COP28 a Dubai, polemiche per i troppi lobbisti del petrolio. Rapporti sul clima sconfortanti

Il riscaldamento globale è in aumento, nel 2023 +1,1% di emissioni. Mai così tanti esponenti dell’industria del fossile a una Conferenza sul Clima

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Alessandro Mariani

Giornalista green

Nato a Spoleto, dopo una laurea in Storia e una parentesi in Germania, si è stabilito a Milano. Ha avuto esperienze in radio e in TV locali e Nazionali. Racconta la società, con un focus sulle tematiche ambientali.

2.456. È il numero impressionante di lobbisti dei combustibili fossili presenti alla COP28, quattro volte quelli presenti lo scorso anno. Questa presenza massiccia solleva dunque interrogativi sulla reale influenza che questa industria sta esercitando sulle decisioni cruciali per affrontare la crisi climatica. Sorge spontanea una domanda: come possono essere prese decisioni ponderate e obiettive quando le lobby dei combustibili fossili sono così onnipresenti? Non lasciano ben sperare poi i rapporti giunti al vertice sul clima di Dubai. Il riscaldamento globale è in aumento, +1,1% di emissioni nel 2023, +8% solamente in India. Preoccupa pure l’arrivo di El Nino, che causerà l’aumento delle temperature in tutto il mondo.

Rapporti allarmanti alla COP28: emissioni in aumento

Una serie di rapporti presentati alla COP28, evidenziano la necessità di affrontare il riscaldamento globale. I risultati del Climate Action Tracker, un gruppo indipendente di ricerca scientifica, rivelano che nessun Paese è effettivamente sulla buona strada per ridurre le proprie emissioni di gas serra, discostandosi significativamente dall’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi, come stabilito dall’Accordo di Parigi. Secondo il Global Carbon Project, organizzazione che monitora le emissioni globali di gas serra, le emissioni nel 2023 sono aumentate globalmente dell’1,1%, con un preoccupante incremento dell’8% in India. La situazione è ulteriormente complicata dallo studio decennale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (Omm), che ha esaminato gli impatti di fenomeni come La Nina o El Nino, quest’ultimo preoccupante per il suo potenziale aumento delle temperature nell’Oceano Pacifico e a livello mondiale.

Le prospettive delineate dagli autori del rapporto dell’Omm, sono tutt’altro che rassicuranti: “Stiamo assistendo a un’accelerazione dei cambiamenti climatici in un’ampia gamma di aree del sistema climatico.” La studio sottolinea l’aumento continuo delle temperature globali, il rapido innalzamento del livello del mare, la perdita accelerata della calotta glaciale e l’acidificazione dei mari. Dinanzi a questa crisi climatica la Fondazione Solar Impulse, sottolinea la necessità di cambiare l’approccio al dialogo. Afferma che è cruciale “mostrare le soluzioni più che i problemi” e sottolinea l’importanza di dimostrare che la decarbonizzazione può avvenire attraverso una modernizzazione redditizia dei Paesi, con un maggiore focus sull’efficienza energetica e la cessazione dello spreco di risorse. Davanti a queste evidenze, sorge una seconda domanda: si raggiungerà un accordo per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili? Difficile da prevedere. La necessità di affrontare questa sfida con urgenza è innegabile, e mentre le discussioni proseguono a Dubai, la speranza è che si possano definire azioni concrete per mitigare l’impatto devastante dei cambiamenti climatici.

La spaccatura nella comunità della COP28

La presenza massiccia di lobbisti ha creato una spaccatura evidente all’interno della COP28. Mentre alcuni delegati moderati potrebbero essere disposti a dialogare con i rappresentanti delle industrie responsabili delle emissioni, altri adottano una posizione più radicale, insistendo sulla necessità di escludere completamente i lobbisti del fossile da un dibattito così cruciale.

Il dibattito sulla transizione graduale dai combustibili fossili trova eco nella seconda bozza del documento circolato a COP28. L’idea di una “uscita ordinata” e graduale dal fossile è presente, ma è solo un primo passo. La vera sfida risiede nella “battaglia” che si svolge all’interno delle sale conferenze, dove i rappresentanti nazionali, gli attivisti ambientali e lobbisti del fossile cercano di influenzare il testo finale del negoziato. Il risultato di questa contrattazione avrà un impatto significativo sul futuro delle politiche climatiche globali. Se da un lato i leader indigeni esprimono la necessità di allontanare i “grandi inquinatori” dalla COP28, dall’altro alcuni delegati moderati cercano un dialogo costruttivo con l’industria del fossile per garantire una transizione senza traumi.

L’Incertezza delle sfide ambientali alla COP28

In questo contesto, dove una persona su trenta è legata all’industria petrolifera, emerge l’incertezza sul futuro delle decisioni climatiche globali. Ong e attivisti mantengono alta l’attenzione sulla necessità di affrontare seriamente la transizione dalle fonti fossili senza accettare soluzioni alternative come la cattura e lo stoccaggio di CO2 o le compensazioni. Le sfide ambientali non aspettano, e il recente report del Global Carbon Project mette in evidenza la crescente urgenza.

Le emissioni di anidride carbonica derivanti dai combustibili fossili hanno raggiunto livelli record, compromettendo gli sforzi per mantenere il riscaldamento globale entro i +1,5 gradi. In questo scenario di incertezza e di conflitto d’interessi, il destino del pianeta poggia sulle decisioni che verranno prese nelle prossime fasi della COP28. La necessità di bilanciare le esigenze delle nazioni, l’urgenza ambientale e l’influenza degli interessi industriali rappresenta una delle sfide più grandi e cruciali di questo summit.

Rischio “bomba gas serra” con lo stoccaggio del carbonio a COP28

Un nuovo studio pubblicato dal think tank Climate Analytics mette in guardia sul rischio imminente legato alla cattura e allo stoccaggio di carbonio (Ccs) durante la COP28. Secondo l’analisi, l’uso continuato di combustibili fossili giustificato dalla Ccs potrebbe rilasciare un’enorme “bomba” di 86 miliardi di tonnellate di gas serra nell’atmosfera tra il 2020 e il 2050. Il rapporto evidenzia che, nonostante le raccomandazioni del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc) per tassi di cattura del carbonio del 95%, raggiungere solo il 50% e ridurre le emissioni di metano a livelli bassi porterebbe comunque a un’immissione di 86 miliardi di tonnellate di gas serra. Questo valore supera di più del doppio le emissioni globali di CO2 nel 2023. L’apertura alla pratica dei combustibili fossili “abbattuti,” in cui le emissioni sono ridotte attraverso tecnologie di Ccs, potrebbe spingere al di fuori della portata il limite di riscaldamento di 1,5 gradi stabilito dall’Accordo di Parigi.

Questa minaccia diventa particolarmente significativa considerando l’espansione dei progetti di petrolio e gas promossi in tutto il mondo. Il rapporto del Climate Analytics giunge mentre i governi partecipano al vertice sul clima a Dubai, focalizzando l’attenzione sulla gestione del carbonio. L’Agenzia internazionale dell’energia ha recentemente rivisto al ribasso le stime sull’efficacia della Ccs nella transizione energetica, proiettando un calo del 38% rispetto al 2021, a causa della diminuzione dei costi delle energie rinnovabili e dell’incremento delle alternative ai combustibili fossili nell’industria.