Il bluff dell’assegno anziani non autosufficienti: i beneficiari sono solo il 2,5%

Il Patto per gli anziani non è come sembra, con il contributo annunciato da Meloni che sarebbe un "bluff": ecco perché è un doppione dell'assegno di cura

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Luca Bucceri

Giornalista economico-sportivo

Giornalista pubblicista esperto di sport e politica, scrive di cronaca, economia ed attualità. Collabora con diverse testate giornalistiche e redazioni editoriali.

Il Patto per gli anziani non autosufficienti, noto anche come prestazione universale per anziani, che il governo Meloni ha varato negli scorsi giorni per il 2025 sarebbe un bluff. L’assegno, infatti, non solo non sarebbe della cifra annunciata dalla premier Meloni (1.000 euro), ma sarebbe anche un doppione dall’assegno di cura, che già viene elargito ai non autosufficienti, col quale sarebbe incompatibile. Insomma, la riforma attuata lo scorso 25 gennaio non sarebbe così rivoluzionaria e permetterebbe solo al 2,5% degli anziani di accedervi.

Il problema del patto per gli anziani

Il nuovo bonus era stato annunciato con grande soddisfazione del governo, con la premier Giorgia Meloni che aveva sottolineato di aver approvato un decreto legislativo attuativo del Patto per la Terza Età che l’Italia aspettava da più di 20 anni. Si trattava, in poche parole, dell‘aumento dell’assegno di accompagnamento da 530 a 1.380 euro al mese, con la prestazione universale per anziani destinata agli ultraottantenni non autosufficienti per remunerare il costo del lavoro di cura e assistenza svolto da lavoratori domestici o l’acquisto di servizi di cura e assistenza forniti da imprese qualificate.

Eppure, come sottolineato dal Fatto Quotidiano e da La Repubblica, questo “patto” non avrebbe nulla di rivoluzionario, anzi. Infatti, come evidenziato, si tratterebbe di un chiaro doppione dell’assegno di cura, ma con paletti ancor peggiori.

Il Patto per gli anziani, infatti, prevederebbe il coinvolgimento degli ultraottantenni disabili gravissimi non autosufficienti certificati Inps e con un Isee inferiore ai 6.000 euro che, tradotto, sarebbe destinato al 2,5% dei malati rispetto ai 3,8 milioni presenti in Italia. E a dirla tutta non sarebbero 1.000 euro, bensì 850.

L’assegno di cura, invece, varia dai 350 ai 1.200 euro al mese, con limiti Isee decisamente superiori a 6.000 euro, ma sempre da spendere per l’assistenza regolarmente contrattualizzata. Ogni Regione, poi, stanzia anche fondi per le Rsa aperte e altre forme di assistenza e i Comuni dovrebbero coprire la cosiddetta quota alberghiera per i gravissimi incapienti.

L’incompatibilità con l’assegno di cura

Un doppione che, visto così, potrebbe comunque risultare utile a chi rientra nella cerchia ristrettissima di richiedenti. Ma non è così, perché chi ha già attivo l’assegno di cura non potrà accedere al secondo contributo.

L’assegno “rafforzato”, hanno sottolineato dal ministero del Lavoro al Fatto Quotidiano, non si sommerà infatti agli assegni di cura nelle loro declinazioni regionali, ma sarà alternativo a questo. L’ultraottantenne, infatti, dovrà decidere se incassare l’assegno di cura e lo stanziamento statale, al quale andrà aggiunto l’eventuale assegno d’inclusione che dal 26 gennaio è in fase di versamento per chi ha presentato richiesta in tempo.

Insomma, una goccia nell’oceano perché i costi assistenziali per un malato non autosufficiente sono ben superiori ai due bonus. Chi è assistito da non autosufficiente, infatti, ha bisogno di una persona pronta ad aiutarlo 24 ore su 24, con spese che vanno dai 1.300 euro (per una badante non qualificata) ai 1.800 euro (per personale specializzato). Senza contare poi tredicesima, TFR e ferie per un totale che può toccare oltre 2.000 euro al mese.

Al momento, comunque, quella della prestazione universale per gli anziani è una misura sperimentale, prevista solo per il 2025 e il 2026, e finanziata con appena 300 milioni di euro annui, e non è escluso che dopo il polverone alzato possa essere modificata e migliorata per potervi permettere l’accesso a chi ne ha più bisogno.