Il riscaldamento globale sta accelerando a un ritmo allarmante. Nel giugno 2023, la temperatura media globale ha raggiunto un livello record, superando qualsiasi valore precedentemente registrato nella storia. Da allora, assistiamo a una serie ininterrotta di nuovi record, sia per le temperature atmosferiche che per quelle degli oceani. Questo trend preoccupante evidenzia l’urgente necessità di affrontare le cause del cambiamento climatico e di adottare misure concrete per mitigarne gli effetti devastanti sul nostro pianeta.
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Marzo 2024, decimo mese consecutivo di caldo record, il più caldo di sempre
Marzo del 2024 è entrato nella storia come il mese più caldo mai registrato a livello globale, segnando il decimo mese consecutivo di record di temperatura. Secondo le rivelazioni del servizio meteorologico dell’Unione Europea, Copernicus, la temperatura media globale nel mese di marzo ha raggiunto i 14,4°C. Questo valore supera di 0,73°C la media del periodo 1991-2020 e di 0,10°C il precedente record stabilito nel marzo del 2016. Inoltre, il mese di marzo ha registrato una temperatura di 1,68°C superiore alla media del periodo pre-industriale 1850-1900, utilizzato come riferimento. Questa serie di record mensili inizia da giugno 2023, con la Terra che ha infranto i precedenti picchi di calore in ogni mese, a causa principalmente delle intense ondate di caldo che hanno colpito grandi estensioni degli oceani. Copernicus evidenzia come questo marzo 2024 rappresenti l’apice di un trend di riscaldamento globale senza precedenti.
Dodici mesi di caldo record, superato il limite di 1,5°C fissato dall’Accordo di Parigi
Secondo i dati di Copernicus, la temperatura media globale negli ultimi 12 mesi, da aprile 2023 a marzo 2024, ha raggiunto il livello più alto mai registrato, superando di 0,70°C la media del periodo 1991-2020 e di 1,68°C la media dell’era pre-industriale. Questo significa che le temperature medie globali hanno oltrepassato il limite di 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali (media 1850-1900), soglia stabilita dall’Accordo di Parigi del 2015 e dalla COP26 di Glasgow del 2021.
Ancor prima della pubblicazione di questi dati allarmanti, il 2023 si era già confermato come l’anno più caldo mai registrato dal 1850, con un aumento della temperatura media globale vicino al limite di 1,5 gradi centigradi (1,48°C rispetto al livello pre-industriale). Questo superamento del limite rappresenta un momento critico nella lotta contro il cambiamento climatico e richiede un’azione urgente e coordinata a livello globale per affrontare le sue conseguenze potenzialmente catastrofiche.
Secondo le previsioni meteo, il mese di aprile in Italia sta registrando temperature insolitamente elevate, simili a quelle che ci si aspetterebbe nel mese di giugno. Tuttavia, un repentino cambiamento del tempo è in arrivo a causa di un’irruzione di aria fredda proveniente dalla Scandinavia. Questo porterà piogge, venti forti e un brusco calo delle temperature su parte del nostro Paese.
L’irruzione di aria fredda dalla Scandinavia destabilizzerà il tempo almeno su alcune regioni italiane. Questo cambiamento improvviso porterà un brusco calo delle temperature rispetto alle condizioni attuali e potrebbe causare temporali, grandine e persino neve a quote basse. Gli effetti di questa irruzione di aria fredda saranno avvertiti nei prossimi giorni.
Ondata di caldo anomalo, record di temperature in tutta Europa
Nelle ultime settimane l’Europa sta registrando temperature elevate a causa della terza ondata di caldo anomalo di questa primavera che continua a infrangere record di temperatura in diverse zone del continente. Spagna, Francia, Svizzera, Germania e Italia sono tra le più colpite, con valori da piena estate che superano ampiamente le medie stagionali.
Picchi oltre i 30 gradi in Spagna, infatti, i termometri hanno sfiorato i 34 gradi a Ourense in Galizia e Tortosa, mentre a Bilbao e Pamplona, città situate nel nord del Paese, si sono registrati valori intorno ai 30 gradi, ben al di sopra delle medie per questa zona.
In Francia, alcuni record risalenti al 1970 sono stati superati, come i 29,5 gradi di Lagrasse, battuti di ben 1 grado con 31,5 gradi. Anche record più antichi sono stati superati, infatti, i 31 gradi registrati a Carcassone nell’aprile del 1949, il 14 aprile di quest’anno il termometro ha segnato 31,3 gradi.
Gli esperti spiegano che questi sono solo alcuni delle centinaia di record che sono stati registrati e sono quindi troppo numerosi per essere elencati completamente. Questa situazione evidenzia ancora una volta l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico e le sue conseguenze sempre più evidenti.
