Microplastiche, gli impatti nocivi sulla salute umana

Abbiamo riempito la Terra di plastica e la contaminazione da micro- e nanoplastiche è considerata un'emergenza ambientale e un grave pericolo per la salute umana

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Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

Pubblicato: 12 Marzo 2024 17:37

La plastica è ormai ovunque: la usiamo per tutto, dagli imballaggi ai vestiti, e la sua produzione continua a crescere a ritmo sostenuto. Se oggi produciamo circa 450 milioni di tonnellate di plastica all’anno, si stima che, se non si interviene con adeguate regolamentazioni, la produzione potrebbe raggiungere il triplo entro il 2060.

Una delle conseguenze più preoccupanti di questa dilagante presenza di plastica è la diffusione di microplastiche: minuscoli frammenti di plastica (inferiori a 5 millimetri) che si sono accumulati negli anni negli oceani, nei terreni e persino nell’aria che respiriamo.

La contaminazione da micro- e nanoplastiche è ormai considerata un’emergenza ambientale e un grave pericolo per la salute umana. Studi recenti hanno infatti dimostrato che le microplastiche entrano nel nostro corpo attraverso il cibo, l’acqua e l’aria che respiriamo.

Evitare di scaldare il cibo nella plastica con il microonde (pratica che causa il rilascio di milioni di particelle) non basta: si stima che un adulto ingerisca circa 2.000 microplastiche all’anno solo attraverso il sale da cucina, e che ogni litro di acqua imbottigliata contenga circa 240.000 particelle (per lo più nanoplastiche).

Nel mare, le microplastiche si accumulano negli animali che mangiamo, in una catena alimentare che va dal plancton fino ai pesci di grandi dimensioni. I filtratori, come le cozze o le vongole, accumulano queste particelle in modo diretto, al punto che alcuni ricercatori stanno valutando la possibilità di usarli per ripulire le acque dalle microplastiche.

Scoperta delle nanoplastiche: una nuova frontiera

Com’è stato ampiamente dimostrato, l’uomo e gli altri animali ingeriscono microplastiche attraverso l’acqua e il cibo. I potenziali effetti sulla salute di questo consumo sono ancora in gran parte sconosciuti, ma si teme che possano causare problemi al sistema digestivo, al sistema nervoso e a quello riproduttivo.

Quello che ancora non si era potuto verificare con precisione era invece la presenza di particelle ancora più piccole, le cosiddette nanoplastiche, figlie di microplastiche che si sono ulteriormente scomposte. Grazie a una tecnologia perfezionata recentemente, un gruppo di ricercatori internazionali ha identificato e contato per la prima volta queste minuscole particelle nell’acqua in bottiglia. Lo studio, condotto da ricercatori delle Columbia University, della Rutgers University, del Lamont-Doherty Earth Observatory, e pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, ha evidenziato che un litro esaminato contiene in media circa 240.000 frammenti di plastica rilevabili, da 10 a 100 volte superiori alle stime precedenti, basate principalmente su dimensioni maggiori.

Potenziali rischi per la salute umana

Le nanoplastiche sono così piccole – si parla di unità inferiori a un micrometro, pari a un milionesimo di metro possono – che possono passare attraverso l’intestino e i polmoni direttamente nel flusso sanguigno e da lì viaggiare verso altri organi come cuore e cervello. Possono invadere singole cellule e attraversare la placenta fino ai corpi dei bambini non ancora nati. I medici stanno studiando possibili effetti su una vasta gamma di sistemi biologici.

Metodi innovativi di rilevamento

Naixin Qian, chimico alla Columbia University e uno degli autori principali dello studio, spiega che gli studi precedenti potevano fornire stime globali sulla massa delle nanoparticelle, ma non erano in grado di conteggiare le singole particelle o di identificare quale fosse il tipo di plastica o altro. Il nuovo studio si avvale invece di una tecnica chiamata Raman scattering microscopy, inventata dal coautore della ricerca Wei Min, biofisico sempre alla Columbia.

Inaspettata diffusione delle nanoplastiche

I ricercatori hanno esaminato tre famose marche di acqua in bottiglia vendute negli Stati Uniti (senza rivelare quali fossero), analizzando le particelle di plastica fino a 100 nanometri di dimensione. Hanno rilevato da 110.000 a 370.000 particelle per litro, di cui il 90% erano nanoplastiche; il resto erano microplastiche. Hanno anche identificato quali dei sette tipi specifici di plastica fossero e ne hanno tracciato le forme e la qualità, tali dati potrebbero essere utili nella ricerca biomedica.

Fonti comuni di contaminazione

Una delle più comuni era il polietilene tereftalato o PET. Risultato non sorprendente visto che è il materiale di cui sono fatte molte bottiglie d’acqua. Probabilmente entra nell’acqua sotto forma di frammenti quando la bottiglia viene schiacciata o esposta al calore, mentre uno studio recente suggerisce che possa accadere quando si apre o si chiude ripetutamente il tappo della bottiglia e piccoli pezzi si consumano.

