Decreto Terre rare, cosa aspettarci dall’economia all’ambiente

Il dopo decreto Terre rare apre a investimenti economici, riduzione di dipendenza da Paesi terzi e prezzi più bassi. Il lato oscuro è l'impatto ambientale, sulla salute e il turismo

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Le terre rare, un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica, sono fondamentali per la tecnologia moderna tra cui smartphone, veicoli elettrici, turbine eoliche e molti altri dispositivi (anche di natura militare) ad alta tecnologia. La loro importanza strategica è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni, rendendole un focus centrale per le politiche industriali e tecnologiche globali.

Recentemente, il governo Meloni ha emesso un nuovo decreto che mira a rafforzare la posizione dell’Italia nel settore delle terre rare, rispondendo alle dinamiche globali di domanda e offerta e alle pressioni geopolitiche. Quali saranno le conseguenze?

La situazione attuale in Europa e in Italia: la ricerca di indipendenza

Il decreto italiano sulle terre rare è il risultato di una serie di fattori globali e regionali. A livello globale, la Cina detiene una posizione dominante nella produzione e raffinazione delle terre rare, controllando circa l’80% dell’offerta mondiale (fig.1). Il monopolio ha sollevato preoccupazioni in Europa e negli Stati Uniti riguardo alla sicurezza delle forniture e alla dipendenza strategica da un singolo Paese, come accaduto per il gas proveniente dalla Russia. La pandemia, la guerra in Ucraina e i recenti dazi imposti su gallio, germanio e grafite hanno ulteriormente evidenziato la vulnerabilità dell’approvvigionamento di materie prime critiche.

Mappa terre rare
Fonte: Pdf Mimit
Mappa terre rare: verso l’estrazione in Italia (fig-1)

Inoltre, l’Unione Europea ha identificato le terre rare come materiali strategici essenziali per la transizione energetica e la digitalizzazione, spingendo i Paesi membri a cercare soluzioni per diversificare le fonti di approvvigionamento e incrementare la produzione interna. Il CRM Act dell’UE ha stabilito obiettivi ambiziosi per il 2030, tra cui:

  • estrarre almeno il 10% del consumo annuo dell’Unione;
  • raffinare almeno il 40%;
  • riciclare almeno il 25% e limitare l’importazione da un singolo paese extra-UE al massimo al 65%.

In questo contesto, il governo italiano ha deciso di intervenire con un decreto specifico per affrontare le sfide e cogliere le opportunità offerte dal settore delle terre rare. Nel decreto Terre rare si legge che si vuole promuovere la transizione digitale e verde, garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e rispettare i principi ambientali.

Il decreto infatti include una serie di misure mirate a incrementare la produzione interna di queste materie prime critiche. Una delle principali disposizioni è l’istituzione di un programma nazionale di esplorazione, che mira ad aggiornare la carta mineraria nazionale per identificare le risorse di terre rare presenti sul territorio. L’incarico è affidato a Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) per la mappatura e le indagini geochimiche e geognostiche necessarie.

Un’altra misura chiave è la creazione di un registro delle imprese strategiche. Questo registro servirà a monitorare il fabbisogno nazionale di terre rare e a condurre prove di stress per identificare le vulnerabilità nelle catene di approvvigionamento. Il decreto prevede anche l’avvio del Fondo Nazionale Made in Italy, con uno stanziamento di un miliardo di euro. Questo fondo è destinato a sostenere progetti di estrazione, trasformazione e riciclo delle terre rare, con l’obiettivo di rafforzare la filiera nazionale e ridurre la dipendenza dalle importazioni.

Gli obiettivi dichiarati dal governo con questo decreto sono chiari:

  • promuovere la transizione digitale e verde dell’industria nazionale, garantendo la disponibilità delle materie prime necessarie per realizzare queste trasformazioni;
  • garantire la sicurezza dell’approvvigionamento riducendo la dipendenza dalle importazioni, soprattutto da Paesi con minori tutele ambientali e con elevati rischi geopolitici;
  • incentivare l’estrazione, la raffinazione e il riciclo delle terre rare all’interno dell’Unione Europea, tutelando maggiormente i principi ambientali e riducendo l’impatto ecologico complessivo.

Cosa cambia (davvero) con il decreto Terre rare?

Il decreto si propone di mitigare gli impatti ambientali promuovendo l’estrazione e la raffinazione all’interno dell’UE, dove le normative ambientali sono più stringenti, garantendo così una maggiore tutela ambientale. Il Fondo Nazionale Made in Italy, con uno stanziamento di un miliardo di euro, è destinato invece a incentivare progetti di estrazione, trasformazione e riciclo, sostenendo la crescita e il rafforzamento delle filiere strategiche.