Estate 2024, roventi ondate di caldo in arrivo, con picchi oltre i 40 gradi
L’estate 2024 si preannuncia bollente: le previsioni dei centri di calcolo paventano un trimestre estivo da record, con ondate di caldo roventi e prolungate che potrebbero far superare i 40 gradi in diverse zone d’Europa, Italia inclusa.
Anticiclone africano protagonista: la causa principale di questo caldo eccezionale sarebbe un anticiclone africano sempre più invadente sul bacino del Mediterraneo. Già a giugno, su buona parte d’Europa si potrebbero registrare scostamenti dai valori di riferimento fino a +3 gradi.
Quest’anno potremmo assistere a un’estate peggiore rispetto a quella del 2023. Il meteorologo Mattia Giussioni non esclude un’estate ancora più torrida rispetto a quella dell’anno scorso e che ha fatto registrare picchi di 43 gradi a Roma e fino a 48 gradi in Sicilia e Sardegna. Giussioni ha speigato che per questa estate sono previste ondate di caldo roventi e prolungate con punte massime fin verso e oltre i 40 gradi.
Temperature così elevate potrebbero avere gravi conseguenze sulla salute delle persone, sull’agricoltura e sull’ambiente in generale. È quindi fondamentale attuare tutte le misure necessarie per ridurre l’impatto di questa ondata di caldo, come ad esempio un uso consapevole dell’acqua e un’adeguata idratazione.
El Niño e caldo estremo devastano l’agricoltura in Costa d’Avorio
Temperature record non solo in Europa, ma anche nel continente africano. Infatti, l’Africa occidentale sta affrontando record di calore senza precedenti, attribuiti al fenomeno meteorologico El Niño. In Costa d’Avorio, le ondate di calore stanno distruggendo il settore agricolo, che rappresenta un quarto del PIL e più della metà dei posti di lavoro del paese.
Dopo le piogge dell’anno scorso, questa volta è il caldo estremo a compromettere il raccolto del primo produttore mondiale di cacao, che rappresenta quasi il 45% della produzione globale. Daouda Konaté, direttore della meteorologia nazionale presso l’agenzia meteorologica ivoriana Sodexam, ha riferito che quest’anno è stato osservato un caldo estremo nel periodo gennaio-marzo, con un record di 41°C nel mese di febbraio a Dimbokro.
Normalmente, in questo periodo dell’anno, le temperature in Costa d’Avorio variano intorno ai 35-36°C. Tuttavia, il caldo estremo legato al fenomeno El Niño sta causando danni significativi all’agricoltura, mettendo a rischio non solo la produzione di cacao, ma anche altre colture essenziali per l’economia del paese.
Ondata di caldo africana, effetti disastrosi su agricoltura e ambiente
La Costa d’Avorio non è l’unica nazione della regione ad essere colpita dall’ondata di caldo. In Mali, la città di Kayes, situata nel sud-ovest, ha registrato temperature di 48,5°C all’inizio di aprile. Questo intenso calore, per la sua durata e intensità, sta causando uno stress idrico alle piante, come spiega Siaka Koné, ingegnere agrario e direttrice della Scuola superiore di agronomia di Yamoussoukro. L’aumento delle temperature porta a una maggiore evaporazione dell’acqua, compromettendo ulteriormente la crescita delle colture.
L’Africa si riscalda più velocemente di altri continenti
L’Africa, pur emettendo solo il 7% delle emissioni globali di gas serra, si trova ad affrontare le conseguenze del cambiamento climatico con maggiore intensità rispetto ad altri continenti. Le temperature nel continente sono aumentate di +1,4°C, contro una media globale di +1,1°C, come evidenziato dal sesto rapporto dell’Ipcc.
Un caso emblematico è la Costa d’Avorio. Nonostante le sue emissioni ridotte (quasi 100.000 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno, pari allo 0,0019% del totale mondiale), il Paese stima che il cambiamento climatico potrebbe causare una perdita annua del Pil tra il 3 e il 4,5% tra il 2020 e il 2030.
Le basse emissioni africane non la rendono immune al fenomeno del riscaldamento globale. La sua posizione geografica e le sue caratteristiche socio-economiche la rendono particolarmente vulnerabile. Ondate di calore, siccità, inondazioni e innalzamento del livello del mare potrebbero intensificarsi con il riscaldamento globale, con gravi conseguenze per l’agricoltura, l’economia e la salute della popolazione.