Ampliamento delle indagini

Tuttavia il PET è stato superato in numero dal poliammide, un tipo di nylon. Ironicamente, questo forse proviene dai filtri di plastica utilizzati per purificare l’acqua prima di essere imbottigliata, dicono i ricercatori. Altre plastiche comuni individuate dallo studio includevano il polistirene, il policloruro di vinile e il polimetil metacrilato, tutti impiegati in vari processi industriali.

Prospettive future nella ricerca sulle nanoplastiche

I sette tipi di plastica cercati rappresentano solo il 10% circa di tutte le nanoparticelle trovate nei campioni; i ricercatori non hanno idea di cosa siano le altre particelle . Gli scienziati stanno ora estendendo la loro indagine oltre l’acqua in bottiglia. “C’è un vasto mondo di nanoplastiche da studiare”, ha dichiarato Min, che all’osservazione che le nanoplastiche rappresentano una quantità molto inferiore in termini di massa rispetto alle microplastiche, risponde: “Non è la dimensione che conta. Sono i numeri, perché più piccole sono le cose, più facilmente possono penetrare dentro di noi”.

Microplastiche nel cibo: una sfida per le aziende alimentari

Le microplastiche rappresentano una contaminazione non voluta, ma molto preoccupante, per l‘industria alimentare. La loro diffusione nell’ecosistema e la loro capacità di penetrare ovunque le rende inevitabilmente ingeribili, con potenziali rischi per la salute umana.

Una ricerca del 2019 della rivista Environmental Science and Technology ha stimato che ogni anno ingeriamo tra 39.000 e 52.000 particelle di microplastiche, con una previsione di 74.000 particelle respirate.

Sfide per le aziende alimentari

Le aziende alimentari devono affrontare diverse sfide per ridurre la contaminazione da microplastiche nei loro processi produttivi e distributivi:

  • Identificare le fonti di contaminazione: le microplastiche possono provenire da diverse fonti, come l’acqua, l’aria, gli imballaggi e le attrezzature
  • Sviluppare sistemi di controllo e prevenzione: è necessario implementare sistemi per monitorare la presenza di microplastiche e per prevenirne l’ingresso nella catena alimentare
  • Informare i consumatori: è importante informare i consumatori sui rischi delle microplastiche e sulle azioni che possono intraprendere per ridurre la loro esposizione

Un passo avanti nella lotta contro l’inquinamento da microplastiche

La nuova norma UNI/PdR 158:2024, pubblicata l’11 gennaio 2024 dall’Ente italiano di normazione (Uni), rappresenta un importante strumento per la riduzione delle emissioni di microplastiche associate alle attività di produzione e distribuzione di prodotti alimentari.

Frutto della collaborazione con Tecnoalimenti, il documento identifica le migliori pratiche (“best practices”) che le organizzazioni coinvolte in tali attività possono adottare per mitigare questo problema.

Un impegno europeo

La proposta si inserisce in una strategia più ampia a livello comunitario, collegata al progetto europeo “CO-creating sustainable and competitive FRuits and vEgetableS’ value cHains in Europe Co-Fresh” (Grant agreement ID: 101000852).

La norma UNI/PdR 158:2024 è il risultato della collaborazione tra esperti del settore agroalimentare, dell’industria della plastica e accademici impegnati nello studio dei fenomeni legati alla diffusione delle microplastiche nell’ambiente. L’adozione di questa norma rappresenta un passo avanti significativo verso la tutela dell’ambiente e la salvaguardia della salute umana.

Linee guida per la gestione delle microplastiche nell’ambiente

Le complessità legate alla generazione e diffusione delle microplastiche nell’ambiente sono ancora oggetto di approfondimento e indagine da parte del mondo scientifico e delle diverse istituzioni. La nuova norma si propone come un primo passo verso la regolamentazione del settore, mantenendosi entro i confini delle possibilità di azione di ogni organizzazione per affrontare il cambiamento.

Le linee guida si configurano come un documento di riferimento prezioso per tutti gli attori della filiera agroalimentare. Ciò risulta particolarmente significativo dato l’assenza di norme simili in materia. È rivolto agli operatori logistici, alle aziende alimentari, ai distributori nella filiera alimentare, nonché alle imprese della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e della ristorazione collettiva.

Microplastiche: un pericolo per la salute umana

L’interazione tra microplastiche e esseri umani è sotto esame da alcuni anni. Sebbene la ricerca sia ancora in corso, emerge un quadro preoccupante: le microplastiche rappresentano una minaccia per la nostra salute.

Diversi studi in vitro hanno dimostrato che le micro e nanoplastiche possono danneggiare direttamente le cellule, causando infiammazione e tossicità. Le microplastiche fungono da vettori per altre sostanze nocive, come metalli pesanti e PFAS. Queste si legano alle particelle plastiche e vengono trasportate all’interno del corpo umano.

