Troppi lavoratori in nero nelle campagne italiane. Cosa rischiano le aziende

Sono circa 230mila i lavoratori sfruttati e in nero in Italia nel settore dell'agricoltura, con paghe misere anche a pochi euro

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Satnam Singh, un giovane bracciante indiano della provincia di Latina, è diventato il simbolo di una realtà che colpisce circa 230mila lavoratori agricoli in Italia. Questa cifra rappresenta le persone che oggi sono impiegate senza contratto e diritti nelle campagne italiane, secondo i dati dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil. Di questi lavoratori, ben 55mila sono donne e il 30% sono cittadini italiani o dell’Unione Europea, non solo migranti extracomunitari.

Singh era uno degli “invisibili”, non conteggiato nelle statistiche ufficiali, ma ora la sua morte porta a una rivalutazione della situazione attuale.

Lavoratori irregolari: una realtà diffusa

Il settore agricolo italiano conta circa 234.000 lavoratori sfruttati, di cui 100.000 non ufficialmente registrati. L’Istat fatica a rilevarne la presenza, deducendola dalla produzione agricola e dalle ore lavorate. Ogni anno si lavorano 2,4 miliardi di ore, ma confrontando questo dato con il numero di occupati (regolari e irregolari), i conti non tornano mai.

Il percorso di molti lavoratori irregolari inizia con viaggi pericolosi attraverso rotte clandestine. In agricoltura, il 70% degli irregolari proviene da Paesi extra Ue, mentre il restante 30% è costituito da italiani (anche pensionati) e comunitari.

Appena arrivati, vengono intercettati dai caporali, che offrono loro alloggi di fortuna e trasporti, trattenendo una parte delle misere paghe, che oscillano tra 20 e 35 euro al giorno per lunghe giornate di lavoro.

Le nazionalità dei lavoratori irregolari rispecchiano quelle dei regolari, con una predominanza di italiani, rumeni, marocchini, indiani e tunisini. Le comunità dell’Est, come quella albanese e polacca, si sono in gran parte affrancate dal caporalato.

Il lavoro agricolo: un settore di povertà

L’agricoltura è uno dei settori maggiormente associati al lavoro povero. Contratti brevi, basse intensità di ore e paghe al di sotto del salario minimo caratterizzano questo settore. La connessione tra lavoro agricolo e disagio economico è elevata, con il 12% dei lavoratori agricoli che vive di sussidi, rispetto all’8,5% della popolazione generale.

La distribuzione geografica dell’irregolarità

Le regioni del Sud come Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio registrano il 40% del tasso di irregolarità lavorativa. Anche le regioni del Nord, tra cui Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, mostrano tassi significativi tra il 20% e il 30%. I lavoratori irregolari restano fantasmi, come lo era Singh, invisibili ma essenziali per l’economia agricola italiana.

La dura realtà del lavoro nero

Le statistiche dell’Istat confermano la situazione allarmante: oltre un quarto dei braccianti italiani lavora in nero. Jean-René Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto, evidenzia che la paga media si aggira intorno ai 20 euro al giorno per giornate di lavoro che possono durare dalle 10 alle 14 ore. Non è raro notare che alcuni lavoratori ricevono solo 10 euro o addirittura nulla, se non acqua e un panino. Le donne, poi, sono pagate il 20-30% in meno rispetto agli uomini.

Bilongo sottolinea la difficoltà nel quantificare il valore economico dello sfruttamento, sebbene l’evasione contributiva nel settore agricolo sia stimata tra i 700 e i 900 milioni di euro.

Sfruttamento nelle campagne: un problema diffuso in tutta Italia

L’Agro Pontino e la provincia di Latina sono solo alcune delle aree dove lo sfruttamento dei braccianti è particolarmente radicato. Recentemente, sette persone sono state arrestate nelle province di Caserta e Napoli per intermediazione illecita di lavoratori extracomunitari pagati 2 euro all’ora.

