In Italia 3 su 10 studenti vogliono lasciare la scuola

Aumenta la disaffezione degli studenti italiani: un'indagine dei Salesiani rivela che quasi un giovane su tre pensa di voler interrompere gli studi. Ma quali sono le cause?

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

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Secondo un’indagine di Salesiani per il sociale, sono molti gli studenti italiani che oggi affermano di pensare molto o abbastanza spesso che sarebbe meglio interrompere gli studi. A questi si aggiungono quelli che non sono pienamente convinti di voler continuare la scuola.

Le risposte ottenute dagli intervistati sono spesso il risultato di poco coinvolgimento nelle attività scolastiche e, in generale, un mancato senso di appartenenza. Se l’istruzione continua a rappresentare un pilastro per la crescita personale e professionale delle nuove generazioni, i dati non sono del tutto rassicuranti.

Studenti italiani e partecipazione scolastica

Il quadro che emerge dall’indagine dei Salesiani è quello di una realtà contraddittoria.

Se da un lato l’84% degli studenti considera la scuola importante per il proprio futuro (con un 61% che la giudica molto importante) e oltre la metà dichiara di frequentarla volentieri, dall’altro lato un numero non trascurabile di giovani vive il percorso scolastico con distacco o addirittura con rifiuto.

In particolare, il 14% degli studenti intervistati ammette che, molto o abbastanza spesso, pensa che sarebbe meglio interrompere gli studi. A questi si aggiunge un ulteriore 15% che non è pienamente convinto di continuare. Ne risulta che 3 studenti su 10 sono debolmente legati al mondo della scuola.

Inoltre, circa un quarto degli intervistati dichiara di sentirsi escluso dalle attività scolastiche.

Quindi, se da un lato esiste una maggioranza che riconosce il valore della scuola e che la vive positivamente, dall’altro vi è una fascia significativa di studenti che mostra segnali di fragilità e disaffezione.

Perché gli studenti vogliono lasciare la scuola

Questi dati sollevano interrogativi di fondo: cosa porta un adolescente a pensare di abbandonare il percorso scolastico?

Le ragioni possono essere molteplici: difficoltà di apprendimento, mancanza di sostegno familiare, condizioni socioeconomiche svantaggiate, o ancora una percezione di scarsa utilità pratica delle materie insegnate.

A queste si aggiungono dinamiche relazionali complesse, come l’esclusione dai gruppi, episodi di bullismo o l’incapacità della scuola italiana di proporre attività inclusive.

L’abbandono scolastico è una sfida nazionale

Il tema si inserisce in un quadro più ampio, quello della dispersione scolastica. Nonostante i progressi registrati negli ultimi anni, il nostro Paese presenta ancora tassi superiori alla media europea.

La percentuale di giovani che lasciano prematuramente i percorsi di istruzione e formazione è pari al 9,5%, un dato in miglioramento ma che ancora non ha raggiunto il traguardo fissato dall’Unione Europea, che prevede di scendere sotto il 9% entro il 2030.

Questi numeri non sono semplici statistiche: dietro ci sono storie di ragazzi che rischiano di vedere compromesso il proprio futuro, sia in termini di opportunità lavorative che di inclusione sociale.

L’abbandono scolastico, infatti, non è soltanto un problema educativo, ma ha conseguenze dirette sul mercato del lavoro e sulla disoccupazione, sul livello di competenze della popolazione e sulla tenuta stessa del tessuto sociale.

L’educazione come strumento di inclusione

Il senso di esclusione che un quarto degli studenti dichiara di provare è un campanello d’allarme e ci suggerisce che l’inclusione scolastica non può ridursi a un obiettivo formale ma deve tradursi in pratiche quotidiane che permettano a ciascuno di sentirsi parte di un percorso comune.

In questo senso, il lavoro sinergico tra scuola, famiglie, enti del terzo settore e comunità locali diventa essenziale.

Le politiche pubbliche dovranno investire non solo in edilizia scolastica e tecnologie, ma soprattutto in capitale umano, ovvero insegnanti formati all’inclusione, educatori di supporto, psicologi e figure professionali capaci di intercettare i bisogni dei ragazzi.

Parallelamente, occorre promuovere una didattica più orientata alle competenze pratiche e alla cittadinanza attiva, in grado di collegare ciò che si impara in classe con la vita reale.