L’Ocse alza le stime di crescita per l’Italia, e questa è senza dubbio una buona notizia. Le stime sul Pil per il 2021 passano dal 4,5% ipotizzato a maggio al 5,9%, dato che potrebbe attestarsi poi sul 4,1% nel 2022, quanto l’economia dovrebbe tornare ai livelli pre-Covid. Per arrivarci, però, servono misure precise: più posti di lavoro e, soprattutto, un taglio netto e permanente del cuneo fiscale.
Il cuneo fiscale è la somma delle imposte – dirette, indirette, contributi previdenziali – che impattano sul costo del lavoro, sia lato datori di lavoro sia lato lavoratori dipendenti, autonomi o liberi professionisti. In sostanza, il cuneo fiscale è la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta ricevuta dal lavoratore. Un parametro che consente di mettere a fuoco e quantificare gli effetti della tassazione del costo del lavoro sul reddito dei lavoratori, dell’occupazione e del mercato del lavoro.
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Quante tasse pagano i lavoratori in Italia
Tra il 2019 e il 2020, in Italia il cuneo fiscale è sceso dal 47,9% al 46%, ma si attesta ancora a 11,4 punti sopra la media Ocse, che è del 34,6% (dal 35% del 2019). Una quota che colloca il nostro Paese al quarto posto nell’area, dietro a Belgio, Germania e Austria, e a pari merito con la Francia, si legge nel rapporto “Taxing Wages” dell’Ocse. L’Italia preleva mensilmente da ogni dipendente e da ogni datore di lavoro, contemporaneamente, questa percentuale altissima del monte reddito.
Nel nostro Paese, il peso maggiore delle tasse ricade sui lavoratori. Attraverso il gettito Irpef, lo Stato incassa ogni anno 209 miliardi di euro, che corrisponde al 42% delle entrate totali. Quindi, quasi la metà delle entrate tributarie sono costituite da tasse sul lavoro.
Ma non tutti pagano uguale, il peso è diverso. La maggior parte dei contribuenti è assistita perché ha un reddito basso. Il 46% dei lavoratori versa solo il 2,42% dell’Irpef totale poiché ha un reddito medio annuo fino a 15mila euro. 5,7 milioni di contribuenti invece, che percepiscono tra i 15 e 20mila euro di reddito lordo annuo, versano allo Stato il 6,56% dell’Irpef totale, pari a 11,255 miliardi.
Il grosso del carico fiscale pesa però sul 13% dei contribuenti con redditi da 35mila euro in su. Questi lavoratori versano circa il 59% di tutta l’Irpef e peraltro non hanno diritto quasi mai a bonus, sconti, agevolazioni, detrazioni e deduzioni. Detto in altri termini, 5,5 milioni di italiani, su oltre 41 milioni, pagano le tasse per mantenere la maggior parte dei contribuenti: il 13% mantiene un altro 57%, mentre il restante 30% è autosufficiente.
Il costo del lavoro in Italia
Il costo del lavoro in Italia è un salasso, perché è di circa 49mila euro per ogni singolo lavoratore, sopra la media dell’area Ocse, che si fissa a quasi 45mila mila euro, al 19esimo posto tra i Paesi più avanzati. A fronte di un stipendio medio lordo di 37.178 euro, al di sotto di quello medio Ocse pari a 39.188 euro.
Inoltre, qui il peso maggiore del costo del lavoro è a carico delle imprese, i cui contributi rappresentano il 24% del totale, mentre i contributi dei lavoratori pesano per il 7,2% e la tassazione sul reddito per il 14,8%.
Ecco perché nella prossima Manovra 2022 una delle priorità fissate dal governo Draghi è proprio destinare 8-9 miliardi al taglio del cuneo fiscale. Il confronto in seno alla maggioranza è aperto ma il premier e i suoi sembrano voler spingere sul taglio di Irpef, dal 27 al 38%, e Irap I primi destinatari dell’intervento sarebbero i 7 milioni di italiani, in larghissima parte lavoratori dipendenti o pensionati, che denunciano un reddito annuo fra i 28mila e i 55mila euro.
Le 112 tasse che paga ogni lavoratore, e la doppia tassazione
“Tra tutti i Paesi Ocse siamo tra i primi per incidenza fiscale e ultimi per efficienza del sistema economico e soprattutto del sistema fiscale e fortemente sbilanciata sul reddito da lavoro” denuncia Federcontribuenti. L’analisi complessiva degli indicatori di pressione fiscale italiani indicano quanto, rispetto ai colleghi europei, siano al di sopra della capacità reddituale della maggior parte dei contribuenti con un total tax rate pari al 59,1%.
Ogni contribuente – spiega l’associazione dei contribuenti – sostiene una pressione tributaria formata da 61 voci classificate come imposte indirette; 34 voci di imposte dirette; 17 voci come imposte in conto capitale, per un totale di 112 imposte. Lo stipendio netto di 1.500 euro lordi al mese si riduce a 1.040 euro e costa al datore di lavoro il 31%, “da pagare ogni 16 del mese con F24”.
“Con questi numeri parlare ancora di salario minimo e volontà dei datori di lavoro di non voler pagare i dipendenti è istigare volutamente una maldicenza pur di non affrontare l’urgenza vera dell’Italia, vale a dire il carico fiscale sproporzionato” attacca Federcontribuenti.
Oggi in Italia si contano in 2 milioni le famiglie con busta paga vicino alla soglia di povertà, con redditi fermi da ben 10 anni, aumenti su tutti i beni di primo consumo, aumento di tutte le utenze domestiche e dei carburanti. “Le famiglie non riescono più ad arrivare a fine mese. Questo significa che nonostante premi, bonus, detrazioni, lotterie e incentivi vari, la capacità reddituale degli italiani risulta schiacciata e quindi impoverita del 25% rispetto al 2011”.
“Sulle buste paga a monte lo Stato già trattiene le imposte, perché imporre una doppia tassazione?” chiede Federcontribuenti. Perché i datori di lavoro, oltre allo stipendio, devono anche versare allo Stato il 31% dell’assegno del dipendente?
A fronte di questa situazione crescono anche marginalizzazione sociale e diseguaglianza. Abbassando notevolmente il costo del lavoro il datore di lavoro potrebbe aumentare i redditi, assumere a contratto invece che a nero un numero maggiore di lavoratori.