Caos infermieri, mancano in tutta Italia: le regioni più in crisi

I dati diffusi da Agenas mostrano una carenza diffusa di operatori sanitati in tutta la Penisola: ospedali allo stremo, quali sono gli ambiti in difficoltà

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Federico Casanova

Giornalista politico-economico

Giornalista professionista specializzato in tematiche politiche, economiche e di cronaca giudiziaria. Organizza eventi, presentazioni e rassegne di incontri in tutta Italia.

Tra le molte cose che sono cambiate nella vita di ognuno di noi dopo i tre anni di emergenza pandemica da Covid-19, quella che tocca più da vicino la gestione delle nostra salute è la tendenza a mettere in pratica tutte le precauzioni necessarie per difendersi dall’eventuale presenza di virus nell’aria, specialmente negli ambienti al chiuso. Un utilizzo ancora molto diffuso delle mascherine, una cura maniacale nell’arieggiare le stanze molto frequentate e una prassi consolidata nel disinfettare le mani e il volto sono solo alcune delle piccole (ma fondamentali) accortezze che aiutano i cittadini a preservare il proprio benessere.

Se, da un lato, la popolazione italiana sembra aver fatto propri i comportamenti più corretti che il coronavirus ha imposto a tutte le società del mondo, la stessa cosa non si può dire quando si parla dei governanti e delle loro scelte in ambito sanitario. Con Mario Draghi – impegnato in prima persona per portare a termine la campagna vaccinale durante i suoi 18 mesi a Palazzo Chigi – questo aspetto era rimasto in secondo piano nell’agenda dell’opinione pubblica: ma con l’arrivo dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, il tema della stabilità del nostro Sistema Sanitario Nazionale ha ripreso a occupare le prime pagine di quotidiani e agenzie, scatenando un botta e risposta continuo tra il centrodestra e i partiti di opposizione.

Servizio Sanitario Nazionale, governo sotto attacco: pochi soldi stanziati e attese epocali per una visita medica

Già nei giorni conclusivi del 2022, abbiamo letto tutti le proteste veementi e reiterate da parte degli esponenti del Partito Democratico e del Movimento 5 stelle, che hanno accusato a gran voce il governo di non aver stanziato fondi sufficienti per la sanità all’interno della legge di Bilancio. In effetti, nel testo della Manovra 2023, il Consiglio dei ministri ha introdotto appena 2 miliardi di euro da destinare al Fondo sanitario: per l’anno corrente, la cifra complessiva è così salita a quota 129 miliardi di euro, che rapportati al valore del PIL nazionale rappresentano il 6,5% delle risorse. Stiamo parlando di una percentuale comunque maggiore rispetto ai livelli precedenti alla pandemia (nel biennio tra il 2018 e il 2019 era al 6,4%), ma decisamente inferiore rispetto al 6,8% registrato nel 2021.

Ad accendere gli animi dei contestatori (che rinfacciano alla nuova classe politica un marcato disinteresse per questo tema, da molti ritenuto “sorpassato” e di secondo piano tra le priorità degli elettori) è anche la situazione che riguarda le visite mediche e i controlli specialistici che devono ricominciare ad essere svolti dopo il ritorno alla normalità. Come vi abbiamo illustrato in un recente approfondimento, sono nell’ordine di circa 3 milioni le persone in tutta Italia che stanno scegliendo di rivolgersi alle cliniche private, esasperati dai continui intoppi burocratici della macchina amministrativa pubblica. Tempi biblici per effettuare una mammografia al seno (127mila appuntamenti saltati in 3 anni), un’ecografia all’addome (334mila dal 2020 ad oggi), un elettrocardiogramma (addirittura 1 milione di disdette), ma anche per una semplice valutazione oculistica.

SSN, carenza cronica di medici e non solo: i numeri sulla mancanza di infermieri e operatori sanitari

A questo punto, vale la pena dare uno sguardo approfondito ai numeri assoluti che riguardano il Sistema Sanitario Nazionale. Secondo gli ultimi dati diffusi da Agenas (l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), l’Italia è un Paese in cui ci sono 4 medici di base ogni 100 abitanti. Un dato in linea con quello europeo, dove la media tra gli Stati membri è di 3,8 dottori per 100 cittadini. Non sembra essere qui, dunque, il cuore del problema, anche se non si può non notare come dei circa 103mila specialisti sotto contratto con l’ente pubblico, ben 40mila andranno in pensione entro il 2027, inasprendo una carenza generale di professionisti che ha spinto i diversi governi che si sono succeduti a richiamare diversi soggetti over-70.

Le criticità si mostrano invece in maniera evidente se si passano in rassegna le statistiche che riguardano i nostri infermieri. Se, ad esempio, in Norvegia ci sono 18 operatori sanitari ogni 1.000 abitanti, in Germania 13 e in Francia 11, ecco che in Italia il dato crolla ad un impietoso 6,2 infermieri ogni mille potenziali pazienti. E questo nonostante le circa 32mila assunzioni straordinarie predisposte per far fronte all’emergenza pandemica: tra l’altro, di questi nuovi lavoratori pubblici, solo 8.700 potranno contare su un contratto di stabilizzazione che li porterà ad essere assunti a tempo indeterminato, mentre per i restanti 23mila e rotti la flessibilità richiesta in sede di ingaggio li farà rimanere nel limbo dei contribuenti precari.

SSN, le regioni in cui mancano gli infermieri: quali sono le aree a rischio e cosa succederà con i fondi del PNRR

Che la crisi del personale sanitario sia nota a tutti lo confermano le parole di alcuni esponenti politici che da sempre pongono l’attenzione sul tema. Carlo Calenda ripete in ogni occasione che “in Italia mancano 63mila infermieri“, ma anche Stefano Bonaccini – governatore dell’Emilia Romagna e da poco nominato presidente nazionale del PD – continua a sottolineare che “nel nostro Paese non si trova personale qualificato, e questo succede anche in una regione d’eccellenza come la nostra”. Secondo una recente indagine condotta dal noto sito di fact checking Pagella Politica, il dato citato dal leader di Azione potrebbe essere scomposto secondo questo schema:

  • 27mila professionisti dovrebbero essere destinati nelle regioni del Nord, con una quota più importante in Piemonte e in Lombardia;
  • 12mila infermieri andrebbero integrati nelle strutture pubbliche presenti nelle regioni del Centro Italia;
  • 24mila operatori sanitari andrebbero smistati nelle regioni del Sud (in particolare in Calabria e in Basilicata) e nelle Isole.

L’unico aspetto confortante della questione è quello che riguarda il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Tra i diversi capitoli concordati dall’Italia con la Commissione europea per ricevere i fondi, la missione 6 del PNRR (quella appunto relativa all’ambito medico e sanitario) stabilisce infatti che venga predisposta una “riforma dell’assistenza territoriale“, con gli infermieri che dovranno assumere un ruolo centrale – e molto più impegnativo – nelle cure domiciliari, nei servizi di consultorio famigliare e attraverso la creazione di una nuova figura professionale, ossia quella di “infermiere di comunità“, che diventerebbe un vero e proprio punto di riferimento per le località più isolate rispetto ai centri urbani cittadini.