Calo demografico e natalità in discesa: quanti sono i residenti in Italia

Natalità in discesa, più immigrati e meno emigrati, calo demografico più sensibile nel Mezzogiorno e popolazione residente straniera in crescita: i dati Istat del 2024

Foto di Federica Petrucci

Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Pubblicato: 4 Aprile 2024 12:44

Natalità in discesa, più immigrati e meno emigrati, calo demografico più sensibile nel Mezzogiorno e popolazione residente straniera in crescita: i dati Istat sui residenti in Italia nel 2024 ci permettono oggi di avere un quadro molto dettagliato sulla popolazione presente nel nostro Paese.

Perché sono importanti queste informazioni? In sintesi, i dati sulla popolazione e sui nati forniscono una base essenziale per la pianificazione e la gestione efficace delle risorse e delle politiche pubbliche, contribuendo alla stabilità e al benessere della società nel suo complesso.

Fatta questa premessa, vediamo nel dettaglio quello che è emerso dal report Istat sugli indicatori demografici in Italia pubblicato a marzo 2024.

Quanti sono i residenti in Italia

Al 1° gennaio 2024 la popolazione residente in Italia risulta pari a 58 milioni 990mila unità, in calo di 7mila unità rispetto alla stessa data dell’anno precedente (-0,1 per mille abitanti).

Confermando quanto già emerso nel 2022 (-33mila unità) prosegue il rallentamento del calo di popolazione che, dal 2014 al 2021 (-2,8 per mille in media annua), ha contraddistinto il Paese nel suo insieme.

La variazione della popolazione nel 2023 rivela inoltre un quadro eterogeneo tra le ripartizioni geografiche. Nel Mezzogiorno la variazione è negativa, peraltro consistente nella misura del -4,1 per mille. Nel Nord, invece, la popolazione aumenta del 2,7 per mille. Stabile quella del Centro (+0,1 per mille).

A livello regionale, la popolazione risulta in aumento soprattutto in Trentino-Alto Adige (+4,6 per mille), in Lombardia (+4,4 per mille) e in Emilia-Romagna (+4,0 per mille). Le regioni, invece, in cui si è persa più popolazione sono la Basilicata (-7,4 per mille) e la Sardegna (-5,3 per mille).

Sapere quanti sono i residenti in un paese e quanti sono i nuovi nati è importante per diversi motivi, tra cui:

  • la pianificazione delle risorse: conoscere la dimensione della popolazione aiuta i governi a pianificare l’alloggio, l’istruzione, i servizi sanitari e altri servizi pubblici necessari per soddisfare le esigenze della popolazione;
  • lo sviluppo di politiche sociali ed economiche: i dati sulla popolazione e sui nati influenzano la formulazione delle politiche sociali ed economiche, come quelle relative all’assistenza sanitaria, all’istruzione, all’occupazione e alla sicurezza sociale;
  • lo sviluppo economico: le informazioni sulla crescita della popolazione possono influenzare le decisioni di investimento e le strategie economiche. Ad esempio, un aumento della popolazione potrebbe indicare una domanda crescente di beni e servizi, incoraggiando gli investitori a espandere le loro attività;
  • la sostenibilità ambientale: una popolazione in crescita può esercitare pressioni sull’ambiente, ad esempio attraverso l’aumento del consumo di risorse naturali e la produzione di rifiuti. Monitorare la crescita della popolazione aiuta a sviluppare politiche e pratiche sostenibili per preservare l’ambiente;
  • la panificazione urbana e territoriale: i dati sulla popolazione sono essenziali per la pianificazione urbana e territoriale, compresa la determinazione della necessità di nuove infrastrutture, strade, trasporti pubblici e aree residenziali;
  • le previsioni demografiche: conoscere il numero di nati e la crescita della popolazione aiuta gli studiosi e gli esperti a fare previsioni sulla futura domanda di servizi e risorse, nonché sui cambiamenti demografici che possono influenzare la società e l’economia nel lungo termine.

E a proposito di previsioni demografiche, i dati relativi alle nascite forniti da Istat non sono certo rincuoranti.

Minimo storico di nascite

Con appena 379mila bambini venuti al mondo, il 2023 mette in luce l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Un processo, quello della denatalità, che dal 2008 (577mila nascite) non ha conosciuto soste. Secondo i dati provvisori, i nati residenti in Italia sono 379mila, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022). La diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è di 14mila unità (-3,6%). Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197mila unità (-34,2%).

Nonostante siano calati anche i decessi (661mila, l’8% in meno sul 2022, dato più in linea con i livelli pre-pandemici), quello che emerge è comunque un saldo naturale ancora fortemente negativo (-281mila unità).

