Non si fermano le pressioni sull’Ucraina da parte di Donald Trump, pronto a interrompere il servizio satellitare di Starlink se Kiev non firmerà l’accordo sulle terre rare. Il capo della Casa Bianca sarebbe intenzionato a usare la minaccia del ritiro del sistema satellitare di Elon Musk, come leva per costringere Volodymyr Zelensky ad accettare la proposta di sfruttamento delle risorse minerarie del Paese da parte degli Stati Uniti.
Il presidente ucraino aveva già bocciato la bozza del documento presentato dal segretario al Tesoro statunitense, Scott Bessent, lo scorso 12 febbraio, in cui si chiedevano il 50% delle terre rare, petrolio e gas, come contropartita per gli aiuti e le armi già ricevute dagli Usa. Di fronte alla carta Starlink, Zelensky si troverebbe però con le spalle al muro.
La carta Starlink
Secondo quanto riportato da Reuters, citando tre fonti informate direttamente sui negoziati, la minaccia del ritiro del sistema satellitare di proprietà di Elon Musk è affiorata durante i nuovi colloqui tra il capo di Stato e l’inviato speciale statunitense, Keith Kellogg.
“L’Ucraina funziona con Starlink. Lo considerano la loro stella polare” avrebbe affermato una delle fonti, specificando che per Kiev “perdere Starlink sarebbe un duro colpo“.
Zelensky ha respinto la prima versione dell’accordo per diversi aspetti problematici e per la mancanza di garanzie, ma alla luce delle nuove condizioni l’accordo avrebbe ricevuto un’accelerazione improvvisa.
Il nuovo accordo
Da quanto riportato dal New York Times, la nuova proposta dovrebbe costringere Kiev a versare 500 miliardi di dollari in un fondo che gli Usa dovrebbero utilizzare a copertura del sostegno militare ed economico già destinato all’Ucraina e, si ipotizza, in parte anche per la ricostruzione del Paese e la realizzazione di infrastrutture per lo sfruttamento delle risorse naturali.
Stando alle ricostruzioni, la somma, che non rientrava nel precedente accordo e che sarebbe pari a più del doppio del Pil del Paese prima della guerra, dovrebbe essere ricavata dalla rinuncia di Kiev a metà degli introiti derivati da minerali, gas e petrolio, oltre ai guadagni provenienti dai porti e da altre infrastrutture.
Gli interessi Usa sulle terre rare
Il tentativo degli Stati Uniti di fare leva sulla debolezza ucraina rispecchiano le mire di Donald Trump sulle terre rare non ancora sfruttate nel Paese, che valgono già oggi 11 miliardi. Risorse che avrebbero una prospettiva di crescita sul mercato del 7,4% annuo, fino a raggiungere i 21,7 miliardi entro il 2031.
Questi 17 elementi chimici sono essenziali nella corsa alle nuove frontiere tecnologiche, in cui gli Usa sono costretti a inseguire la Cina.
Pechino è il primo produttore mondiale di materie prime critiche con 240mila tonnellate ogni anno, pari al 70% del totale nel mondo e con un export cresciuto del 6% nel 2024. Secondi sono gli Stati Uniti, ma con una produzione che lo scorso anno ha raggiunto quota 43mila tonnellate e con più del 95% delle terre rare importate tra il 2019 e il 2022 per il proprio consumo.
Numeri che nella gara per lo sviluppo tecnologico dell’AI e la transizione energetica non reggono il confronto con il gigante asiatico. Per questo a Donald Trump fanno gola le materie prime critiche nel sottosuolo ucraino, presenti, secondo quanto stimato dall’istituto geologico del Paese, in una quantità di 2,6 miliardi di tonnellate.
A complicare i piani della Casa Bianca è però la posizione dei giacimenti di risorse energetiche e minerarie: secondo i numeri riportati da Ansa, l’11% delle riserve di petrolio, il 20% dei giacimenti di gas naturale, il 63% delle miniere di carbone, il 42% di metalli e il 33% delle terre rare e altri minerali essenziali, si troverebbero nei territori ucraini sotto il controllo russo.