Russia addio? L’Ue rimane senza gas e importa da un altro Paese

Il nuovo stop dei flussi da Gazprom rischia di complicare le situazioni dei Paesi europei, in particolare di Germania e Italia. Ma i governi e l'Ue hanno un piano

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

La guerra energetica messa in atto dalla Russia contro l’Occidente europeo non accenna a placarsi. Anzi, viene rilanciata con rinnovato vigore. Il colosso di Stato Gazprom ha infatti annunciato che chiuderà i rubinetti del Nord Stream, ufficialmente per “eseguire delle riparazioni programmate” all’impianto.

Si tratta di una mossa inedita che rischia di inguaiare i Paesi dell’Ue, in particolare Germania e Italia, che già hanno visto una sensibile riduzione delle forniture russe. Un autentico scenario da incubo per famiglie e imprese, che potrebbero vedere aumentare ancora (e di molto) i prezzi delle bollette.

Gazprom chiude i rubinetti del Nord Stream

Il principale gasdotto che trasporta i flussi d’energia azzurra dalla Federazione Russa all’Europa si ferma. I vertici di Gazprom hanno dichiarato che dall’11 al 21 luglio entrambe le stringhe del Nord Stream verranno bloccate completamente per attuare “test di componenti meccanici” e realizzare “sistemi di automazione”, ritardati da problemi tecnici emersi per la mancanza di una turbina canadese. Una motivazione che agli europei suona come un pretesto, l’ennesimo, messo in campo da Mosca nell’ambito del conflitto totale scatenato in territorio ucraino come in ambiti non militari a livello globale, dall’economia al settore alimentare.

La stangata che Gazprom rischia di produrre ai danni dell’Europa si basa anche su altri dati, come il calo dell’8,6% della produzione di gas nei primi sei mesi del 2022 e del 31% dell’esportazione verso i Paesi non aderenti alla Comunità degli Stati indipendenti (CSI, cioè le ex Repubbliche sovietiche). La media giornaliera di esportazioni a giugno è crollata di un quarto rispetto a maggio.

La situazione allarmante della Germania

La decisione del Cremlino rischia di abbattersi come un uragano sulla Germania, che aveva già subìto la riduzione del 40% delle forniture russe e che ha dovuto inoltrare la richiesta di aiuti di Stato da parte del principale distributore di metano (Uniper) per contrastare l’impennata dei prezzi. L’Agenzia delle reti tedesca ha inoltre annunciato che i depositi di stoccaggio del gas sono stati riempiti al 61%. Una situazione decisamente non facile che, se non vedrà interventi istituzionali, comporterà un inverno duro per i cittadini. Come ha più volte ribadito il ministro dell’Economia, Robert Habeck, sottolineando la necessità di portare le riserve almeno al 90%.

Secondo il numero uno di Uniper, Klaus-Dieter Maubach, il governo tedesco ha sul tavolo due ipotesi principali. La prima prevede crediti garantiti dallo Stato, anche se non è escluso che Berlino possa acquisire una quota del fornitore di metano. Attualmente il colosso Uniper è controllato a maggioranza dall’azienda energetica finlandese Fortum.

La situazione rischia però di sfuggire di mano. Da una parte il ministro Habeck ha concluso già importanti accordi per nuovi flussi di gas da Norvegia, Paesi Bassi e Algeria e ha accelerato la realizzazione di due rigassificatori nel Mare del Nord. Dall’altra però la crisi del metano potrebbe esplodere al punto da costringere la Germania a riavviare le centrali a carbone per non veder soffrire (o addirittura soccombere) settori industriali strategici come quelli della lavorazione dei metalli, chimico e della carta. Come se non bastasse, poi, Berlino deve vedersela con un’ondata di proteste divampate nella vecchia Germania Est a causa dell’embargo progressivo al petrolio russo imposto dal sesto pacchetto di sanzioni Ue alla Russia di Vladimir Putin. Centinaia di cittadini e dipendenti della Pck di Schwedt chiedono garanzie sulla riconversione del sito e sulla tutela dei posti del lavoro.

Le conseguenze per l’Italia

Per quanto riguarda l’Italia, la Russia ha ridotto del 15% i flussi previsti dai contratti di fornitura. La chiusura temporanea del Nord Stream per due settimane porterà a un arrivo di gas decisamente inferiore. La prima conseguenza è amara e inevitabile: “I prezzi aumenteranno perché il mercato del gas è speculativo e ci sarà una ulteriore corsa all’accaparramento”.

Secondo il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è dunque primario “accumulare gas, è una corsa contro il tempo perché con la guerra in Ucraina la Russia sta chiudendo i rubinetti e l’inverno non è lontano”. Da questo punto di vista non sussistono tuttavia particolari allarmismi, visto che “stiamo procedendo con un ritmo molto regolare e siamo attorno al 60% degli stoccaggi”. L’obiettivo è sempre quello del 90%, giudicato “raggiungibile” dal numero uno del MITE.

Nel caso in cui la Russia sospendesse del tutto i flussi di gas, l’Italia “subirebbe meno di altri Paesi europei, anche se comunque avremmo un inverno difficile e francamente nessuno vuole applicare misure restrittive“, ha sottolineato Cingolani. “Un conto è dire abbassiamo la temperatura del riscaldamento di un grado, o dire per qualche mese andiamo avanti con le centrali a carbone, perché intanto risparmiamo gas transitoriamente. Un altro conto è dire dobbiamo interrompere le attività. Questo noi cerchiamo di non farlo, e devo dire che ci troviamo in una posizione abbastanza buona in questo momento”.

Parlando poi del tema bollette ha poi annunciato lo stanziamento da parte del Governo di oltre 30 miliardi di euro in un anno per mitigare la folle corsa dei prezzi. Intanto l’Arera ha registrato un aumento del 70,7% del prezzo della bolletta del gas e un incremento del 91% per la bolletta elettrica.

L’Ue aumenta l’import di gas da un altro Paese per la prima volta

Bruxelles non è però certo rimasta a guardare. Mentre la fiamma azzurra del gas russo si affievolisce, l’Ue conta sempre più sulle forniture di altri Paesi, in particolare degli Usa. Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia, ha evidenziato come giugno sia “il primo mese nella storia in cui l’Unione europea ha importato più gas naturale liquido (GNL) dagli Stati Uniti che tramite gasdotto dalla Russia”. Una strategia energetica che risponde al calo dell’offerta russa con “sforzi per ridurre la domanda dell’Ue e prepararsi a un inverno rigido”. Da marzo le esportazioni globali di GNL in Europa sono aumentate del 75% rispetto al 2021 e quelle da oltreoceano sono quasi triplicate.

La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha affermato a Praga che “la Russia sta deliberatamente tagliando il gas verso l’Europa” e che Bruxelles “sta preparando un piano d’emergenza“, che dovrebbe vedere la luce per la metà di luglio. Un punto fondamentale sarà “la solidarietà“, ha aggiunto, mentre i due pilastri della strategia comunitaria saranno il “contenimento” della domanda e un miglior utilizzo delle interconnessioni all’interno dell’Unione. L’obiettivo generale è, insomma, liberarsi dal gas e avviare una rivoluzione verde grazie al PNRR è possibile.

Un ultimo dato per avere un quadro più chiaro: secondo gli ultimi dati, la domanda di gas da parte dell’Unione europea è scesa di 27 miliardi di metri cubi nel primo semestre del 2022 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, determinando un calo globale dei consumi di gas.