel 2040, mentre le famiglie monoparentali raggiungeranno 9,7 milioni, costituendo il 37,0% del totale. Tra queste, quelle composte da anziani costituiranno quasi il 60% nel 2040, pari a 5,6 milioni.

Nel 2021, gli anziani con gravi limitazioni funzionali erano 1,9 milioni, corrispondenti al 13,7% del totale degli anziani e al 63,1% del totale delle persone con limitazioni in Italia. Secondo le stime, nel 2040, il 10,3% degli anziani continuerà ad affrontare problemi di disabilità. Questi dati pongono l’accento sulla questione irrinunciabile del bisogno assistenziale associato agli effetti epidemiologici dell’invecchiamento demografico.

L’inversione del ciclo dell’occupazione. E ritorna a crescere il turismo

La fase di crescita dell’occupazione, iniziata nel 2021, si è consolidata nel primo semestre dell’anno corrente. Tra il 2021 e il 2022, il numero degli occupati è aumentato del 2,4%, con una crescita del 2% nei primi sei mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2022. Il totale degli occupati nel primo semestre è di 23.449.000 persone, il dato più alto mai registrato. Tuttavia, rispetto ai primi tre mesi di quest’anno, si è osservata una riduzione delle ore lavorate in tutti i settori produttivi: -3% nell’agricoltura, -1,1% nell’industria, -1,9% nelle costruzioni, e -0,5% se si considera l’intera economia.

Nonostante i segni di miglioramento, l’Italia rimane all’ultimo posto nell’Unione europea per tasso di occupazione, con il 60,1%. Sebbene ci sia stato un aumento del 2% tra il 2020 e il 2022, il tasso rimane ancora al di sotto della media europea (69,8%) di quasi 10 punti percentuali. Se l’Italia raggiungesse la media europea, si stima che avremmo circa 3,6 milioni di occupati in più.

Nei primi otto mesi di quest’anno il valore delle esportazioni italiane ha già superato i 400 miliardi di euro, segnando un incremento del 2,3% rispetto allo stesso periodo del 2022. A fine anno potrebbe essere superato il livello dello scorso anno (615 miliardi di euro). Più della metà del valore dell’export è realizzato all’interno dell’Unione europea (216 miliardi di euro nei primi otto mesi), ma l’incremento delle esportazioni dirette verso i Paesi extra-Ue nel periodo considerato è superiore alla media: +5,2%. Nei confronti degli Stati Uniti l’incremento è del 5,6%, il valore esportato in Cina è cresciuto del 30%, per i Paesi Opec l’aumento è del 10,2%.
“In questa fase non si è ridimensionato il protagonismo dei territori e delle città nell’economia dei flussi, dunque. Tuttavia, il patto faustiano tra le città e il turismo (e i suoi ritorni economici) ha assunto ormai un profilo critico”, afferma il Censis.

Nel 2022 gli esercizi alberghieri ed extra-alberghieri hanno registrato 25,8 milioni di arrivi, di cui 9,5 milioni da parte di viaggiatori nazionali e 16,3 milioni da parte di viaggiatori esteri. Roma ne ha accolti oltre 7 milioni, Milano e Venezia più di 4 milioni ciascuna. Il totale dei pernottamenti che si riferiscono ai maggiori dieci comuni ha raggiunto nel 2022 i 72 milioni, in progressivo avvicinamento agli 82 milioni registrati nel 2019, prima della pandemia.