Ucraina, quanto spende l’Italia per le armi

L'Italia non si tira indietro nell'aiutare l'Ucraina con nuove armi, ma quanto spende il nostro Paese in materia militare? Le cifre nell'ultimo report Nato

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Luca Bucceri

Giornalista economico-sportivo

Giornalista pubblicista esperto di sport e politica, scrive di cronaca, economia ed attualità. Collabora con diverse testate giornalistiche e redazioni editoriali.

La guerra in Ucraina va avanti ormai da oltre un anno, ben 393 giorni di conflitto in archivio in un Paese che non è mai stato lasciato solo dall’Europa. Ogni giorno, infatti, non si fa altro che parlare degli aiuti a Kiev e dei nuovi possibili arsenali da mandare in Ucraina, con il Regno Unito che ha di recente parlato dell’invio di armi all’uranio impoverito che hanno provocato la reazione della Russia.

In questo scenario, ovviamente, l’Italia non resta a guardare e fa quel che può. Prima col governo Draghi e ora con quello Meloni, infatti, da Roma prosegue l’appoggio all’Ucraina e il cammino al fianco di Kiev per arrivare alla pace, senza però arrendersi alla Russia. In un recente intervento in Parlamento, così come in Europa, la premier ha ribadito l’appoggio alla causa, rinnovando ancora una volta la disponibilità a mandare armi. Ma quanto spende l’Italia in materia militare?

Spese militari dell’Italia, il bilancio nel 2022

A dare un quadro delle spese che l’Italia affronta in materia militare è il rapporto annuale della Nato. Nelle stime pubblicate nell’ultimo resoconto, che si riferisce al 2022, il Bel Paese ha sborsato l’1,51% del Pil, in leggera diminuzione rispetto al dato del 2021 (1,57%). Ma guardando alle spese complessive, quella diminuzione dello 0,55% non sembra esserci.

Rispetto al 2021, in cui la spesa era stata di 28,01 miliardi di euro, nel 2022 gli stanziamenti della Difesa sono aumentati e hanno toccato quota 28,75 miliardi. Il perché della variazione? Ovviamente il Pil dal 2021 al 2022 è cambiato, passando da 1.186 miliardi a 1.930 miliardi, ecco il perché del minor impatto seppur con spese superiori.

Guardando poi a un altro periodo d’aiuto all’Ucraina, come il 2014 in occasione dell’annessione della Crimea alla Russia e l’inizio della guerra in Donbass, la percentuale della spesa italiana in difesa era dell’1,14% rispetto al Pil. Ma sembra comunque che l’Italia non fermerà qui i suoi investimenti in materia di Difesa.

Altri aiuti all’Ucraina, la situazione

Il segretario generale della Nato, Jen Stoltenberg, qualche settimana fa aveva sottolineato che i Paesi membri avrebbero dovuto tenere una linea comune sulle spese militari. Un 2%, ha detto, che anche la premier Giorgia Meloni sarebbe intenzionata a raggiungere. La presidente del Consiglio, infatti, intervenendo al Senato per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo, ha confermato di voler aumentare la spesa militare per arrivare all’obiettivo del 2% del Pil.

“Questo governo è abituato a difendere l’interesse nazionale: non abbiamo mai fatto mistero di voler aumentare i propri stanziamenti in spese militari, come hanno fatto i governi precedenti, magari di soppiatto, senza metterci la faccia. Noi la faccia ce la mettiamo convinti che rispettare gli impegni sia vitale per tutelare la credibilità e la sovranità nazionale”, aveva detto Meloni.

Nelle scorse ore ha poi ribadito: “Continueremo a sostituire l’Ucraina perché è giusto farlo”. Nel merito ha poi spiegato che l’Italia ha “formalizzato un sesto pacchetto di aiuti militari”, con invio di armi che “rafforzano soprattutto le difese aeree” di Kiev.

Ma intanto c’è chi attacca le decisioni della premier. Il j’accuse arriva dall’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, guida del Movimento 5 Stelle, che in Parlamento ha puntato il dito contro le decisioni di Meloni e del suo esecutivo: “In Senato ha detto che sulle armi ci mette la faccia, noi prendiamo atto del suo appoggio alle lobby delle armi, lei la faccia ce la mette ma è una faccia di bronzo… ci state trascinando di gran carriera in guerra, e laddove l’esito è l’uso dell’arma atomica non possono esserci vincitori. Non possiamo sostenere l’invio di ulteriori aiuti militari e dobbiamo uscire dall’equivoco che questo sia l’unico modo per arrivare alla pace”.