La mappa del caporalato copre l’intera penisola, dalla Capitanata foggiana alle campagne piemontesi di Saluzzo, dal Ragusano al Metapontino, dal Fucino abruzzese al Veneto. L’Osservatorio Placido Rizzotto ha censito 405 aree di caporalato, con oltre la metà situate al Nord.

Tra gli episodi più significativi del 2024, spicca l’arresto di due reclutatori in Puglia. L’accusa sostiene che i lavoratori agricoli fossero costretti a lavorare per sette ore sotto il sole estivo, senza pause e spesso senza accesso a servizi igienici, con salari ben inferiori ai minimi legali: circa 4,60 euro l’ora, contro gli 11 previsti per legge nel settore.

Il fenomeno del caporalato non è circoscritto al Sud e al Centro Italia, né all’agricoltura. Le indagini hanno rivelato che, specialmente al Nord, lo sfruttamento colpisce anche il settore dell’alta moda milanese. Dopo i casi di Alviero Martini e Giorgio Armani Operations, il Tribunale di Milano ha posto Manufactures Dior sotto amministrazione giudiziaria per risolvere problematiche nei rapporti con le aziende fornitrici e relativi subappalti. Si è scoperto che le borse venivano prodotte da operai cinesi sfruttati in laboratori situati tra Milano e la Brianza.

La risposta istituzionale e sindacale

La morte di Satnam Singh ha provocato una forte reazione. I sindacati del settore agricolo – Flai, Fai e Uila – hanno richiesto con urgenza la convocazione di un tavolo di discussione con i ministri dell’Agricoltura e del Lavoro, che è stato prontamente concesso. Giovanni Mininni, segretario della Flai-Cgil, ha spiegato che solo il 20% dei lavoratori chiamati in Italia riesce a trasformare il proprio contratto a tempo determinato, mentre gli altri rimangono intrappolati nel lavoro sommerso. I sindacati chiedono anche l’utilizzo dei 200 milioni di euro del Pnrr per eliminare i ghetti, nonostante alcuni comuni abbiano già rifiutato questi fondi.

Reato di caporalato, cosa si rischia

Chiunque recluti lavoratori per destinarli a terzi in condizioni di sfruttamento è punito con reclusione da uno a sei anni e una multa da 500 a 1.000 euro per ogni lavoratore, indipendentemente dall’organizzazione dell’attività di reclutamento.

Una novità introdotta recentemente riguarda l’applicazione della stessa pena prevista per i reclutatori anche ai datori di lavoro che assumono o impiegano lavoratori sfruttati, approfittando del loro stato di necessità. La legge prevede un’aggravante con pene aumentate se i fatti sono commessi con violenza o minaccia, con la reclusione che può salire da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ogni lavoratore.

Secondo il comma 3 del nuovo articolo 603bis del codice penale, diverse condizioni possono indicare lo sfruttamento: pagamenti sistematicamente inferiori ai minimi contrattuali, violazioni ripetute della normativa sull’orario di lavoro e riposi, inosservanza delle norme di sicurezza e igiene, e condizioni lavorative o abitative degradanti.

La legge introduce aggravanti specifiche per il reclutamento di più di tre lavoratori, l’impiego di minori e l’esposizione dei lavoratori a situazioni di grave pericolo. Queste circostanze comportano un aumento della pena da un terzo alla metà.

Lavoro irregolare in Italia: una piaga in crescita

Nel 2021, il numero dei lavoratori irregolari in Italia ha raggiunto i 2.990.000, con una crescita di circa 73.000 unità rispetto all’anno precedente. Di questi, 2.177.000 sono dipendenti, mentre il resto è costituito da indipendenti.

Questo dato emerge dal report 2023 sull’economia non osservata dell’Istat, che analizza il periodo dal 2018 al 2021.

Il tasso di irregolarità si attesta al 12,7%, il che significa che su 23 lavoratori ufficialmente impiegati, quasi 13 operano in nero o in situazioni di semi-legalità. La percentuale è leggermente superiore tra i dipendenti (12,9%) rispetto ai lavoratori autonomi (12,3%).