Private Equity a caccia d’affari dopo un 2022 “magro”

Dodici mesi di relativa inattività mettono pressione all’industria: i livelli di liquidità sono stabili ma elevati, le exit in contrazione

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Redazione

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Dopo quattro trimestri di relativa inattività, gli investitori istituzionali hanno ampi incentivi a rimettersi in gioco. Con una cifra record di 3.700 miliardi di dollari di liquidità e con i fondi di buyout che hanno ancora 2.800 miliardi di dollari in asset ancora in portafoglio, i limited partner (LP) stanno sperimentando una crisi di liquidità. È quanto emerge dal Private Equity Midyear Report 2023 di Bain & Company, preannuncia un boom di operazioni sul mercato.

Necessaria un’azione lungimirante

“Adottare un approccio attendista quando il mercato è in contrazione non è mai stata una strategia particolarmente efficace nel private equity – spiega Roberto Fiorello, responsabile italiano Private Equity di Bain & Company –. L’esperienza passata dimostra come, per far sì che l’attività di dealmaking si riprenda e prosegua, acquirenti e venditori abbiano bisogno di un contesto economico ragionevolmente stabile, non necessariamente attraente. Sebbene gli investitori abbiano bisogno di fiducia nelle prospettive di medio termine di un settore o di un’azienda, sta finalmente emergendo un quadro più chiaro. Auspicabilmente, il mercato globale del private equity si sta stabilizzando, così come quello italiano. Il contesto macroeconomico – prosegue Fiorello – si è evoluto in modo significativo negli ultimi 12 mesi, alterando in gran parte la ratio dietro alcune scelte di investimento.  Per gli investitori, la decisione di vendere o tenere un asset potrebbe ridursi a un paio di domande: le condizioni di exit saranno significativamente diverse nei prossimi mesi? E generare il rendimento previsto richiede una revisione del piano di creazione di valore, che tenga conto di tutto ciò che è cambiato sul fronte macro? In ogni caso, gli operatori che avranno successo non saranno quelli che adotteranno un approccio attendista, piuttosto quelli che agiranno in modo lungimirante”.

Timori su liquidità “ingiustificati”

Le preoccupazioni per livelli di liquidità troppo elevati sembrano ingiustificati oggi: il “dry powder” si attesta stabilmente sui 3.700 miliardi di dollari in tutte le strategie di asset class private. Circa il 75% di questa disponibilità è ancora “nuova”, ovvero in un periodo di investimento inferiore ai tre anni. Se il contesto è sfidante per chiudere operazioni in questa fase, in particolare quelle grandi, le condizioni sui prestiti delle banche commerciali stanno diventando meno vantaggiose e di conseguenza il private credit più interessante.

Un arretrato di exit da 2.800 miliardi

I fondi di buyout da soli vantano una cifra record di asset ancora in portafoglio per 2.800 miliardi di dollari, oltre 4 volte il livello detenuto durante la crisi finanziaria globale. Mentre gli investimenti sono diminuiti, le exit si sono contratte più bruscamente durante la prima metà dell’anno, con il valore delle exit annualizzate per il 2023 in calo del 54% rispetto al 2022, e i volumi di exit in contrazione del 30%. Per i LP a corto di liquidità, il distributed to paid-in capital  (DPI) sta diventando un criterio cruciale, come un tempo lo era il tasso interno di rendimento (IRR).

Investimenti

I fondi di buyout a livello globale– rileva il Private Equity Midyear Report 2023 di Bain & Company – hanno toccato i 202 miliardi di dollari di valore delle operazioni durante la prima metà del 2023, con un calo del 58% rispetto alla prima metà del 2022. Le 863 operazioni chiuse nel primo semestre mostrano una contrazione del 29% per l’intero anno rispetto al ritmo del 2022;

Exit

Si percepisce – evidenzia Bain & Company – una pressione significativamente maggiore sul lato delle vendite. I gestori di buyout hanno un arretrato di asset in portafoglio che ha rallentato la redistribuzione del capitale agli investitori. Nel primo semestre dell’anno, i disinvestimenti sostenuti da buyout sono scesi a 131 miliardi di dollari, -65% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Su base annua, il valore delle exit è in calo del 54% e il loro numero è diminuito del 30% rispetto al 2022. Con circa 26.000 società in portafoglio detenute in fondi di buyout da quasi sei anni, i player hanno bisogno di una strategia per sbloccare i 2.800 miliardi di dollari di valore non realizzato che queste società rappresentano. La maggior parte di questi asset si sta avvicinando, o ha già superato, il tipico periodo, per il private equity, di 5 anni per le exit. Quasi un quarto degli asset è in portafoglio da oltre sei anni e più della metà per più di quattro.

Fund raising

Dopo un decennio di crescita di quest’attività, con quasi 12mila miliardi di dollari raccolti dal 2012, nel 2023 il fund raising – evidenzia il report – si è rivelato sorprendentemente impegnativo. I LP rimangono in una stretta di natura ciclica, con una grande quantità di impegni pre-esistenti non finanziati, un flusso di cassa in territorio negativo legato alla forte contrazione dei disinvestimenti, oltre ad assistere ad un notevole squilibrio tra domanda e offerta, considerato che i quasi 14mila fondi di capitale privato competono per un totale di 3.300 miliardi di dollari di capitale. Il valore del capitale privato globale raccolto nei primi sei mesi si è ridotto a 517 miliardi di dollari, mettendo a segno un -35% rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Su base annua, la raccolta globale di fondi di capitale privato è in calo del 28% in termini di valore e del 43% in termini di fondi chiusi rispetto all’intero anno scorso. I dati sulla raccolta potrebbero rappresentare un indicatore sfalsato in termini temporali, che potrebbe far sembrare il contesto attuale migliore di quanto non sia in realtà. Ciò può essere dovuto al fatto che alcuni fondi che si chiudono oggi sono stati lanciati o impegnati in un contesto migliore negli scorsi due anni. Un indicatore ancora più orientato al futuro è il livello di domanda e offerta. L’attuale rallentamento del capitale disponibile è stato uno shock e l’aumento della concorrenza sta spingendo i fondi a professionalizzare le loro capacità di raccolta.