Consapevole della situazione, l’Africa sta lavorando per contrastare il cambiamento climatico. La Costa d’Avorio, ad esempio, si è impegnata a ridurre le proprie emissioni del 30,41% e a ripristinare parte delle foreste, decimate al 90% dal 1960. Sono necessari sforzi globali per aiutare l’Africa ad adattarsi e a mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
Sbiancamento corallino globale per colpa del caldo estremo
Il caldo estremo sta provocando gravi danni anche alle barriere coralline. Queste, infatti, stanno affrontando il peggior sbiancamento mai registrato su scala planetaria a causa delle temperature da record. Secondo gli scienziati della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), l’agenzia scientifica statunitense che monitora le condizioni oceaniche ed atmosferiche, la percentuale di coralli che soffre lo stress da calore sta aumentando di circa l’1% alla settimana. Questo fenomeno si sta estendendo in ampie aree degli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano, dando luogo a un evento globale che rappresenta il quarto episodio a livello mondiale e il secondo negli ultimi dieci anni. C’è il rischio che superi il picco precedente del 2017, quando oltre il 56% delle barriere coralline del pianeta subì uno stress termico così elevato da causarne lo sbiancamento.
Il fenomeno dello sbiancamento dei coralli
Lo sbiancamento dei coralli è un processo durante il quale i coralli diventano bianchi a causa della perdita di alghe simbiotiche e pigmenti fotosintetici. Questa perdita può essere causata da vari fattori di stress, tra cui una temperatura dell’acqua troppo calda, la carenza di luce o sostanze nutritive. Tuttavia, lo stress da calore, derivante dall’aumento delle temperature delle acque oceaniche determinato dal cambiamento climatico, rappresenta la causa principale.
Secondo Derek Manzello, coordinatore del Coral Reef Watch (Crw), il programma di monitoraggio e previsione degli impatti climatici sulle barriere coralline promosso dalla Noaa, il fenomeno dello sbiancamento dei coralli sta diventando sempre più frequente e grave. Questi eventi, se sufficientemente prolungati nel tempo, possono causare la morte dei coralli, con gravi ripercussioni sulle comunità che dipendono dalle barriere coralline per il loro sostentamento.
Sbiancamento dei coralli, impatti oltre l’ecosistema marino
Lo sbiancamento dei coralli, soprattutto se diffuso su scala globale, ha conseguenze drammatiche che vanno oltre l’ecosistema marino. Oltre alla perdita di biodiversità e alla diminuzione della popolazione ittica, questo fenomeno colpisce duramente le economie che dipendono dalla pesca, mettendo a rischio i mezzi di sussistenza e la sicurezza alimentare di intere comunità.
Tuttavia, non è detto che i coralli sbiancati siano condannati a morte. Come spiegato dalla Noaa, se lo stress che causa lo sbiancamento diminuisce, i coralli possono riprendersi e le barriere coralline possono continuare a svolgere il loro fondamentale ruolo per l’ecosistema.
Purtroppo, le previsioni non sono rassicuranti. Gli ultimi 12 mesi sono stati i più caldi mai registrati, con le temperature globali della superficie del mare che hanno raggiunto livelli record a febbraio e marzo. Proprio a febbraio, per meglio valutare il riscaldamento sottomarino, gli scienziati del programma Crw della Noaa hanno introdotto tre nuovi livelli di allerta nelle mappe di monitoraggio dei coralli.
Il 2024 potrebbe essere l’anno peggiore di sempre per lo sbiancamento dei coralli
L’attuale evento globale di sbiancamento dei coralli, il secondo negli ultimi dieci anni, sta rapidamente crescendo in gravità. Dai dati raccolti da febbraio 2023 ad aprile 2024 emerge un quadro preoccupante, con sbiancamenti diffusi in tutte le principali regioni oceaniche, sia nell’emisfero settentrionale che in quello meridionale. La National Oceanic and Atmospheric Administration ha confermato la presenza di sbiancamenti anche in altre parti dell’Oceano Indiano, incluso il Mar Rosso e il Golfo di Aden, oltre a varie isole dell’Oceano Pacifico meridionale.
Con oltre il 54% delle barriere coralline già colpite dallo sbiancamento nell’ultimo anno, c’è un serio rischio di superare il picco del 2017. Questo implica una minaccia diretta per gli ecosistemi marini e per le comunità che dipendono dalle barriere coralline per la loro sicurezza alimentare e per i mezzi di sussistenza. Per questo motivo è fondamentale adottare misure urgenti per mitigare gli effetti del cambiamento climatico e proteggere questi preziosi ecosistemi.
Il riscaldamento globale e le sue implicazioni
Il riscaldamento globale continua a battere tutti i record conosciuti, raggiungendo un’entità sempre maggiore in tutto il globo. Secondo il servizio sui cambiamenti climatici Copernicus, per la prima volta da quando esistono i registri, per dodici mesi di fila le anomalie della temperatura media globale hanno superato il limite di 1,5°C fissato dall’Accordo di Parigi. Questa soglia climatica rappresenta il punto di non ritorno, oltre il quale si innescano fenomeni potenzialmente distruttivi per la nostra società.
Nell’immediato sarà necessario ridurre le emissioni di gas serra nell’atmosfera, derivanti dalla combustione dei combustibili fossili, oltre che trovare misure di adattamento. È fondamentale agire affinché non venga superato il punto di non ritorno che sembra però essere sempre più vicino.