Desertificazione commerciale, quando la bottega di fiducia diventa un ricordo

Negli ultimi dieci anni, 140.000 imprese hanno chiuso in Italia, lasciando i residenti senza servizi essenziali e minacciando l’economia locale

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 27 Ottobre 2024 15:15

Negli ultimi anni, abbiamo visto sempre più negozi chiudere i battenti, e i titoli dei giornali suonare come necrologi per attività che sembravano destinate a durare per sempre. È un fenomeno che oggi ha un nome preciso: desertificazione commerciale. Parliamo di una lenta scomparsa delle attività in intere zone, che lascia i residenti senza servizi fondamentali e mette a dura prova la vitalità economica dei territori.

“Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”, recita la hit di Gianni Morandi. Sì, ma le botteghe di paese non esistono più. In Italia la desertificazione commerciale ha assunto dimensioni importanti: in un decennio sono sparite ben 140 mila imprese. Ma al di là dei numeri, ci sono domande che premono: perché sta succedendo? Quali settori sono stati colpiti di più? E soprattutto, perché questa lenta agonia del commercio locale dovrebbe preoccuparci?

L’emorragia delle attività: i settori più colpiti. Borghi fantasma

Uno studio condotto da Confesercenti ha messo sotto la lente l’evoluzione della desertificazione commerciale dal 2014 al 2024. I risultati mostrano una contrazione netta del numero di attività nei comuni sotto i 15.000 abitanti, con una perdita complessiva di oltre il 10%.

La situazione è ancora più drammatica nei piccoli borghi, dove la riduzione sfiora il 14%. In dieci anni, sono scomparse più di 23.000 attività di vicinato, con minimarket ed edicole tra le principali vittime: chiusure del 19% e del 30,3%, rispettivamente. Anche ferramenta e macellerie non se la passano bene, registrando cali del 15,3% e del 18,4%.

Tra il 2014 e il 2024, circa 26 milioni di residenti italiani hanno perso l’accesso a uno o più servizi di base nei propri comuni. Circa 3,8 milioni di persone non hanno più una panetteria nel proprio territorio, mentre oltre 1,2 milioni non hanno accesso ai forni locali. Anche le pescherie sono quasi scomparse in molti centri minori, lasciando oltre 2,3 milioni di persone senza la possibilità di acquistare pesce fresco. Nelle stesse aree, sono sparite circa 500.000 stazioni di servizio, obbligando gli abitanti a percorrere distanze significative per rifornirsi.

Le cause: cambiamenti demografici e contrazione economica

I motivi di questo fenomeno sono immaginabili. Da una parte c’è sicuramente il calo demografico che ha colpito in particolare i comuni con meno di 15.000 abitanti. È un fenomeno a valanga: negli ultimi dieci anni i paesi hanno perso circa 800.000 residenti, pari al 7,15% della popolazione.

Questo spopolamento ha ridotto quindi la domanda interna, peggiorando la sostenibilità economica di molte piccole attività che facevano leva proprio sulla densità di popolamento. Parallelamente, nei piccoli comuni, l’età media ha raggiunto i 47,1 anni, contro i 45,7 della media nazionale, e il reddito medio è di 20.296 euro, il 12,3% inferiore rispetto al resto del Paese.

Il commercio di base e il declino dei negozi essenziali

L’analisi di Confesercenti ha preso in esame un gruppo di attività ritenute essenziali per la qualità della vita nei piccoli comuni. Minimarket, empori, ortofrutta, panetterie, librerie e bar hanno subito cali drastici.

Dal 2014 al 2024, i minimarket hanno registrato un calo del 19%, le edicole del 30,3%, le ferramenta del 15,3% e le librerie del 7,5%. Il declino della chiusura dei negozi ha colpito anche negozi di moda: se i punti vendita per adulti sono aumentati del 31,2%, quelli per bambini sono diminuiti del 12,2%, e le calzature hanno subito una flessione del 28,3%.

L’armata dell’e-commerce

L’avanzata dell’e-commerce ha cambiato profondamente il panorama del commercio locale. La comodità di comprare online e i prezzi competitivi offerti dalle piattaforme digitali stanno erodendo la base clienti dei negozi fisici, riducendo il loro fatturato fino al punto di dover abbassare le serrande. Questo effetto è particolarmente evidente in settori come librerie, abbigliamento e elettronica, dove i giganti del web dominano grazie a un’offerta più vasta e sconti aggressivi.