Le microplastiche sono state rinvenute in liquidi biologici (sangue e urine), organi (polmoni e fegato) e persino nella placenta e nel latte materno. Un recente studio italiano ha rilevato la presenza di plastiche nelle carotidi, le arterie che portano sangue al cervello. Lo studio ha inoltre associato la presenza di nanoplastiche ad un rischio raddoppiato di infarto e ictus.

Trovate tracce di microplastiche anche nella placenta umana

In una nuova ricerca condotta presso l’Università del New Mexico, un gruppo di ricercatori ha scoperto tracce di microplastiche in tutte e 62 le placente umane esaminate. Questo studio, il più ampio mai realizzato sull’argomento, solleva preoccupazioni circa gli effetti dell’inquinamento da plastica sulla salute degli esseri umani e degli altri mammiferi.

Il team di scienziati dell’ateneo, capitanato dal biologo Matthew Campen, ha impiegato microscopi a fluorescenza per individuare particelle di plastica con dimensioni superiori a un micron nei tessuti biologici. Attraverso l’uso di sofisticati processi chimici e l’utilizzo di una centrifuga ad elevata velocità, i ricercatori sono stati in grado di separare i polimeri dai campioni biologici e di identificare la natura dei minuscoli frammenti grazie alla spettroscopia infrarossa.

Microplastiche nella placenta, implicazioni per la salute materna e fetale

L’analisi di 62 placente ha evidenziato concentrazioni di microplastiche che variano da 6,5 a 685 microgrammi per grammo di materiale placentare, valori superiori a quelli trovati nel flusso sanguigno in precedenti ricerche.

Il polietilene rappresenta il 54% delle microplastiche identificate, seguito dal polivinilcloruro (PVC) e dal nylon, entrambi con il 10%. Il restante 26% è composto da nove diversi tipi di polimeri.

Le cause di questa ampia variabilità di concentrazione non sono ancora chiare, come pure i potenziali effetti negativi sulla crescita e lo sviluppo della placenta e del feto, o sulla salute materna in generale. I fattori che potrebbero influenzare la presenza di microplastiche nella placenta includono l’ambiente, l’alimentazione, la genetica, l’età materna e lo stile di vita.

Lo studio sottolinea l’importanza di ulteriori ricerche, che combinando l’analisi delle microplastiche con metadati clinici, possano valutare meglio i rischi per la gravidanza. L’aumento delle concentrazioni di microparticelle e i loro potenziali effetti negativi sulla placenta potrebbero avere conseguenze a lungo termine per la salute dei mammiferi, come sottolineato dalla Dott.ssa Campen, autrice dello studio.

Microplastiche nella placenta: un problema in crescita

Gli specialisti dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dell’Università Politecnica delle Marche hanno rilevato per la prima volta la presenza di microplastiche nella placenta umana. Analizzando i campioni di quattro donne che avevano avuto gravidanze senza complicazioni nel 2020, i ricercatori hanno identificato frammenti di plastica di dimensioni inferiori a 5 millimetri.

Un team di ricercatori dell’Università delle Hawaii di Manoa, del Kapi’olani Medical Center for Women and Children di Honolulu e dell’Università federale di Alagoas in Brasile ha esaminato 30 placente donate tra il 2006 e il 2021. I risultati hanno evidenziato un aumento significativo della contaminazione da plastica nel tempo:

  • 2006: 6 placente su 10 presentavano microplastiche
  • 2013: 9 placente su 10 presentavano microplastiche
  • 2021: tutte le 10 placente presentavano microplastiche

Danni al sistema immunitario

Gregorio Rafael Benítez Peralta, accademico del Dipartimento di Anatomia della Facoltà di Medicina dell’Università Nazionale Autonoma del Messico, ha studiato l’impatto delle microplastiche sul sistema immunitario. Le sue ricerche dimostrano che le particelle, una volta ingerite, attraversano la barriera intestinale e entrano nel flusso sanguigno. Qui entrano in contatto con i macrofagi, le cellule responsabili della risposta immunitaria. L’interazione con le microplastiche può compromettere l’efficacia di queste cellule, rendendoci più vulnerabili a infezioni e malattie.

Danni al cervello

Uno studio condotto su roditori dall’Università di Rhode Island ha evidenziato un possibile legame tra microplastiche e danni cerebrali. I topi esposti a queste particelle presentavano un rigonfiamento del cervello e una riduzione della proteina fibrillare acida della glia (Gfap). Bassi livelli di Gfap sono associati alle prime fasi di gravi malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer.

Riduzione della plastica: un’urgente necessità

L’ubiquità delle microplastiche e l’inevitabile esposizione ad esse impongono un ripensamento urgente. Politiche e abitudini devono convergere verso una drastica riduzione della produzione e dell’uso di plastica. Sono necessari ulteriori studi per comprendere meglio i meccanismi con cui le microplastiche danneggiano il sistema immunitario e il cervello. È importante anche identificare le popolazioni più a rischio e sviluppare strategie per ridurre l’esposizione a questi inquinanti.