Insostenibile tecnologia: quanto inquina uno smartphone?

I nostri dispositivi impattano più delle auto ma un uso consapevole può migliorare significativamente gli impatti ambientali e sociali

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Alice Pomiato

Content creator

Alice Pomiato è una Content Creator che racconta com'è possibile avere uno stile di vita più sostenibile, etico e consapevole.

Possedere uno smartphone è talmente normale, che probabilmente non ci siamo mai chiesti quanto impatta nel suo intero ciclo di vita, che parte dall’estrazione delle materie prime in miniera e si conclude con la gestione del rifiuto.

Nel 2022 il numero di telefoni in uso nel mondo sarà di 4,5 miliardi di unità e assieme genereranno le 146 milioni di tonnellate di CO2. A sostenerlo è il recente rapporto Digital Green Evolution di Deloitte, che ci racconta come tutti assieme, questi dispositivi inquinano tanto quanto l’Olanda o il Venezuela. Non male, non trovate?

C’è da restare ancor più sbalorditi nel constatare che l’83% delle emissioni deriva dalla sola fase di costruzione. Proprio così, perché per dare vita a questi dispositivi, serve estrarre minerali rari il luoghi remoti, utilizzare combustibili fossili e tanta acqua. Le restanti emissioni generate dall’utilizzo degli smartphone (in particolare dopo il loro primo anno di vita) ammontano invece a “solo” l’11% e sono legate al consumo energetico (che si abbassa se si ha un fornitore di energie rinnovabii). Il restante 5% è infine dovuto alle attività di recupero e ripristino dei dispositivi utilizzati a fine vita.

Quanto inquina uno smartphone nel suo intero ciclo di vita?

I modelli recenti di smartphone comportano una produzione di circa 82kg di C02 ciascuno. Man mano che gli smartphone diventano più complessi, il processo di produzione richiede sempre più energia. La maggioranza di questi viene prodotta in Asia, dove gran parte dell’energia viene ottenuta tramite combustione di carbone che rilascia un gran numero di emissioni di gas serra nell’atmosfera, contribuendo al cambiamento climatico.

Il processo produttivo legato alla fabbricazione fisica dello smartphone rappresenterebbe tra l’85% e il 95% del totale delle emissioni legate allo smartphone stesso per due anni. Cosa significa questo? Che gli smartphone emettono la stragrande parte di CO2 nel loro processo produttivo e solo il restante nel loro utilizzo medio di circa due anni. Una impronta carbonica pari a quella dell’energia elettrica utilizzata per ricaricare uno smartphone per ben dieci anni.

Insomma, il punto della questione “inquinamento” legata ai dispositivi riguarda il processo produttivo che parte dalla ricerca di tutti i materiali necessari. Secondo i calcoli di questo studio sarebbe insomma necessario tenere lo stesso smartphone per almeno dieci anni prima di poter “ammortizzare” l’impronta carbonica accumulata durante la fabbricazione. Le statistiche globali ci raccontano però di abitudini ben differenti: la maggior parte degli smartphone viene utilizzato per circa 21 mesi, poi sostituito.

Le emissioni sono principalmente dovute a tutte le sostanze e i materiali contenute all’interno degli smartphone. Che cosa c’é? acciaio, alluminio, magnesio, rame, argento, oro, grafite, litio, silicio e altri. Quasi tutti i telefoni richiedono 16 dei 17 metalli rari sulla Terra. Il valore di queste  componenti è enorme, tanto che i luoghi che ospitano queste riserve sono stati ribattezzati “terre rare”. Il Paese più ricco di queste risorse al mondo è la Cina, e a seguire in ordine sparso, Russia, Stati Uniti, Australia, Brasile, India, Malesia, Thailandia, Vietnam, Canada e Sudafrica.

In 1 milione di telefoni cellulari, ci sono migliaia di kg di risorse che potrebbero essere recuperate e restituite al ciclo produttivo. E se non riusciamo a riciclare questi materiali, è necessario estrarre nuovi rifornimenti, danneggiando l’ambiente. Tutti questi componenti sono poi così integrati e fusi tra loro che l’efficienza del processo di riciclo è bassa anche nei Paesi avanzati.

I RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche) sono il flusso di rifiuti in più rapida crescita nel mondo. Secondo il Global E-waste Monitor 2020, «Nel 2019 sono stati generati 53,6 milioni di tonnellate metriche (Mt) di RAEE. Se continuiamo così, entro il 2030 ci troveremo a gestire il problema dello smaltimento di oltre 74 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, dovuti a livelli di consumo di elettronica più elevati, dei cicli di vita dei prodotti più brevi e alle opzioni di riparazione limitate.

Con questi quantitativi riciclare e rigenerare diviene imprescindibile. Le pesanti emissioni che tutto questo comporta, si ridurrebbero sensibilmente se, anziché comprare nuovi device, potessimo ripararli o ricondizionarli, allungando così la loro vita.

Riparare è il futuro, vediamo come possiamo farne parte

Qual è la soluzione più sostenibile? Acquistare uno smartphone ricondizionato e averne cura in modo da allungargli la vita il più possibile.

Non c’è motivo di essere scettici nei confronti degli smartphone ricondizionati. Gli smartphone ancora utilizzabili ma “abbandonati” dai loro proprietari per passare all’ultimo modello più performante, vengono sottoposti a numerose analisi per verificare il corretto funzionamento di tutte le varie componenti. Vengono sottoposti ad un processo di pulizia e di sostituzione delle parti non funzionanti e rimessi completamente a nuovo, con la sostituzione delle parti danneggiate o usurate, come ad esempio la batteria.

Spesso sono dispositivi provenienti anche da fine leasing aziendali, fallimenti, esposizioni e altro ancora. Sono prodotti controllati, certificati e accompagnati da una garanzia di almeno un anno. Ecco perché non sono da considerare propriamente prodotti di seconda mano, ma alla pari di quelli nuovi di zecca.

Solo l’1% degli smartphone nel mondo viene riciclato. Chi acquista un prodotto ricondizionato, gli dà una seconda vita e in questo modo sostiene un modello di economia rigenerativa, si oppone al fenomeno dell’obsolescenza e riduce il numero di rifiuti elettronici prodotti.

Scegliere un prodotto ricondizionato significa risparmiare fino e oltre il 60% rispetto al prezzo di listino, ma anche diminuzione delle emissioni di CO2, di utilizzo di energia necessaria per produrre i dispositivi, di rifiuti generati da smaltire, per non parlare poi di tutti i temi legati allo sfruttamento dei lavoratori nelle paesi in via di sviluppo, che contribuisce a finanziare guerre e conflitti.

é possibile calcolare l’impatto della sua produzione in base al tempo: prolungare il ciclo di vita di un dispositivo di un anno, porterebbe ad una diminuzione del 26% di emissione di gas ad effetto serra annui.

Se vogliamo fare del nostro meglio per rendere la nostra impronta più leggera sul Pianeta, anche un corretto utilizzo delle risorse digitali conta. La tecnologia, e il suo utilizzo, in modo quasi invisibile, inquina: i server che “reggono” siti, app e servizi hanno infatti un notevole impatto sull’ambiente.

Tutti questi fattori concorrono all’inquinamento, ma teniamo a mente quel che è importante: c’è un ampio margine di miglioramento.