Sono diversi gli aspetti che il decreto tocca e che potrebbero subire dei cambiamenti:

  • l’impatto economico – perché con l’adozione del decreto sulle terre rare ci sarà l’investimento nel programma nazionale di esplorazione e nel Fondo Nazionale Made in Italy che stimolerà la creazione di nuove infrastrutture, ma ci saranno anche nuovi progetti di estrazione, che dovrebbero aumentare l’occupazione e la domanda di servizi correlati. A lungo termine, l’incremento della produzione interna di terre rare contribuirà a ridurre la dipendenza dalle importazioni, migliorando la bilancia commerciale dell’Italia e rafforzando la sua posizione nel mercato globale delle tecnologie avanzate;
  • l’impatto ambientale – perché l’estrazione e la raffinazione delle terre rare sono attività ad alto impatto ambientale, spesso associate a inquinamento del suolo e delle acque, oltre che a emissioni di gas serra. Il decreto prevede però misure per mitigare questi impatti, promuovendo pratiche di estrazione e raffinazione più sostenibili. Sarà Ispra l’incaricata di condurre indagini geochimiche e geognostiche dettagliate per minimizzare i danni ambientali. Nel testo del decreto è presente l’incentivo al riciclo delle terre rare per ridurre la necessità di nuove estrazioni, limitando ulteriormente l’impatto ecologico;
  • l’impatto sul mercato del lavoro – il decreto avrà un impatto significativo anche sul mercato del lavoro. Si prevede infatti la creazione di nuovi posti di lavoro nei settori dell’esplorazione, estrazione e raffinazione delle terre rare. Questi includono ruoli tecnici e scientifici, nonché opportunità per le imprese locali che forniscono servizi e tecnologie correlate. A lungo termine, l’aumento della produzione interna potrebbe portare a una maggiore stabilità occupazionale e a un rafforzamento delle competenze tecniche nel settore delle materie prime critiche.

Non mancano poi aspetti laterali, ma fondamentali, come quelli della ricerca e la sicurezza energetica. Se tutto va secondo i piani gli investimenti in ricerca e sviluppo contribuiranno a migliorare le tecnologie di estrazione e raffinazione, rendendole più efficienti ed ecocompatibili. Progetti pilota in corso, come quelli per il riciclo delle terre rare da rifiuti elettronici, potrebbero diventare modelli per pratiche sostenibili a livello globale. Anche la sicurezza energetica potrebbe essere una conseguenza dell’estrazione in casa di materie prime, infatti riducendo la dipendenza dalle importazioni, l’Italia e l’Europa potrebbero diventare più resilienti alle fluttuazioni dei mercati globali e alle crisi geopolitiche.

Le conseguenze economiche: gli effetti su costi di produzione e i prezzi ai consumatori

Il decreto italiano sulle terre rare influenzerà i costi di produzione in diversi modi. L’incremento della produzione interna di terre rare potrebbe portare a una riduzione dei costi di approvvigionamento per le industrie nazionali che dipendono da queste materie prime. Attualmente, la dipendenza dalle importazioni, soprattutto dalla Cina, comporta costi elevati dovuti a tariffe di trasporto, dazi doganali e instabilità dei prezzi sul mercato globale. Con l’aumento della produzione interna, le aziende italiane potrebbero beneficiare di prezzi più stabili e prevedibili, migliorando la loro competitività sul mercato.

Allo stesso tempo l’estrazione e la raffinazione delle terre rare in Italia comportano investimenti iniziali significativi in infrastrutture e tecnologie avanzate. Questi costi potrebbero inizialmente aumentare le spese di produzione, ma a lungo termine si prevede una riduzione dei costi operativi grazie all’efficienza e alla vicinanza delle fonti di approvvigionamento.

Il decreto potrebbe inoltre avere un impatto positivo sulle esportazioni italiane, con una produzione interna più robusta di terre rare a soddisfare la domanda interna, ma anche esportare eccedenze verso altri Paesi europei e non. Ciò migliorerebbe la posizione dell’Italia come fornitore affidabile di materie prime critiche, rafforzando le relazioni commerciali e aumentando le entrate derivanti dalle esportazioni.

Infine va sottolineato che un accesso più stabile e prevedibile alle terre rare potrebbe stimolare la produzione e l’esportazione di prodotti ad alta tecnologia, come elettronica, veicoli elettrici e turbine eoliche, settori nei quali le terre rare sono componenti essenziali. Non meno importante il settore militare, che ha visto di recente un aumento dei guadagni grazie, purtroppo, alle guerre in corso nel mondo e alla corsa per la difesa messa in atto dall’Europa e non solo.

