La Russia riapre il gas verso l’Italia: quanto valgono le forniture

Il Nord Stream riapre i rubinetti, ma non abbastanza. Intanto l'Ue teme una nuova chiusura e propone un razionamento, provocando la reazione di alcuni Stati membri tra cui l'Italia

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

La forniture di gas russo verso l’Italia subiscono uno “scossone”. Dopo dieci giorni di stop per manutenzione, il gasdotto Nord Stream 1 ha ripreso a funzionare dalla mattina del 21 luglio. Sono tornate così ad aumentare i flussi verso il nostro Paese: consegnati 36 milioni di metri cubi di gas, per una crescita del 71,4% rispetto al giorno precedente. Nei giorni scorsi le consegne quotidiane di gas sono state nell’ordine di 21 milioni di metri cubi.

La Russia, insomma, riapre i rubinetti, ma di poco. E non allontana lo spettro di un possibile razionamento dei consumi, proposto dalla Commissione europea e respinto da Paesi mediterranei come Portogallo e Italia.

La Russia riapre i rubinetti del gas

Il gas riprende dunque a fluire verso la Germania e, da lì, nel resto d’Europa. Secondo l’agenzia russa Tass, che sono stati richiesti volumi pari a quelli forniti prima della temporanea chiusura, cioè per circa 67 milioni di metri cubi al giorno, che equivalgono al 40% della portata totale del gasdotto. L’operatore ucraino per il trasporto del gas Ogtsu riferisce anche dei flussi “azzurri” attraverso l’Ucraina, nella misura di oltre 42 milioni di metri cubi.

La riapertura energetica ha ridato slancio anche alla propaganda russa sul tema, co, portavoce del Cremlino Dmitri Peskov che definisce “false” le accuse di “ricatti verso l’Europa” e afferma che Mosca è “pronta rispettare gli impegni presi” e “resta cruciale per la sicurezza energetica” del Vecchio Continente.

Quanto vale il gas: schizzano i prezzi

Ufficialmente il Nord Stream aveva sospeso le attività per la manutenzione dell’impianto. Reuters ha però riferito che la turbina “incriminata” sarebbe ancora bloccata in Germania, dove avrebbe dovuto solo transitare dopo la riparazione in Canada. Nonostante le smentite del Cremlino, l’agenzia inglese sostiene che la Russia non avrebbe permesso alla turbina di oltrepassare il confine tedesco e tornare all’impianto del Nord Stream 1 vicino a San Pietroburgo, da dove aveva intrapreso il lungo viaggio.

La situazione ha fatto schizzare il prezzo del gas naturale in Europa, che si è subito avvicinato a 170 euro al Megawattora, attestandosi a 169,98 euro in rialzo del 6,5%. Tendenza confermata anche dopo 24 ore: ad Amsterdam il metano viaggiava oltre 163 euro al Megawattora con un rialzo del 4,95%. Ancora più marcato il rialzo a Londra, dove per ogni singola unità termica (Mbtu) vengono chieste 3,17 sterline (+7,23%).

Il piano d’emergenza dell’Ue e le resistenze degli Stati membri

In Europa cresce però il timore di nuove chiusure, che si rivelerebbero nefaste in inverno. Per questo motivo la Commissione Ue ha proposto agli Stati membri un piano d’emergenza che prevede il taglio dei consumi del 15% tra il primo agosto 2022 e il 31 marzo 2023. Le condizioni hanno messo in allarme le aziende produttrici, specialmente quelle energivore, e indotto la formazione di blocco di Paesi contrari alla misura.

A bloccare il piano di Ursula von der Leyen sono stati in primis Spagna e Portogallo, ai quali si è aggiunta anche l’Italia. Un “fronte mediterraneo” compatto che giudica troppo “drastica e sproporzionata” la proposta di Bruxelles. In particolare su due punti fondamentali:

  • il potere di dichiarare l’allerta energetica, che alcune capitali vorrebbero in capo al Consiglio europeo;
  • il target del 15% uguale per tutti i Paesi membri.

Quest’ultima soglia viene è considerata “troppo ambiziosa e difficile da raggiungere”. Le rimostranze sono pervenute anche da altri Stati dell’Unione, tra cui Grecia e Polonia, costringendo la Commissione a mettere mano al testo dopo un confronto con gli ambasciatori delle varie nazioni. L’obiettivo è quello di raggiungere un accordo in vista del Consiglio Affari Energia del 26 luglio.

La spaccatura interna all’Ue è testimoniata anche dalla decisione dell’Ungheria di bussare alle porte di Mosca per chiedere la fornitura di 700 milioni di metri cubi di gas aggiuntivi. Una mossa che rischia di minare la compattezza e la strategia politico-economica di Bruxelles.