A inizio agosto i mercati finanziari globali hanno sperimentato forti turbolenze. Nonostante il panico iniziale, da allora si sono ripresi, il che solleva dubbi sulle cause sottostanti e sulle conseguenze di tale volatilità. Stephen Dover, Chief Market Strategist e Head of Franklin Templeton Institute, si chiede se questa fase di agitazione sul mercato è stata solamente un episodio passeggero o se può fornire indicazioni preziose agli investitori per far fronte alle complessità dell’attuale contesto economico.
Molto rumore per nulla?
Qualche settimana fa i mercati erano in subbuglio. L’azionario globale è crollato, trascinato da una flessione del 12% dell’indice giapponese Nikkei il 5 agosto 2024, secondo peggior calo giornaliero di sempre. I rendimenti obbligazionari sono sprofondati, mentre lo yen, che tende in genere a trarre vantaggio da episodi di turbolenza sul mercato, ha subito un’impennata.
Ora i mercati sembrano essersi dimenticati di quest’episodio. I principali indici azionari si sono pienamente ripresi, i rendimenti obbligazionari hanno messo a segno un rimbalzo rispetto ai minimi di agosto e il dollaro USA ha guadagnato nuovamente terreno nei mercati valutari.
Le turbolenze di inizio agosto sono state “molto rumore per nulla”? Oppure la recente volatilità può fornire indicazioni preziose su ciò che ci aspetta?
Ecco le nostre conclusioni principali:
- Gli investitori devono sempre trovare un equilibrio tra rischio e rendimento. Quando si parla di mercati azionari globali la massima secondo cui il mercato “scala un muro di preoccupazioni” è sempre valida. Gli investitori devono essere disposti ad accettare la volatilità a breve termine come prezzo per godere di rendimenti positivi nell’arco di orizzonti temporali più lunghi. Non bisogna farsi intimorire dalla volatilità, bensì occorre comprenderne le fonti e attingere a questa conoscenza per regolare al rialzo o al ribasso le proprie esposizioni di mercato.
- I preoccupanti movimenti recenti dei mercati rispecchiano un certo mutamento dei fondamentali, ma secondo le nostre analisi tra i principali catalizzatori alla radice della turbolenza ci sono stati fattori connessi a posizionamento e leva finanziaria. Proprio come rimuovere i rami secchi in un bosco riduce il rischio di incendi catastrofici, riteniamo che la turbolenza di inizio agosto possa aver consentito al mercato di liberarsi dei frutti di comportamenti eccessivi da parte degli investitori rendendolo meno vulnerabile a episodi simili.
- La recente volatilità rispecchia un mutamento di ciò che conta di più secondo gli investitori. Per gran parte degli ultimi 18 mesi l’attenzione degli investitori, giustamente, si è concentrata sull’inflazione e sulla sua discesa esasperatamente lenta in quanto ostacolo principale per un rialzo dei mercati azionari globali o per una graduale riduzione dei tassi d’interesse. Ma oggi l’attenzione si è spostata sui timori in merito alla sostenibilità dell’espansione economica globale e, per estensione, all’evoluzione degli utili delle società.
Questione di fondamentali?
A contribuire alla rapidità e all’entità dell’ondata di volatilità di inizio agosto sono stati i fattori tecnici, come avvenuto in varie occasioni a partire dagli anni ‘90 con la diffusione di operazioni di “carry trade” sullo yen4. Una tale leva finanziaria rappresenta però un’arma a doppio taglio. In caso di oscillazione del valore degli asset gli investitori possono liquidare le proprie posizioni long e utilizzare i proventi per rimborsare i propri prestiti (in yen). Quella che ne deriva è in genere una brusca flessione di quelli percepiti come “asset rischiosi” (innanzitutto i titoli azionari), accompagnata da un forte apprezzamento della valuta nipponica. Mentre in fasi di rafforzamento dello yen il Nikkei spesso subisce un crollo per via dei timori sulla riduzione della competitività delle imprese giapponesi. Ed è esattamente ciò che è accaduto nella prima settimana di agosto.
Ma a contribuire alla volatilità è stato anche un secondo fattore tecnico: la concentrazione delle esposizioni azionarie. Il copione, negli ultimi anni, è stato quello di una massiccia sovraperformance dell’azionario statunitense trainato dai titoli growth mega-cap come quelli delle Magnifiche Sette5. Una leadership di mercato ristretta, esacerbata dalla prassi di investire in indici (che tende a privilegiare fortemente le mega-cap dal momento che i principali indici assegnano le proprie ponderazioni a seconda della capitalizzazione di mercato), ha fatto sì che le pressioni a vendere su una manciata di titoli abbiano contribuito alla rapidità e all’entità delle flessioni del mercato. Le azioni di diverse tra le maggiori aziende tecnologiche statunitensi, ad esempio, hanno ceduto oltre il 20% tra fine luglio e inizio agosto, contrazione pari a oltre il doppio di quella registrata dall’indice S&P 500 nel suo complesso6.
