Il ministro della Salute Orazio Schillaci è stato intervistato in merito alla sanità pubblica, in particolare sulle liste e i tempi d’attesa per esami e visite. Dai dati emerge come siano migliorate le tempistiche, anche se il miglioramento è minimo, quasi impercettibile. Non c’è un italiano che non si trovi in difficoltà ad accedere alla sanità pubblica in tempi brevi.
I dati noti grazie alla piattaforma nazionale delle liste d’attesa, attiva da giugno, sono stati analizzati e pubblicati dall’Associazione Luca Coscioni. Questi ci raccontano che i miglioramenti sono talmente lenti che, per raggiungere gli obiettivi fissati dalla legge, ci vorrebbero 40 anni.
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Il ritardo nella sanità: liste di attesa ancora troppo lunghe
La piattaforma Agenas inizia a evidenziare un trend positivo, ma ancora oggi solo il 75% delle prestazioni urgenti rientra nei tempi. Quelle meno urgenti sono sempre in ritardo. Per il ministro Orazio Schillaci, però, la responsabilità è di chi applica le norme sulle liste d’attesa. Sono le Regioni che gestiscono la sanità e per molto tempo hanno impedito che una piattaforma unica raccogliesse i dati delle prenotazioni di esami e visite, sia quelle attraverso il Servizio sanitario nazionale, sia quelle intramoenia. Queste ultime sarebbero aumentate del 10%.
Secondo il ministro, la libera professione è un diritto, ma non deve venire prima della prestazione pubblica. Sembra poi fare una promessa:
Il problema nasce quando ci sono più prestazioni a pagamento che nel Ssn, quando l’attesa pubblica è di sei mesi e l’intramoenia di due settimane. Se lo sbilanciamento nega il diritto alle cure, è verosimile ipotizzare una sospensione temporanea. Il patto è chiaro: prima il pubblico, poi il privato convenzionato. Dove vediamo criticità, interveniamo per garantire equità.
Ricorda così che in molte regioni si applica la norma che consente ai cittadini di rivolgersi gratuitamente al privato se non ottengono prestazioni nei tempi dovuti. Si tratta di uno strumento utile e rifinanziato, ma la priorità dovrebbe essere quella di riorganizzare l’offerta pubblica.
In Piemonte, ricorda, per accorciare i tempi d’attesa sono state date indicazioni per effettuare esami e visite in orari non convenzionali come prefestivi, festivi e serali. I dati dicono che funziona: in questi slot non convenzionali sono state svolte 199.334 prestazioni.
I dati di Agenas letti da Crivellini
Secondo Marcello Crivellini, professore di analisi e organizzazione dei sistemi sanitari del Politecnico di Milano, la piattaforma dovrebbe garantire trasparenza, ma non è così facile da leggere e interpretare.
L’esperto lo fa per noi e scopriamo così che da luglio a settembre sono stati prenotati poco più di 25 milioni di esami. Di questi, 10 milioni accettati e messi in lista d’attesa secondo i tempi previsti dalla legge, mentre quasi 15 milioni sono stati rifiutati. I pazienti infatti preferiscono aspettare a lungo, oltre i limiti indicati dalla prescrizione, mentre altri si rivolgono a strutture private e solo una parte più piccola rinuncia all’esame.
Nei primi nove mesi dell’anno il 58,1% degli esami è stato effettuato oltre i tempi previsti dalla legge, con solo il 41,9% nel rispetto dei tempi. Per le visite è anche peggio, con il 64,2% che non rispetta i tempi. Da giugno a oggi i tempi d’attesa sono migliorati, ma solo dello 0,2%. Proseguendo così, sarebbero necessari 4o anni prima che il rispetto dei tempi di attesa per gli esami si verifichi.
Una società che invecchia in salute: il cambio di paradigma
Il ministro della Salute viene interrogato anche sul tema degli anziani. In Italia ci sono 4,6 milioni di over 80 e in 15 anni sono raddoppiati i centenari, arrivando a quota 23.500. Come fa notare il giornalista, siamo un Paese di grandi vecchi. C’è bisogno quindi di un’assistenza sanitaria che tenga conto di questi dati, senza pesare troppo sulle casse dello Stato.
Schillaci scherza dicendo che se ci sono tutti questi centenari è perché “il nostro Servizio sanitario nazionale qualcosa di buono lo sta facendo”. Di recente sono stati pubblicati i dati Ocse che dimostrano come l’Italia sia la seconda nazione al mondo per longevità, anche a fronte di una spesa per abitante ridotta rispetto ad altri Paesi analizzati.
Il punto, come fa notare il ministro della Salute, non è tanto vivere di più, quanto vivere meglio. Parla così di “invecchiamento attivo”, ma per centrarlo serve un cambio di paradigma. Secondo il ministro servono meno ospedali e più presenza sul territorio, come le Case della comunità.
Per raggiungere l’anziano non autosufficiente servono cure mediche, ma anche accudimento. Per questo il ministro parla di un potenziamento dell’assistenza domiciliare integrata, capillare sul territorio e anche più sostenibile.
Nella Manovra più fondi per gli infermieri
È vero anche che i caregiver familiari sono una colonna invisibile del sistema di welfare e l’Italia, con la legge 104 che prevede fino a due anni di aspettativa retribuita, li sostiene. Eppure ancora oggi i caregiver si ritrovano in difficoltà a sostenere la propria vita, il lavoro e l’attività di cura. Il 41% di questi finisce per ammalarsi. Il ministro ha risposto che sono dati reali e che per questo un obiettivo è creare una rete che affianchi i caregiver e li sollevi almeno dai compiti sanitari. Servirebbero proprio a questo le Case di comunità, gli ospedali di comunità e un’Adi rafforzata.
Per far diventare la salute pubblica accessibile su tutto il territorio, però, servono professionisti, in particolare infermieri. La Manovra 2026 prevede 450 milioni di euro per nuove assunzioni nella sanità, in particolare 6300 infermieri e 1000 nuovi medici. Sono previsti inoltre una serie di aumenti e benefit per migliorare le condizioni di lavoro, la formazione e in generale rendere più attrattive le professioni sanitarie.
Il grave problema dell’assenza di infermieri è, come ricorda Schillaci, la vera emergenza. “Nell’immediato attingiamo anche dall’estero con protocolli bilaterali, ma il tema è rendere attrattiva la professione”. Anche con una manovra favorevole, il capitale umano non si crea per legge e va coltivato: per questo si punta a formazione specialistica universitaria e attrattività salariale con aumenti contrattuali.