Volkswagen cede il primo stabilimento dopo la crisi, addio alla fabbrica in Cina

L'azienda tedesca Volkswagen ha venduto il suo primo impianto in Cina, non solo a causa della crisi

Foto di Matteo Runchi

Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Pubblicato: 27 Novembre 2024 12:33

È cominciata la vendita degli stabilimenti Volkswagen, dalla Cina. Il gruppo tedesco ha deciso di cedere a Shanghai Motor Vehicle Inspection Certification la sua fabbrica di Urumqi. La decisione è però dovuta non tanto alla crisi che l’azienda tedesca sta attraversando, ma alle accuse rivolte dalla comunità internazionale alla Cina di violazioni dei diritti umani sulla popolazione locale della regione in cui si trova la fabbrica lo Xinjiang.

Lo stabilimento era comunque in grave crisi. La produzione di auto si era ridotta a causa della flessione del mercato locale e della forte concorrenza delle case automobilistiche cinesi.

Volkswagen cede la sua prima fabbrica

L’impianto Volkswagen della città cinese di Urumqi, nella regione dello Xinjiang, sarà venduto alla Shanghai Motor Vehicle Inspection Certification. Una decisione che conferma il momento di difficoltà del gruppo tedesco, che sta affrontando una fase di forti riduzioni della spesa per compensare le perdite di introiti dovute alla crisi del settore automotive.

La fabbrica era in difficoltà da diverso tempo. La riduzione del potere di spesa dei cittadini cinesi dovuta al rallentamento dell’economia del Paese e la concorrenza delle aziende locali, sussidiate dallo Stato, avevano ridotto progressivamente l’attività dell’impianto. La produzione era praticamente ferma da mesi, con soltanto 10mila automobili prodotte ogni anno.

Un’altra ragione per la vendita di questa fabbrica è però il luogo in cui è stata costruita. Lo Xinjiang, regione occidentale della Cina, è abitata da una popolazione musulmana non etnicamente cinese. Diversi osservatori internazionali hanno accusato Pechino di aver attuato una politica di repressione della cultura locale, con programmi di rieducazioni in campi appositi per gli Uiguri, gli abitanti di questa regione, che si rifiutano di abbandonare le proprie radici culturali. A queste accuse se ne sono aggiunte altre di sfruttamento e violazione dei diritti umani che rendevano sconveniente per un’azienda occidentale avere un impianto nello Xinjiang.

La crisi di Volkswagen in Cina

La crisi della Cina e il mutamento dell’atteggiamento del regime di Pechino nei confronti dell’occidente sta alla base della crisi di Volkswagen e di tutta l’economia tedesca. Per la Germania e per il gruppo automobilistico, il Paese è sempre stato un importante mercato di sbocco che ha permesso di aumentare fortemente le esportazioni, oltre che la sede di molti fornitori di riferimento per la componentistica.

Dopo la pandemia da Covid-19 però, la Cina non è riuscita a tornare a crescere ai ritmi precedenti, a causa di una serie di fattori tra cui i dazi americani e lo scoppio della bolla immobiliare. Il governo ha reagito cambiando la propria politica, con un atteggiamento sempre più ostile verso l’occidente.

Questo ha causato un calo generalizzato delle vendite di prodotti europei e americani in Cina, una dinamica che ha contribuito anche alla crisi del lusso italiano. Volkswagen ha visto crollare le proprie vendite in Cina anche a causa della competizione delle nuove case automobilistiche locali, come BTD, che si sono specializzate nella produzione di auto elettriche. L’Ue ha accusato Pechino di aver sussidiato queste società per permettere loro di produrre a un prezzo inferiore a quello delle aziende occidentali, facendo quindi concorrenza sleale.