I fondamentali sono mutati?
Come abbiamo visto il sell-off del mercato è stato alimentato da fattori tecnici. Ma altrettanto importante è stata una serie di mutamenti nelle percezioni fondamentali dei rischi per gli utili.
Il principale catalizzatore del sell-off è stato un rapporto sull’occupazione USA più fiacco del previsto (con una crescita di posti di lavoro, ore lavorate e salari inferiore alle attese, oltre a un balzo del tasso di disoccupazione). La cattiva notizia è arrivata sull’immediata scia di un crollo dell’indice ISM per il settore manifatturiero statunitense, risultato inferiore alla soglia di 50 che segna il confine tra contrazione ed espansione. Si tratta di un segnale che i settori votati alla produzione di beni negli Stati Uniti sono già entrati in recessione.
Questi preoccupanti sviluppi si sono aggiunti ad altri timori sui rischi per l’espansione globale. Nel corso di tutto il 2024 si è assistito a una pericolosa escalation del conflitto in Medio Oriente e di quello tra Russia e Ucraina. E malgrado il rischio che la guerra in Medio Oriente si espanda mettendo a repentaglio le forniture energetiche i prezzi del greggio sono in discesa, potenziale segnale di debolezza della domanda globale. Le autorità cinesi, per giunta, hanno fatto ben poco per rassicurare gli investitori sull’incerta crescita dell’economia del paese. La Bank of Japan, al contempo, ha rivisto al rialzo i tassi d’interesse passando a una politica monetaria più restrittiva e facendo presagire un possibile ulteriore inasprimento.
A mutare, poi, è stato anche un altro fattore fondamentale: la politica statunitense. La decisione del presidente Biden di ritirarsi dalla corsa presidenziale ha cambiato le carte in tavola con il passaggio da una probabile vittoria di Donald Trump a un esito più incerto. Il cosiddetto “Trump trade”, basato sull’aspettativa, da parte degli investitori, di un taglio delle tasse e di una minore regolamentazione, ha cominciato a dipanarsi.
Come già detto gli investitori devono sempre “scalare un muro di preoccupazioni”. La realtà, però, è che le fonti di preoccupazione non sono sempre le stesse, bensì vanno e vengono e, a volte, possono mutare bruscamente. Gli investitori non hanno fatto neanche in tempo a doversi preoccupare meno dell’inflazione, arretrata negli Stati Uniti, in Europa e altrove, che hanno iniziato ad aumentare i timori sull’attività economica globale e sulle relative implicazioni per i profitti delle aziende. Un segno che le paure legate agli utili stanno divenendo più pronunciate è l’entità del sell-off subito dalle società che hanno comunicato utili inferiori alle previsioni. Nell’ultima stagione di presentazione dei risultati, secondo FactSet, il numero di tali aziende è risultato pari al doppio della propria media a cinque anni7.
Conclusioni e prospettive
In breve, sarebbe a nostro avviso sbagliato liquidare la turbolenza di mercato di inizio agosto come il capriccio di un bambino, ovvero “molto rumore per nulla”. Come quasi tutti gli aspetti dei mercati, le variazioni dei prezzi veicolano importanti informazioni. L’indicazione chiave che abbiamo tratto da quest’episodio è che “un posizionamento di mercato eccessivo ha creato vulnerabilità venute poi alla luce con il mutamento delle percezioni sulla crescita globale”.
Per questo crediamo che, d’ora in poi, “gli investitori dovranno essere consci del fatto che nella prossima fase a trainare le performance dei mercati azionari, obbligazionari, valutari e delle materie prime saranno le percezioni sull’attività economica, non sull’inflazione. Dal ritmo di crescita dipenderà quanto presto e rapidamente la Federal Reserve statunitense, la Banca Centrale Europea e la Bank of England potranno tagliare i tassi d’interessi e se la Bank of Japan proseguirà nell’inasprimento delle politiche monetarie. Da essa potrebbe anche dipendere se la Cina troverà il modo di stimolare la sua debole economia”.
Ma le percezioni sulla crescita, soprattutto, “potrebbero determinare cosa potranno aspettarsi gli investitori dal punto di vista dei futuri profitti aziendali, che potrebbe influire sulle valutazioni che saranno disposti a pagare a fronte di tali profitti”.