Ma la chiusura dei negozi non è solo un problema economico: si perde anche un pezzo del tessuto sociale. I piccoli negozi, infatti, non sono solo luoghi di vendita, ma punti di riferimento per la vita comunitaria. Quando chiudono, spariscono anche spazi di aggregazione e identità locali. E non è tutto: mentre il commercio digitale centralizza il lavoro in pochi grandi centri di distribuzione, il commercio tradizionale distribuiva posti di lavoro in modo capillare, rendendo le comunità più stabili.

I tempi sono cambianti, e anche l’e-commerce sta riscrivendo le regole del commercio. Sebbene questa modalità offra vantaggi in termini di comodità, accesso e costi, contribuisce anche a una lenta ma costante erosione del commercio di prossimità e della vita comunitaria.

Le città turistiche e la trasformazione dell’offerta

Nelle città turistiche, la desertificazione commerciale assume altre sfumature. Alcuni settori, come i minimarket, sono stati parzialmente sostenuti dall’imprenditoria straniera, in crescita del 63% dal 2014 al 2024. In questi dieci anni, il numero di negozi di frutta e verdura guidati da titolari stranieri è aumentato del 129%, passando da 684 a 1.138, mentre il commercio di carne ha registrato una crescita tra le imprese straniere.

La turistificazione delle città sta accelerando la chiusura di attività dedicate ai residenti, trasformando i centri storici in tristi luna-park, attrazioni per visitatori a scapito della vita locale.

Ma questo fenomeno lo notiamo anche dal fatto che i centri città delle maggiori città italiane si stanno lentamente svuotando per fare spazio al ricchissimo business degli affitti a breve termine, il che contribuisce a creare non più città, ma località esclusivamente turistiche, dove la vita cittadina è sempre più un ricordo museale.

Politiche locali e proposte di rigenerazione

In risposta al fenomeno, diverse amministrazioni locali stanno attuando politiche di rigenerazione per sostenere il commercio di vicinato. La Confesercenti ha proposto l’introduzione di una flat tax per le aree più desertificate, con l’obiettivo di incentivare nuove aperture e contenere i costi fissi per le imprese. Sono in fase di valutazione anche contributi per lo sviluppo di piattaforme digitali che possano connettere i negozi locali con i clienti, valorizzando le offerte di prossimità.

Un quadro non omogeneo sul territorio

La desertificazione commerciale non colpisce in modo uniforme tutto il Paese. Nei comuni con oltre 250.000 abitanti, i minimarket hanno registrato una crescita del 13,9%, mentre i negozi di bevande sono diminuiti solo dello 0,1%. All’opposto, i piccoli comuni con meno di 5.000 abitanti vedono una riduzione del 10,6% delle attività essenziali. Un trend che mostra chiaramente la disparità tra le aree urbane e quelle rurali, dove l’impatto economico e sociale è più pesante.

La desertificazione commerciale è sintomo di una società in evoluzione

La desertificazione commerciale è uno dei riflessi dei cambiamenti in atto nella nostra società. Da un lato, la chiusura di negozi di quartiere è la conseguenza di nuove abitudini di consumo, dove la comodità dello shopping online ha progressivamente sostituito l’esperienza di acquisto tradizionale. Dall’altro lato, però, c’è un risvolto sociale ed economico da considerare: i negozi locali non sono solo luoghi di vendita, ma anche punti di incontro e relazioni quotidiane. La loro scomparsa rischia di svuotare le strade, privandole di quel dinamismo che caratterizza la vita di quartiere.

Questo fenomeno è legato anche ai costi crescenti per mantenere un’attività commerciale in città: affitti elevati, spese operative in aumento e la complessità delle normative sono ostacoli concreti per molte piccole imprese. Allo stesso tempo, settori come il turismo e l’alloggio, spinti dalla domanda crescente, si sono rafforzati, trasformando in parte l’assetto urbano e il tessuto economico.

Quindi, se da un lato è evidente che stiamo assistendo a una trasformazione strutturale del commercio e delle città, dall’altro resta aperta la domanda di carattere economico e sociologico su come queste trasformazioni cambieranno il rapporto tra cittadini, spazi urbani e comunità locali.