Airbnb ha accettato di porre fine alla lunga controversia fiscale con lo Stato italiano, con un accordo che impegna la compagnia a versare un’ingente somma all’Agenzia delle Entrate.
“Questo accordo reciproco significa che possiamo concentrarci sulla continuazione della nostra collaborazione con le autorità italiane su tasse, regole sugli affitti a breve termine e turismo sostenibile a beneficio della nostra comunità”, ha affermato Airbnb in una dichiarazione rilasciata mercoledì 13 dicembre alla presentazione della Securities and Exchange Commission.
La disputa Airbnb – Italia
Il mese scorso è stato ordinato dai giudici italiani il sequestro di 779,5 milioni di euro dalla sede europea di Airbnb in Irlanda per presunta evasione fiscale negli anni 2017-21. L’Italia, con le sue località turistiche sempre più richieste e ricercate – come Venezia, Firenze e Roma – è un mercato importante per l’azienda, e questo processo rientra nelle indagini avviate recentemente dalle autorità del nostro Paese, volte ad andare a fondo e vederci meglio sulle pratiche fiscali delle grandi società come Airbnb che operano sul territorio e che non sempre sono in regola con i pagamenti delle tasse.
Nel 2022, Airbnb, che opera nel nostro Paese dal 2008, ha contestato la legge italiana sulla cedolare secca che impone ai fornitori di affitti a breve termine di trattenere il 21% del reddito da locazione ai proprietari e di pagarlo alle autorità fiscali.
La società ha sostenuto che questa legge sulla tassazione violava il principio della libertà di fornire servizi liberamente nel territorio UE, ma la Corte di Giustizia europea non ha accolto tale istanza, imponendo al contrario al colosso degli affitti turistici di adeguarsi alla norma di legge italiana e versare quanto dovuto.
A novembre 2023, tuttavia, i PM italiani hanno riscontrato il mancato adempimento. Nello specifico, secondo l’accusa, la società non era riuscita a riscuotere le tasse dai proprietari su quasi 3,7 miliardi di euro di redditi da locazione, che quindi non erano arrivati all’Erario.
La disputa quindi si è aperta con l’intenzione di recuperare quanto dovuto al Fisco italiano, per concludersi proprio in queste ore con un accordo raggiunto per mettere fine al contenzioso. L’azienda ha accettato di pagare, ma meno di quanto richiesto inizialmente dal pubblico ministero.
Cosa prevede l’accordo Airbnb – Agenzia delle Entrate: quanto riceverà lo Stato
Per risolvere la controversia, Airbnb ha accettato di pagare 576 milioni di euro al Fisco italiano, circa tre quarti di quanto dovuto all’Agenzia delle Entrate (circa cioè 779 milioni di euro).
L’azienda, comunque, ha dichiarato che non cercherà di recuperare la somma dai suoi host, tuttavia ha fatto sapere che sta lavorando all’introduzione di nuovi strumenti affinché gli utenti possano trattenere automaticamente le tasse da Airbnb e pagarle alle autorità italiane direttamente per loro conto. Insomma, in questo modo l’onere di pagare le tasse ricadrebbe direttamente su chi affitta tramite il sito.
Questo, ovviamente, potrebbe avere conseguenze sui prezzi degli appartamenti messi a disposizione sulla piattaforma, considerando anche che si tratta di una decisione che segue la già annunciata intenzione del governo di aumentare l’aliquota fiscale sugli affitti a breve termine – come quelli forniti da Airbnb – al 26%.
“La stragrande maggioranza degli host su Airbnb in Italia sono famiglie normali che utilizzano la piattaforma per ottenere un reddito supplementare”, ha affermato a tal proposito la società. “Speriamo che l’accordo con l’Agenzia delle Entrate italiana e le recenti modifiche legislative in Italia diano a queste famiglie certezza sulle regole relative all’ospitalità per gli anni a venire”.
Non è la prima volta che una cosa del genere accade in Italia. Nell’ottica di recuperare quanto non versato dalle grandi multinazionali operanti nel nostro Paese, in passato le autorità erano già riuscite a recuperare le tasse dalle piattaforme tecnologiche. Nel 2017, per esempio, Google ha accettato di pagare all’Italia 306 milioni di euro per le tasse non pagate dal 2009 al 2015. E nel 2015, è stato concluso un simile accordo fiscale con Apple, del valore di 318 milioni di euro.