L’Italia, come molte altre nazioni europee, affronta una sfida demografica che minaccia la sostenibilità del suo sistema previdenziale. Tuttavia, potrebbe esserci una luce in fondo al tunnel, e questa luce proviene dalle nascite dei migranti.

Infatti, ci sono due dati che si compensano, ovvero:

  • mentre la popolazione residente di cittadinanza straniera al 1° gennaio 2024 è di 5 milioni e 308mila unità, in aumento di 166mila individui (+3,2%) sull’anno precedente;
  • prosegue la riduzione della popolazione di cittadinanza italiana (53 milioni 682mila unità), 174mila in meno rispetto al 1° gennaio 2023 per una variazione pari al -3,2 per mille.

Inoltre, in relazione alle diverse dinamiche demografiche che distinguono il Centro-nord dal Mezzogiorno;

  • l’incidenza sulla popolazione totale tocca il 9%. Il 58,6% degli stranieri, con 3 milioni 109mila unità residenti al Nord, per un’incidenza dell’11,3%. Altrettanto attrattivo per gli stranieri è il Centro, dove risiedono un milione 301mila individui (24,5% del totale) con un’incidenza dell’11,1%. Più contenuta la presenza di residenti stranieri nel Mezzogiorno, 897mila unità (16,9%), che raggiunge un’incidenza appena del 4,5%.
  • in termini di nascite, decessi e trasferimenti di residenza, invece, tale variazione si concentra nel Mezzogiorno, ben 126mila italiani residenti in meno (-6,6 per mille);
  • nel frattempo, sfiora le 200mila unità il numero di cittadini stranieri che nel 2023 hanno acquisito la cittadinanza italiana, dato in linea con l’anno precedente (214mila), pur se in parziale calo.

Di fatto, questi dati evidenziano un trend demografico significativo che potrebbe avere impatti positivi sul sistema previdenziale italiano,. Anche se la riduzione della natalità riguarda indistintamente nati di cittadinanza italiana e straniera, le nascite dei migranti e l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di residenti stranieri contribuiscono a mantenere la popolazione residente in sostanziale equilibrio numerico, alleviando la pressione sul sistema previdenziale dovuta alla diminuzione della popolazione italiana nativa. In questo contesto, una politica migratoria inclusiva potrebbe rivelarsi non solo umanitaria, ma anche vantaggiosa dal punto di vista economico e sociale per l’Italia.

BILANCIO DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE PER RIPARTIZIONE GEOGRAFICA.
Fonte: ISTAT
BILANCIO DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE PER RIPARTIZIONE GEOGRAFICA.

Si fanno sempre meno figli

Secondo l’Istat anche il numero medio di figli per donna è sceso, da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023 e avvicinandosi di molto al minimo storico di 1,19 figli registrato nel lontano 1995. La contrazione del numero medio di figli per donna interessa tutto il territorio nazionale, in modo diverso nelle diverse aree geografiche. Ovvero:

  • al Nord diminuisce da 1,26 figli per donna nel 2022 a 1,21 nel 2023;
  • nel Centro da 1,15 a 1,12;
  • nel Mezzogiorno, il tasso di fecondità totale pari a 1,24, il più alto tra le ripartizioni territoriali, registra comunque una flessione rispetto all’1,26 del 2022.

In tale contesto, riparte la posticipazione delle nascite, fenomeno di significativo impatto sulla riduzione generale della fecondità, dal momento che più si ritardano le scelte di maternità più si riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. Dopo un biennio di sostanziale stabilità, nel 2023 l’età media al parto si porta a 32,5 anni (+0,1 sul 2022). Tale indicatore, in aumento in tutte le ripartizioni, continua a registrare valori nel Nord e nel Centro (32,6 e 32,9 anni) superiori rispetto al Mezzogiorno (32,2), dove però si osserva l’aumento maggiore sul 2022 (era 32,0).

La diminuzione del numero di figli in molti paesi, compresa l’Italia, è un fenomeno complesso determinato da una serie di fattori interconnessi che influenzano le scelte delle persone. Al di la di quelle che sono le scelte personali, però, ci sono alcuni motivi e condizioni che più di altri possono incidere du questa decisione, ovvero:

  • il cambiamento socio-culturale, quindi la trasformazione dei valori, delle aspirazioni e dello stile di vita delle persone;
  • la crescita economica e dei costi, poiché l’instabilità economica, la precarietà del lavoro e il costo sempre più elevato dell’educazione e della cura dei figli possono scoraggiare le persone dall’avere una prole numerosa. Inoltre, molte coppie ritardano l’inizio della maternità e paternità per garantirsi una situazione finanziaria più stabile e sicura prima di affrontare le responsabilità genitoriali.

