Omicron 2, cosa cambia dalla 1 e a cosa stare attenti

La subvariante è ormai presente nel 30% dei contagiati e sta rimpiazzando la sorella: ecco tutto quello che sappiamo sull’ultima mutazione del coronavirus

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Redazione

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“Attenti alla gobba del cammello”. L’allarme era arrivato dal Sudafrica, il primo Paese a essere investito dall’ondata di Omicron, a vedere poi la variante recedere, e a rivivere infine un nuovo aumento dei casi, stavolta causato da Omicron 2. La curva a gennaio mostrava appunto la forma di una gobba di cammello. “Non siamo di fronte a una nuova variante, ma a una subvariante” tranquillizza Fausto Baldanti, virologo dell’università di Pavia e del San Matteo.

“Alcune mutazioni potrebbero rendere Omicron 2 più efficiente nello sfuggire agli anticorpi” aggiunge Massimo Ciccozzi, professore di Statistica medica ed epidemiologia del Campus Biomedico di Roma. Intanto in alcuni Paesi come la Danimarca Omicron 2 ha superato l’ondata della sorella già tra gennaio e febbraio, con un grosso aumento dei casi ma senza ripercussioni sugli ospedali. Ma cosa sappiamo dell’ultima mutazione del coronavirus?

Omicron 2, cosa sappiamo: diffusione e rapidità di infezione

Rispetto alla pur contagiosissima sorella, Omicron 2 (o Omicron BA.2 come pure è chiamata) sembra avere ancora una marcia in più: si stima un più 30 per cento di velocità di infezione. Per conoscere la sua diffusione in Italia si attendono i dati ufficiali dell’Istituto superiore di sanità. Intanto però i laboratori che si occupano del sequenziamento osservano un rapido aumento dei casi. A Omicron 2 appartengono ormai tra il 20 per cento e il 30 per cento dei casi positivi oggi in Italia, con punte del 60 per cento come in Umbria, dove l’indice Rt è risalito: da 0,86 a 1,04 in una settimana.

“Omicron 2 sta soppiantando Omicron 1 ancor più velocemente di quanto quest’ultima non abbia fatto con Delta, la variante precedente” spiega Liborio Stuppìa, direttore del laboratorio di genetica molecolare e di test per il Covid-19 dell’università di Chieti. “Va forte, va molto più forte di quanto ci aspettassimo appena l’abbiamo tracciata“, conferma Vittorio Sambri, microbiologo dell’università di Bologna: “Due settimane fa vedevamo Omicron 2 nel 5 per cento dei campioni. Ora siamo al 29 per cento“.

Omicron 2, cosa sappiamo: quali condizioni climatiche la favoriscono o la ostacolano

“Il prossimo allentamento delle misure — spiegano gli esperti dell’Istituto zooprofilattico sperimentale di Padova — unito alla crescita di Omicron 2 potrebbero provocare un rallentamento del calo della quarta ondata“. L’ultimo rapporto sulle varianti dell’Iss risale al 18 febbraio scorso e riporta (oltre alla pressoché totale estinzione di Delta) la presenza di Omicron 2 al 3 per cento. Nella fotografia precedente, quella del 31 gennaio, era all’1 per cento.

Ma lo studio degli scienziati dell’Istituto superiore di sanità ha tracciato anche un primo bilancio riguardo le condizioni atmosferiche in cui Omicron 2 tende a diffondersi. Stando a quanto raccolto con gli studi di queste prime settimane, la subvariante avrebbe più difficoltà a contagiare nuovi individui quando ci si trova in ambienti freddi e umidi, mentre invece si troverebbe più a suo agio con un clima più temperato e molto secco. Un fattore che potrebbe incidere ulteriormente sulla sua diffusione, alla vigilia dell’inizio della primavera e con l’arrivo dei mesi più caldi della prossima estate.

Omicron 2, cosa sappiamo: la risposta agli anticorpi e l’incidenza sugli ospedali

“Per fortuna l’aumento dei contagi non sta riportando in alto i ricoveri. Qualche studio suggerisce che Omicron 2 sia un po’ più severa e più abile nello sfuggire agli anticorpi rispetto alla sua versione precedente. Ma si tratta di esperimenti sugli animali, ancora non del tutto convincenti per poter essere presi in considerazione nell’analisi della risposta su un organismo umano“.

Questo il quadro tracciato da un altro laboratorio zooprofilattico sperimentale, quello di Teramo, molto attivo sin dall’inizio della pandemia nel verificare il comportamento delle mutazioni del virus. Ad oggi quindi rimane ancora tutta da verificare la risposta di Omicron 2 ai diversi tipi di vaccino che siamo abituati a vedere nei centri di immunizzazione di tutta Italia. E questo nonostante la Fda (Food and Drug Administration) degli Stati Uniti il mese scorso abbia dato il via libera alla somministrazione del nuovo farmaco monoclonale creato appositamente per contrastare gli effetti di Omicron 2.

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Omicron 2, cosa sappiamo: come individuarla facendo un tampone

Stando sempre a quanto specificato dagli esperti dei due laboratori interpellati, per capire se un tampone risultato positivo appartiene a Omicron o alla sua sorella esistono due strade. “La più affidabile è il sequenziamento vero e proprio, ma è un procedimento lungo e costoso. In realtà è possibile intuire se un campione positivo appartiene a Omicron o Omicron 2 anche con la semplice Pcr (proteina C reattiva)”.

Il segreto starebbe nel gene S, quello della proteina spike, uno dei tre che l’analisi dei tamponi molecolari va a cercare all’interno del campione. “Con Omicron 1 in alcuni apparecchi il gene S non viene rilevato, proprio perché la spike è variata, mentre veniva rilevato in precedenza con Delta”. Nel gioco delle mutazioni quindi, per un fattore di puro caso, il gene S ricompare invece con Omicron 2. “Gli scienziati inglesi nei loro conteggi includono anche i dati della Pcr, non solo quelli dei sequenziamenti veri e propri. Anche per questo hanno dati più ampi dei nostri al momento”.

Omicron 2, cosa sappiamo: nuovi sintomi e periodo di incubazione

Omicron 2 sarebbe quindi più contagiosa della precedente. Ma, come confermano i primi casi accertati della subvariante, in generale si presenterebbe con sintomi più lievi rispetto al passato. La variante Omicron 2 non sembra infatti provocare effetti più gravi rispetto alla sua versione base che già conosciamo.

A grandi linee, la sintomatologia rimane la stessa: naso che cola e molti starnuti, mal di testa e senso di spossatezza, dolori muscolari con relativa stanchezza e mal di gola sono stati i sintomi più segnalati. Verificati anche casi di nausea e diarrea. Rispetto alla versione ‘tradizionale’ del Covid, associato in particolare alla variante Delta, appaiono meno frequenti le segnalazioni alla perdita di olfatto e gusto, sintomi ‘spia’ della malattia nelle precedenti ondate.

I sintomi più lievi rischiano quindi di essere confusi con quelli classici da raffreddamento, molto comuni nei mesi invernali e decisamente diffusi tra i bambini. La durata media della malattia va dai 5 ai 7 giorni con un periodo di incubazione di 3 giorni in media.