Fra le diverse novità in arrivo in ambito fiscale, desta particolare interesse l’ipotesi di un concordato preventivo biennale tra Fisco e aziende cui il governo sta pensando nell’ambito del ddl delega sulla riforma fiscale. Un concordato che bloccherebbe le tasse per due anni a PMI e piccole Partite Iva e, nelle intenzioni del Ministero delle Finanze, dovrebbe riscrivere le regole della lotta all’evasione fiscale in senso preventivo e non più repressivo.
Cambio di paradigma
“I precedenti governi – aveva detto Giorgia Meloni in una intervista di inizio febbraio al Sole 24 Ore – hanno portato avanti la lotta all’evasione fiscale puntando su sistemi poco efficaci e incentrati sulla riscossione, ma senza ottenere risultati significativi”. La sua idea, invece, è quella di “far parlare in modo preventivo l’amministrazione finanziaria con i cittadini”. Una strategia che punterebbe tutto “sugli strumenti in grado di favorire l’adempimento spontaneo“. Dunque, una sorta di patto sulla fiducia tra l’erario pubblico e i singoli soggetti interessati. “Per le piccole e medie imprese – ha concluso Giorgia Meloni – arriveremo all’istituzione di un concordato preventivo biennale“.
Cos’è il concordato preventivo biennale
Secondo l’interpretazione fornita dai responsabili economici di Fratelli d’Italia (in primis dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo), il concordato preventivo tra Stato e cittadino dovrebbe prevedere questo iter: le agenzie fiscali – con tanto di banche dati a disposizione – sarebbero autorizzate a formulare una stima del reddito lordo su cui il singolo contribuente dovrà pagare le tasse nei due anni successivi. Di qui in avanti, la partita si gioca tutta sulle valutazioni della persona fisica: se accetta il valore ipotizzato, non dovrà pagare nessuna altra imposta sull’eventuale eccedenza e non verrà sottoposto ad alcun genere di accertamento.
Il concordato biennale consentirebbe quindi di stimare insieme al Fisco un certo imponibile, che rimane fisso per i successivi due anni e sul quale si calcolano le tasse “senza sorprese”. Il contribuente paga quindi le imposte in base a questo accordo, anche se nel periodo in oggetto i ricavi sono più alti o più bassi.
Stando a quanto filtra da ambienti di governo, non sarà la piccola impresa o il titolare di lavoro autonomo a chiedere di attivare il concordato preventivo, bensì sarà l’Agenzia delle Entrate a proporlo sulla base dei dati che ha disposizione sull’attività economica, con l’obiettivo di andare incontro al contribuente.
In sostanza il Fisco analizza i dati che arrivano dalla fatturazione elettronica e dagli scontrini telematici, e sulla base delle risultanze può decidere di proporre al contribuente di attivare il concordato preventivo biennale. Che può riguardare le imposte sui reddito, quindi IRPEF (redditi persone fisiche) e IRES (redditi delle imprese), e l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive). Non sarebbe invece compresa l’IVA, che quindi continuerebbe a essere versata in base alle operazioni effettivamente realizzate.
Non c’è obbligo di accettare la proposta di concordato biennale: l’impresa o il professionista possono decidere se aderire o meno, valutandone la convenienza effettiva. E’ conveniente se si prevede di aumentare il fatturato nel biennio successivo, è al contrario sconsigliabile se si prevede una flessione.
I dubbi sul concordato preventivo biennale
Non spono mancate, dall’opposizione e dagli addetti ai lavori, parecchie critiche all’ipotesi in campo. Il rischio concreto pare infatti quello di trasformare uno strumento per far emergere le mancate dichiarazioni in una sorta di “smacchiatore” per i contribuenti disonesti. Questo per un motivo molto semplice: un potenziale evasore potrebbe trovare conveniente giungere ad un patto con lo Stato per il versamento di una quota concordata di imposte, dato che da lì in poi non avrebbe più alcun obbligo di pagamento per i successivi due anni. Potendo quindi continuare a compiere i propri atti illeciti e contando inoltre su un’attenzione più attenuata da parte degli organi deputati al controllo. L’evasione rischia di non scendere bensì crescere, e con essa anche le tasse.