Pertanto, affrontare questa sfida richiede politiche e interventi mirati che tengano conto di queste complessità e promuovano condizioni favorevoli per le famiglie e la natalità, soprattutto se si guardano i dati Istat relativi alla contrazione della fecondità, che riguarda sia le donne che gli uomini. La popolazione femminile fertile  – nelle età convenzionalmente riproduttive (15- 49 anni) – è scesa a 11,5 milioni al 1° gennaio 2024 (mentre era pari a 13,4 milioni  nel 2014 e a 13,8 milioni nel 2004). E anche la popolazione maschile fertile di pari età è scesa, ha subito lo stesso destino nel medesimo termine temporale, passando da 13,9 milioni nel 2004 a 13,5 milioni nel 2014, fino agli odierni 12 milioni di individui.

NUMERO MEDIO DI FIGLI PER DONNA PER RIPARTIZIONE GEOGRAFICA
Fonte: ISTAT
NUMERO MEDIO DI FIGLI PER DONNA PER RIPARTIZIONE GEOGRAFICA

Qual è l’età media della popolazione residente in Italia

Al 1° gennaio 2024 la popolazione residente in Italia presenta secondo l’Istat un’età media di 46,6 anni, in crescita di due punti decimali (circa tre mesi) rispetto al 1° gennaio 2023.

La popolazione ultrasessantacinquenne, che nel suo insieme a inizio 2024 conta 14 milioni 358mila individui, costituisce il 24,3% della popolazione totale, contro il 24% dell’anno precedente. Aumenta anche il numero di ultraottantenni, i cosiddetti grandi anziani: con 4 milioni 554mila individui, quasi 50mila in più rispetto a 12 mesi prima, questo contingente ha superato quello dei bambini sotto i 10 anni di età (4 milioni 441mila individui).

Diminuiscono invece gli individui in età attiva e i più giovani: i 15-64enni scendono da 37 milioni 472mila (63,5% della popolazione totale) a 37 milioni 447mila (63,5%), mentre i ragazzi fino a 14 anni di età scendono da 7 milioni 344mila (12,4%) a 7 milioni 185mila (12,2%).

Il Centro e il Nord, caratterizzati da una struttura di popolazione relativamente più anziana, presentano una proporzione di giovani (0-14 anni) rispettivamente pari al 12,1% e all’11,8%. Nel Mezzogiorno la quota è invece del 12,5%, ancora la più alta pur se in calo. La Liguria è la regione più anziana, con una quota di over 65enni pari al 29% e una di ultraottantenni del 10,3%. Seguono il Friuli-Venezia Giulia (27,1% e 9,2%) e l’Umbria (27% e 9,3%). La regione con le percentuali più basse di ultrasessantacinquenni e ultraottantenni è la Campania (20,9% e 5,6%), seguita dal Trentino-Alto Adige (22,1% e 7,2%) e dalla Sicilia (23,2 e 6,6%).

Il numero stimato di ultracentenari (individui di 100 anni di età e più) raggiunge a inizio 2024 il suo più alto livello storico, superando le 22mila e 500 unità, oltre 2mila in più rispetto all’anno precedente.

Un’età media elevata nella popolazione di un paese può essere problematica per diverse ragioni, se non controbilanciata da un adeguato numero di nascite o di popolazione giovane residente. Prima di tutto diventa difficile garantire la sostenibilità del sistema previdenziale e sanitario. Con un’età media elevata, c’è un aumento della domanda di servizi sanitari e assistenziali, specialmente per cure a lungo termine e pensioni. Se la popolazione attiva è ridotta rispetto alla popolazione anziana, diventa infatti più difficile finanziare tali servizi.

Questo può influenzare negativamente la crescita economica. Con meno persone in età lavorativa, c’è una riduzione della forza lavoro disponibile per sostenere l’economia attraverso la produzione, l’innovazione e la spesa dei consumatori. Ciò può portare a una diminuzione della produttività e della competitività globale del Paese.

Tale circolo vizioso può essere ancora di più alimentato dalla mancanza di misure governative adeguate per sostenere le famiglie. Ci vogliono però misure strutturali, non bonus una tantum. E se il governo non si attiva in questo senso,  potrebbero verificarsi gravi conseguenze economiche, sociali e demografiche che potrebbero mettere a rischio la stabilità e la prosperità a lungo termine dell’Italia.