Conto corrente, legittimi i controlli dell’Agenzia delle Entrate. Lo conferma la Cassazione

Il conto corrente può essere controllato dall'Agenzia delle Entrate, che può chiedere informazioni sui prelievi e sui versamenti effettuati

Pubblicato: 23 Luglio 2024 06:00

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Il contribuente è tenuto a fornire delle valide giustificazioni dei prelievi e dei versamenti che effettua sul proprio conto corrente. In caso contrario l’Agenzia delle Entrate può legittimamente far scattare dei controlli ai sensi dell’articolo 32 del Testo Unico sull’Accertamento delle Imposte sui Redditi (il Dpr n. 600/1973). La Corte di Cassazione, attraverso l’ordinanza n. 16850 del 19 giugno 2024, ha espresso un principio molto preciso e lineare: i movimenti in entrata e quelli in uscita di un conto corrente devono avere delle valide giustificazioni. In caso contrario l’AdE è legittimata a far scattare i controlli necessari per appurare che il diretto interessato non abbia evaso il fisco.

Ma entriamo un po’ più nel dettaglio e cerchiamo di comprendere quali siano le motivazioni alla base di questa sentenza.

Gli obblighi dei contribuenti

La vicenda sulla quale si è soffermata la Corte di Cassazione parte da una vicenda specifica. La Guardia di Finanza ha effettuato una serie di verifiche nei confronti di una Srl, una società a responsabilità limitata, che svolge l’attività di costruzione edifici.

Nel corso delle verifiche sono emerse una serie di irregolarità commesse dalla società. Le più gravi rilevate dalle fiamme gialle sono state le seguenti:

  • fatture emesse senza alcuni elementi essenziali;
  • annotazione di alcune fatture per dei costi non inerenti;
  • ritenute d’acconto non versate;
  • fatture attive che non sono state registrate dei registri Iva;
  • registro Iva degli acquisti istituito tardivamente;
  • liquidazioni Iva non effettuate nei termini previsti.

La richiesta della documentazione

La Guardia di Finanza, una volta preso atto delle anomalie riscontrate, ha iniziato a effettuare le indagini finanziarie del caso con uno scopo preciso: ricostruire l’effettivo volume d’affari realizzato dalla società.

A finire sotto la lente d’ingrandimento delle fiamme gialle è stato il conto corrente della società. Le verifiche si sono estese ai rapporti bancari del legale rappresentante, del procuratore generale e di alcuni stretti congiunti di questi ultimi. I parenti, infatti, avevano ricevuto delle fatture emesse dalla società oggetto di verifica.

Le parti, dopo che era stata inoltrata una richiesta della documentazione bancaria, avevano fornito delle giustificazioni superficiali e parziali. A quel punto l’Agenzia delle Entrate ha provveduto a notificare un atto di accertamento, con il quale venivano contestati i vari rilievi emersi nel corso della verifica. Ma, soprattutto, veniva ricostruito il reddito che non era stato dichiarato.

Le decisioni della Ctp e della Ctr

Attraverso la pronuncia n. 1707 del 23 aprile 2018 la Ctp di Salerno ha condiviso l’operato dell’ufficio competente. Anche se ha riconosciuto una riduzione del 20% del reddito che è stato accertato. La società ha successivamente proposto un appello, il quale, attraverso la sentenza n. 2594 dell’8 giugno 2020, è stato respinto dalla Ctr della Campania.

I giudici hanno sottolineato come gli elementi che sono emersi dalle indagini bancarie eseguiti ai sensi dell’ex articolo 32 del Dpr n. 600/1973 sono stati posti a base delle rettifiche e dei relativi accertamenti. Il Ctr della Campania, inoltre, ha sottolineato che:

Se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non ha rilevanza allo stesso fine.

I giudici hanno poi richiamato il consolidato orientamento delle giurisprudenza e hanno messo in evidenza che la norma citata:

Prevede una presunzione (relativa) in base alla quale i versamenti non giustificati operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi, ove il contribuente non alleghi elementi probatori idonei a giustificare una diversa imputazione delle singole movimentazioni.

Conto corrente, l’intervento della Cassazione

La società procede in giudizio ed arriva fino alla Corte di Cassazione. In questa sede i giudici hanno fatto presente che, nel momento in cui sia stata dimostrata la presenza di prelievi e versamenti su un conto corrente bancario, l’intestatario dello stesso deve dimostrare che le operazioni risultino essere collegate a delle somme incassate e regolarmente contabilizzate.

Anche per quanto riguarda i prelievi, questi devono essere destinati a degli acquisti di beni che siano transitati in contabilità. Oppure si devono riferire al sostenimento di un determinato costo.

Questo è il motivo, in estrema sintesi, per il quale la Corte di Cassazione ha respinto le osservazioni della società. Ma non solo. I giudici hanno spiegato che in tema di accertamenti gli articoli 32 del Dpr n. 600/1973 e 51 del Dprs n. 633/1972 stabiliscono chiaramente una:

Presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancaria, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione.

Per prendere la loro decisione i giudici hanno quindi tenuto conto che:

  • per determinati conti correnti i contribuenti non avevano prodotto alcun tipo di documentazione che potesse essere portata a sostegno delle movimentazioni effettuate;
  • per determinati conti correnti le parti chiamate in causa non erano riuscite a provare l’irrilevanza reddituale.

Gli accertamenti effettuati dall’Agenzia delle Entrate su ogni singolo rapporto bancario, quindi, risultavano essere legittimi. Il ricorso della società è stato respinto.

Conto corrente al vaglio dell’Agenzia delle Entrate

Ricordiamo che il conto corrente, da sempre, è sottoposto ai controlli dell’Agenzia delle Entrate, che grazie alla Legge di Bilancio 2020 può appoggiarsi sull’anonimometro, uno strumento che a settembre 2023 ha ottenuto il via libera anche dal Garante della Privacy.

Grazie a questo strumento, l’AdE è in possesso delle informazioni su disponibilità e movimentazione di ogni singolo conto corrente intestato ai contribuenti. Ed è autorizzata a confrontarli con quelli disponibili all’interno delle proprie banche dati.

Complessivamente l’Agenzia delle Entrate è in possesso di qualcosa come 200 archivi sui redditi e sulle spese sostenute dai singoli contribuenti, che permettono agli uffici preposti di avere un quadro completo della situazione di ogni singolo contribuente.

In sintesi

I contribuenti sono tenuti a giustificare i movimenti sul proprio conto corrente. Sia quelli in entrata che quelli in uscita, soprattutto se sono delle società. La documentazione può essere richiesta dall’Agenzia delle Entrate nel momento in cui si dovesse accorgere che sono state effettuate delle operazioni che si discostano da quanto dichiarato da un particolare soggetto.