Per la siccità in Sicilia troppi fondi inutilizzati: la denuncia di Musumeci

Musumeci denuncia l'inutilizzo dei fondi per il contrasto alla siccità in Sicilia. Si cercano soluzioni alternative

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Pubblicato: 26 Luglio 2024 16:32

La Sicilia sta affrontando una delle peggiori crisi idriche degli ultimi cinquant’anni, con gravi conseguenze per l’agricoltura e la popolazione. Nonostante lo Stato abbia stanziato 1,2 miliardi di euro per combattere la siccità, solo il 30% di questi fondi sembra essere stato utilizzato. Il ministro per la Protezione Civile, Nello Musumeci, ha denunciato questa inefficienza, sottolineando l’urgenza di interventi concreti per utilizzare i fondi rimanenti entro il 2026.

Usato solo il 30% delle risorse per contrastare la crisi idrica: cosa sappiamo

Nonostante le gravi condizioni di siccità che affliggono la Sicilia, solo una minima parte dei fondi stanziati per combattere questa condizione sembra essere stata effettivamente utilizzata. Il ministro per la Protezione Civile e le politiche del mare, Nello Musumeci, ha dichiarato che lo Stato ha messo a disposizione 1,2 miliardi di euro per le regioni: 400 milioni per progetti già in essere e 800 milioni per nuove iniziative. Secondo il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Raffaele Fitto, solo circa il 30% di questi fondi risulta essere stato finora utilizzato.

Durante un punto stampa nella sede della Protezione Civile a Roma, Musumeci ha espresso preoccupazione per il ritardo nell’utilizzo dei fondi, sottolineando l’importanza di concludere i progetti entro giugno 2026. “Mi auguro che il dato non sia aggiornato o che ci sia un arretrato sul quale le regioni sapranno lavorare con grande impegno per recuperare il tempo perduto”, ha affermato il ministro.

Musumeci ha inoltre sottolineato che il piano contro la siccità prevede 500 interventi da realizzare in dieci anni, con un investimento di miliardi di euro. Solo dalla Sicilia sono arrivate 52 proposte di intervento. Ha quindi evidenziato la mancanza di nuove dighe in Italia da 40 anni, indicando la necessità di investire in infrastrutture moderne e sostenibili. Oltre alla costruzione di nuove dighe, sarebbe essenziale riqualificare la rete urbana di distribuzione dell’acqua, le cui condizioni fanno perdere il 42,2% dell’acqua immessa.

“Cominciamo a pensare all’acqua di mare e alle acque reflue. In alcune parti si stanno già realizzando strutture in questo senso. Si tratta di un processo lungo ma questo governo la strada l’ha già imboccata. Dobbiamo dotare il territorio delle necessarie infrastrutture. La cabina di regia lavora con grande impegno e speriamo che continuino ad arrivare dalle regioni i risultati sperati”, ha dichiarato il ministro.

Riconosciuto lo stato eccezionale per la Sicilia: i benefici

In risposta all’emergenza (ormai sistematica), la Conferenza Stato-Regioni ha approvato il riconoscimento delle “condizioni di forza maggiore e circostanze eccezionali” per tutta la Sicilia, un provvedimento richiesto dal governo regionale lo scorso 17 giugno.

Il riconoscimento, che necessita solo della firma del decreto da parte del ministro della Sovranità agricola, alimentare e forestale, sarà valido per il periodo di riferimento che va dal primo luglio 2023 fino a maggio 2024. Permetterà alle imprese agricole e zootecniche siciliane di usufruire di deroghe in vari ambiti della Politica agricola comune ed evitare l’applicazione di determinati vincoli su pascoli e terreni, continuare a ricevere aiuti e posticipare pagamenti, sanzioni e oneri.

Il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, ha espresso gratitudine ai ministri Lollobrigida e Calderoli per la rapida approvazione dell’iter. Schifani ha sottolineato l’importanza dell’intesa raggiunta, evidenziando come la grave emergenza idrica abbia posto la Sicilia in una situazione critica, paragonabile a quella di Marocco e Algeria. Ha quindi ribadito l’impegno del governo regionale nel contrastare la mancanza d’acqua su più fronti, con il sostegno delle istituzioni nazionali ed europee.

La Regione aveva già dichiarato lo stato di calamità naturale per i danni all’agricoltura e il razionamento adottato per la popolazione e ora ha ottenuto dal Consiglio dei ministri il riconoscimento dello stato di emergenza di rilievo nazionale. La situazione si è ulteriormente aggravata proprio nelle ultime settimane a causa della riduzione delle risorse idriche negli invasi e della conseguente indisponibilità di acqua per l’irrigazione.

Per il settore agricolo e zootecnico si stima una perdita della produzione nel 2024 che potrebbe variare dal 50% al 75%. Anche il turismo risente della condizione e la stagione ne sta già pagando le conseguenze.

Soluzioni per la siccità: una proviene dal sottosuolo

Si cercano soluzioni, una delle quali potrebbe arrivare da una scoperta archeologica. L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) ha individuato un vasto corpo idrico sotterraneo, formatosi circa 6 milioni di anni fa, situato tra i 700 e i 2500 metri di profondità sotto i Monti Iblei, nella Sicilia meridionale. La scoperta è stata resa possibile grazie a tecniche avanzate di modellazione tridimensionale del sottosuolo, sviluppate per la ricerca petrolifera. La riserva, stimata in 17,3 chilometri cubi di acqua, potrebbe essere utilizzata per mitigare la siccità attuale e futura.

Il corpo idrico, composto da acque dolci e salmastre, è stato preservato grazie a un abbassamento del livello del mare durante il periodo Messiniano, permettendo l’infiltrazione di acque meteoriche. Il problema principale di questa soluzione è che l’acqua non è immediatamente utilizzabile per il consumo umano a causa della salinità variabile.

Lorenzo Lipparini, ricercatore dell’INGV e dell’Università Roma Tre, ha raccontano l’importanza della scoperta e dell’approccio utilizzato, perché potrebbe essere applicato anche in altre regioni del Mediterraneo afflitte da carenza idrica, come Marocco, Tunisia, Egitto, Libano, Turchia, Malta e Cipro. La sfida ora è sviluppare un piano di utilizzo efficiente e rapido di queste risorse, che richiederà la collaborazione tra istituzioni, esperti e comunità locali.