L’estrazione di terre rare mina ambiente e turismo

Il lato oscuro dell’estrazione delle terre rare è l’impatto ambientale e umano. Come dimostrato dall’esperienza in Myanmar, dove la Cina ha spostato la propria produzione, sono aumentate le malattie collegate al lavoro di estrazione e l’inquinamento delle pratiche ha avuto un forte impatto su ambiente e turismo. In Italia, l’adozione di tecniche simili potrebbe causare danni ambientali significativi, tra cui erosione del terreno, perdita di biodiversità e inquinamento chimico.

Il processo di estrazione infatti inizia con il disboscamento del fianco di una montagna, seguito dalla perforazione del terreno e dall’iniezione di solfato di ammonio per rendere la terra liquida. La soluzione minerale che si raccoglie in vasche aperte, una volta liscivata, viene poi abbandonata, ripetendo il ciclo in un’altra area. Questo comporta gravi problemi di erosione e instabilità del terreno, con conseguenze sulla fauna locale e sull’ecosistema. Non si può non considerare che le sostanze chimiche rilasciate durante il processo di liscivazione possono contaminare aria, suolo e risorse idriche, causando problemi respiratori, gastrointestinali e cutanei alle comunità locali come dimostrato da numerose ricerche e inchieste in merito. Attenzione particolare va posta anche per l’impatto economico locale, con l’aumento dell’inquinamento dei fiumi che impedisce la pesca e il nuoto, mentre i prodotti agricoli coltivati nelle vicinanze delle miniere potrebbero diventare invendibili a causa della contaminazione.

Inquinamento fabbrica
Fonte: ANSA
Impatto estrazione terre rare: conseguenze ambientali

Il decreto italiano sulle terre rare cerca di mitigare gli impatti attraverso misure di monitoraggio ambientale e promuovendo tecnologie sostenibili. L’Inspra ha il compito di condurre indagini geochimiche e geognostiche per minimizzare i danni ambientali (che ci saranno in ogni caso), ma soprattutto dovrà pensare progetti di recupero e bonifica delle aree estrattive per ripristinare l’ambiente naturale e proteggere la biodiversità.

Estrarre e inquinare per la transizione ecologica: cosa succede

L’estrazione di terre rare solleva un quesito: ha senso compromettere l’ambiente nel tentativo di promuovere la transizione ecologica? La domanda richiede una riflessione approfondita sui costi e benefici associati alla produzione di materie prime critiche necessarie per tecnologie sostenibili.

Da un lato, le terre rare sono indispensabili per la produzione di tecnologie verdi come veicoli elettrici, turbine eoliche e pannelli solari, tutti elementi chiave per ridurre le emissioni di carbonio e combattere il cambiamento climatico. La transizione energetica e digitale dell’Europa dipende fortemente da un approvvigionamento sicuro e sostenibile di queste materie prime. Ridurre la dipendenza dalle importazioni, in particolare da Paesi con minori standard ambientali e sanitari, è un passo importante per garantire la sicurezza energetica e strategica dell’UE.

D’altra parte però l’estrazione e la raffinazione delle terre rare comportano impatti ambientali significativi, tra cui l’erosione del suolo, la perdita di biodiversità e l’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Le comunità locali, come dimostrato dall’esperienza in Myanmar, possono subire gravi danni alla salute e all’ambiente. Il decreto italiano cerca sì di mitigare questi impatti promuovendo, ma la questione rimane complessa. Come possiamo bilanciare la necessità di materie prime critiche con l’obbligo di proteggere l’ambiente e le comunità locali? Una domanda che emerge anche nel caso del progetto Tyrrhenian Link di Terna.

Una possibile risposta risiede nell’innovazione e nella ricerca. Investire in tecnologie di estrazione e riciclo più pulite e efficienti, come proposto dal decreto italiano, può ridurre l’impatto ambientale e creare una filiera più sostenibile. Inoltre, il riciclo delle terre rare dai rifiuti elettronici e industriali rappresenta una soluzione promettente per diminuire la necessità di nuove estrazioni, riducendo ancora una volta l’impatto ecologico complessivo.

La sostenibilità a lungo termine dipenderà dalla nostra capacità di sviluppare e implementare soluzioni che minimizzino l’impatto ambientale, garantendo al contempo un approvvigionamento sicuro e affidabile di materie prime critiche per le tecnologie verdi.