Evasione delle tasse, lavoriamo 5 mesi per coprire chi non paga

Secondo un'indagine della Cgia di Mestre, i contribuenti lavorano per 156 giorni per coprire il buco nel Fisco provocato dagli evasori

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Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

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Pressione fiscale alle stelle soprattutto per coprire gli evasori. È quanto sostiene la Cgia di Mestre in uno studio in cui si stima che 2,5 milioni di italiani non paghino le tasse. Per compensare questo ammanco all’Erario, i contribuenti sarebbero costretti a lavorare 156 giorni, necessari per la retribuzione dei dipendenti pubblici, finanziare il sistema sanitario, la scuola, i trasporti, la sicurezza e, in generale, sostenere tutta la macchina statale.

Secondo l’elaborazione dell’ufficio studi, i contribuenti pagano il Fisco per garantire i servizi a se stessi e alla propria famiglia nei restanti 209 giorni, dal 6 giugno al 31 dicembre.

Gli evasori in Italia

Il calcolo dell’associazione dei piccoli imprenditori si basa sui dati dell’Istat, aggiornati al 2022, sui lavoratori in nero in Italia: circa 2,5 milioni di persone occupate irregolarmente che non pagano i contributi o li versano soltanto in parte.

Geograficamente questa moltitudine di evasori è individuata in termini assoluti soprattutto in Lombardia (379.800 persone), nel Lazio (319.400) e in Campania (270.200).

In rapporto al totale degli occupati in ogni regione, il tasso di lavoratori irregolari più alto si registra invece in Calabria, pari al 17,1%, seguita dalla Campania con il 14,2% e dalla Sicilia con il 13,6%, per una media in tutta Italia del 9,7%.

La pressione fiscale

Un quadro che inevitabilmente va incidere sul livello di tasse in Italia. Come ricordato dalla Cgia di Mestre, la pressione fiscale più bassa negli ultimi 30 anni risale 2005, quando era pari al 38,9% del Pil e per pareggiare all’ammanco del Fisco servivano 142 giorni, due settimane in meno rispetto ad oggi.

Rispetto alle grandi economie europee, l’Italia ha un’imposizione di 1,8 punti più alta della Germania e di ben 5,4 punti sopra quella della Spagna, ma inferiore alla Francia (45,2). Tra i Paesi Ue, oltre ai cugini d’Oltralpe, il peso tributario maggiore si registra in Danimarca (45,1%), Belgio (45,1), Austria (44,8) e Lussemburgo (43).

Secondo quanto calcolato nel Documento di economia e finanza per il 2025, infatti, nel nostro Paese si stima una pressione fiscale del 42,7%, in aumento del +0,1% rispetto al 2024.

Un incremento che, secondo l’analisi dell’Ufficio studi, non sarebbe dovuto tanto a un aumento delle tasse, ma agli interventi di natura economica del Governo Meloni, dalla decontribuzione a favore dei redditi da lavoro dipendente resa più incisiva nel 2024 all’accorpamento dei primi due scaglioni di reddito Irpef.

Da quest’anno, infatti, il taglio del cuneo fiscale ha portato a un aumento delle detrazioni Irpef e all’introduzione di un bonus esente dall’imposta, destinato ai i redditi da lavoro dipendente sino a 20mila euro.

In generale, il peso dell’aumento delle tasse sul carico fiscale è ritenuto relativo e riguarda in particolare:

  • l’aumento delle accise su sigarette e tabacchi;
  • l’incremento dell’Iva su alcuni prodotti per l’infanzia/igiene femminile;
  • l’aumento dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei terreni e delle partecipazioni per l’anno 2024;
  • la riduzione delle detrazioni delle spese per le ristrutturazioni edilizie e il risparmio energetico per l’anno 2025.