Mentre in Ucraina l’orrore della guerra non accenna a finire, con bombardamenti che proseguono e negoziati tra Mosca e Kiev che non riprendono, ci sono Paesi che tentano di costruire i possibili pilastri di una pace duratura. Tra questi spicca l’Italia, che tramite il ministero degli Esteri ha presentato all’Onu un piano in quattro tappe per porre fine alle ostilità inaugurate il 24 febbraio dalla Russia.
Le quattro mosse dell’Italia per porre fine al conflitto
Il documento elaborato alla Farnesina, in stretto coordinamento con Palazzo Chigi, è stato presentato a New York dal ministro Luigi Di Maio durante un colloquio con il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Alcuni contenuti della bozza sono stati anticipati agli sherpa del G7 e del Gruppo Quint.
- Il primo passo è il più arduo e riguarda il cessate il fuoco, con il conseguente smantellamento della linea del fronte in Ucraina. La difficoltà principale risiede nel fatto che la proposta andrà negoziata mentre i due Paesi sono in conflitto, senza ricorrere a una tregua. La sperata smilitarizzazione del campo di battaglia dovrebbe poi fungere da viatico verso la definitiva cessazione delle ostilità.
- La seconda tappa della proposta italiana si riferisce allo status internazionale dell’Ucraina dopo la guerra. L’opzione migliore, secondo l’amministrazione Draghi, contempla la neutralità del Paese. Quest’ultima godrà di una “garanzia” internazionale: la compatibilità con l’eventuale ingresso nell’Unione europea. Anche questo nodo andrà sciolto con un negoziato multilaterale.
- Il terzo punto della road map si concentra sulla questione dei territori e dei confini, con particolare attenzione a Crimea e Donbass. Russia e Ucraina dovranno dunque mettersi d’accordo sulle zone contese. Queste ultime godrebbero praticamente di una piena autonomia, a patto però che Kiev conservi la sovranità sull’intero territorio nazionale. Il dossier affronta anche le disposizioni legislative e costituzionali e le misure politiche di autogoverno, oltre alla regolamentazione dei diritti linguistici e culturali, alla libera circolazione e alla la conservazione del patrimonio storico.
- Il quarto e ultimo passo tratta delle garanzie internazionali e propone un accordo multilaterale sulla pace e sulla sicurezza in Europa. Bruxelles e Mosca dovranno dunque riorganizzare rapporti reciproci ed equilibri internazionali. Con alcune priorità: stabilità strategica, disarmo e controllo degli armamenti, prevenzione dei conflitti e misure di rafforzamento della fiducia. Per quanto riguarda l’esercito russo, si dovranno stabilire i termini del ritiro dal suolo ucraino. L’intenzione è quella di tornare allo status precedente all’invasione e di avviare un progressivo allentamento delle sanzioni ai danni di Mosca.
A chi sarà affidata la supervisione del piano?
Prima del passaggio da una tappa all’altra, “andrà testata la lealtà agli impegni assunti dalle parti”. Il compito di supervisione sarà affidato a un Gruppo internazionale di Facilitazione (Gif), formato da Stati e organizzazioni internazionali, in primis Onu e Ue. Al momento non esiste una lista ufficiale di Paesi da coinvolgere nel progetto, anche se le nazioni “papabili” sono le stesse che da settimane ormai si propongono come “arbitri internazionali” del conflitto. Oltre che dell’Italia, parliamo di Francia, Germania, Turchia, Stati Uniti, Cina, Canada, Regno Unito, Polonia e Israele.
Nel documento illustrato da Di Maio all’Onu si legge che il Gif “favorirebbe attività di monitoraggio, il dispiegamento di contingenti di pace e l’istituzione di missioni di osservatori“. L’obiettivo è quello di “assicurare l’attuazione delle varie intese raggiunte dalle Parti con l’assistenza e il sostegno internazionali”. Il Gruppo dovrebbe inoltre promuovere il coordinamento multilaterale per gli aiuti e per il sostegno alla ricostruzione attraverso “una Conferenza di donatori” (qui parliamo del cambio di strategia e dell’apertura a Mosca da parte degli Stati Uniti).
Le posizioni di Russia e Ucraina
Nel Donbass proseguono senza tregua gli scontri e i combattimenti, che devastano sia le città che le zone rurali e industriali. I colpi di mortaio e i bombardamenti non risparmiano neanche i boschi, dove è in atto un’autentica guerriglia. Da un lato la Russia ribadisce di continuo la sua linea dura nel rivendicare le zone occupate, dall’altro il governo Zelensky sembra aver acquisito una maggiore spavalderia diplomatica e militare.
Oltre a respingere i russi da alcune zone del Paese e alla resistenza attiva (qui parliamo delle difficoltà incontrate da Vladimir Putin anche sul fronte interno e dell’aria di crisi in Russia), Kiev ha definito “sacre” e “non barattabili” l‘integrità territoriale e la sovranità nazionale. Le parole della vice degli Esteri, Emine Dzhaparova, hanno poi assunto toni decisamente più accesi: “Quando diciamo che vogliamo la pace, la soluzione non può essere quella di mettere in discussione i nostri interessi vitali. Per noi la fine di questa guerra è la fine dell’occupazione della Crimea del Donbass e delle altre regioni del nostro Paese, quando non ci sarà più nessun soldato russo“.
Il piano è attuabile? Cosa sta succedendo in Ucraina e gli scenari
Dopo la resa dei combattenti dell’acciaieria Azovstal, che sancisce il controllo definitivo di Mariupol, gli sforzi russi si stanno concentrando su Severodonetsk. Si tratta di una città chiave per le sorti della guerra, caposaldo e autentico fortino ucraino del Donbass, che le forze di Kiev hanno dotato di fortificazioni sin dal 2014. Si prepara dunque un’altra brutale battaglia casa per casa. Il controllo della città è cruciale per entrambi gli Stati maggiori.
- In caso di vittoria russa, Putin ribalterebbe almeno sul piano propagandistico le sorti di un conflitto finora fallimentare. Con Mariupol e Severodonetsk, la Russia puntellerebbe la propria presenza nell’est ucraino allungando la propria frontiera militare fino al confine naturale rappresentato dal fiume Severskij Donec.
- In caso di vittoria ucraina, l’esercito russo non sarebbe più in grado di garantire l’iniziativa militare e non disporrebbe più di riserve da gettare nella mischia. La guerra di Putin diventerebbe così una guerra difensiva in tutto e per tutto, almeno fino alla possibile e paventata mobilitazione generale. Per contro, l’Ucraina avanzerebbe sul campo con maggiore aggressività, contrastando ogni mossa di Mosca.
Nonostante le missioni compiute dall’esercito, l’Ucraina sta pagando il prezzo più alto di questo conflitto. E lo sta pagando in termini di uomini e mezzi, ma anche di territorio devastato. È vero che l’Occidente ha fornito a Kiev un cospicuo numero di armi ed equipaggiamenti, ma è altrettanto vero che i soldati ucraini non sono in grado di usare i veicoli corazzati e semoventi della Nato. E il tempo per un addestramento completo non c’è. A complicare tutto concorre poi un’economia in tragico affanno, che con la chiusura dei porti rischia di bloccare le esportazioni di cereali e, di conseguenza, il raccolto del grano.
Secondo diversi analisti, nel giro di un paio di settimane si potrebbe però arrivare allo stallo militare. Terminata l’ondata di raid e contrattacchi, le parti potrebbero dunque convincersi a deporre gradualmente le armi per sedersi stabilmente al tavolo dei negoziati. A quel punto il percorso di tregua e pace proposto dall’Italia potrebbe concretizzarsi.