Un’indagine condotta dalla Dia di Milano ha portato a due arresti. In manette sono finiti due ben noti imprenditori, che dovranno rispondere di “contiguità” con un “clan di Cosa Nostra”. Un caso che non si limita alla sola area milanese o alla Lombardia. Sono infatti scattate già delle perquisizioni in altre parti del Paese. Una storia complessa, che mescola fondi del Pnrr, appalti pubblici e criminalità organizzata.
L’indagine e 5 milioni sequestrati
Un’intricata opera di investigazione ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare ai danni di due imprenditori. Il tutto su ordine del giudice delle indagini preliminari del Tribunale milanese, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia.
Nel dettaglio, i due soggetti avrebbero avallato l’azione di realtà imprenditoriali che possono essere ricondotte a cosche mafiose. Il tutto attraverso un sistema di società operanti nel settore edilizio di Milano, prevalentemente, ma non solo.
I documenti evidenziato come il tutto sia avvenuto “con specifico riferimento al sodalizio mafioso dei barcellonesi, operante nella provincia di Messina”. Il giudice ha inoltre dato mandato di provvedere al sequestro di 5 milioni di euro, ma non solo. Gli arresti non concludono le indagini, che mirano ad andare maggiormente a fondo in questa oscura vicenda. Scattate perquisizioni nelle seguenti città:
- Roma;
- Catania;
- Messina;
- Firenze;
- Napoli;
- Catanzaro
Sistema mafioso
I due imprenditori arrestati non rappresentano figure del tutto nuove ad ambiti di questo genere. Sono infatti stati già in passato “colpiti da misure di prevenzione patrimoniali”. Si ritiene possano essere responsabili di condotte fraudolente, ma di certo non da soli.
Si è alla ricerca di un quadro più ampio, che possa far luce in maniera specifica su eventuali altri soggetti coinvolti. Le loro operazioni sarebbero state finalizzate all’intestazione fittizia di numerose società. Queste ultime avevano un valore rilevante, considerando come siano aggiudicatarie di appalti pubblico su tutto il territorio nazionale. Lavori dall’ingente importo, in molti casi, per una porzione dei quali erano anche previsti dei fondi del Pnrr (una condizione che dovrebbe gettare il governo di Giorgia Meloni in uno stato d’apprensione, considerando l’impegno con l’Ue). Un giro di nomi atto a “non incorrere nelle misure interdittive delle autorità prefettizie”.
In molti casi l’aggiudicazione delle commesse è avvenuta in associazione con altre imprese, anche se in via temporanea. In relazione agli indagati, è risultato chiaro come l’ottenimento degli appalti completasse, di fatto, il compito previsto. Una volta raggiunta questa fase, infatti, scattava puntualmente un passo indietro in termini di intervento effettivo e concreto nei cantieri.
Stando alle indagini, infatti, l’esecuzione materiale non spettava alle loro società. Veniva infatti gestita da altre società, secondo accordi pregressi, anche con sede in Calabria. Uno stato delle cose divenuto sistema. La vastità di questa operazione ha comportato una grave complessità delle indagini, delegate dalla procura al Gico della Guardia di Finanza di Milano, che ha proceduto anche con servizi di osservazione, pedinamento e indagini tecniche. Ci si attende, con certezza, ulteriori e numerosi sviluppi in merito alla vicenda nel corso delle prossime settimane.