Lo avevamo già visto con il conflitto in Ucraina (che Zelensky vorrebbe finire entro marzo) e lo confermiamo con quello tra Israele e Hamas: la guerra provoca un effetto domino che si abbatte su tutti gli ambiti della vita quotidiana in tutti i Paesi del mondo. Compreso il settore energetico, in particolare quello dei combustibili fossili.
A risentire degli effetti della crisi in Medio Oriente nelle ultime settimane è soprattutto il petrolio, visto in giornata in calo di oltre il 4%. L’Opec+, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, ha rimandato al 30 novembre l’importante vertice di Vienna previsto per il 26, a causa delle tensioni internazionali. Con tutte le conseguenze del caso.
L’andamento dei prezzi del petrolio e la decisione dell’Opec+
Di certo il settore del petrolio non è nuovo a sconvolgimenti di produzione e quotazione a causa di conflitti e contese tra Stati, specialmente se in Medio e Vicino Oriente. Mentre alcuni rivedono i fantasmi dell’embargo del 1973, l’Arabia Saudita scuote il sistema per via della perdita indesiderata e prolungata di quote di mercato e dell’inefficacia dei tagli alla produzione. L’annuncio a sorpresa dello slittamento della riunione dell’Opec+, poi, ha fatto crollare le quotazioni del greggio: il Brent, il riferimento internazionale, ha perso più di 3 dollari al barile, ed è arrivato a scambiare intorno agli 80 dollari, in netto calo rispetto ai quasi 98 dollari al barile di fine settembre.
La riprogrammazione del vertice di Vienna da parte dell’Opec+ ha spinto inoltre il Wti sotto 74 dollari, di nuovo intorno ai minimi da quattro mesi. Al contempo sembra tuttavia allontanarsi definitivamente l’ipotesi di tagli più profondi della produzione globale.
I produttori mondiali di petrolio si sarebbero dovuti riunire il 26 novembre per discutere le modifiche all’accordo per la riduzione congiunta della produzione, in risposta al mutato contesto economico internazionale. Un altro fattore di destabilizzazione è stato anche il forte e imprevisto aumento di produzione registrato negli Stati Uniti. L’Energy Information Administration (EIA) ha inoltre segnalato un profondo calo delle scorte di benzina e distillati.
Intanto, per altri motivi, il motore d’Europa si ferma: Germania in crisi nera.
Dall’Arabia alla Russia, cosa succede in sede Opec
Dicevamo del malessere dell’Arabia Saudita, la principale produttrice dell’Opec+ e che fino a fine 2023 continuerà a ridurre la produzione di un milione di barili al giorno. Il tutto per via del programma di tagli inaugurato dall’Opec+ a fine 2022, in virtù del quale anche gli altri Stati membri, come la Russia, si sono impegnati a ridurre la produzione collettiva di petrolio di circa 5 milioni di barili al giorno. Parliamo di una quantità pari al 5% della domanda quotidiana a livello mondiale.
Nel dettaglio i sauditi hanno visto scendere il loro output appena 9 milioni di barili al giorno, a fronte di una capacità di oltre 12 mbg (milioni di barili al giorno). Gli Usa sono invece arrivati a estrarre oltre 13 mbg e a esportarne oltre 4 mgb (+20% sul 2022), centrando due record storici. Perfino la Russia, in barba alle sanzioni occidentali e ai vincoli Opec, ha superato l’Arabia Saudita nella produzione, con 9,45 mbg a ottobre.
Riad però non ci sta a sobbarcarsi ancora la quota maggiore dei tagli e si scaglia contro il comportamento degli altri Paesi produttori, puntando a ridistribuire il peso dei tagli del greggio in maniera diversa tra gli Stati membri Opec+. Il riordino delle quote produttive avviato a giugno è stato però contestato da alcuni Paesi africani. Tensioni generano tensioni, insomma, paralizzando l’azione dell’Organizzazione e il mercato globale.