Fitofarmaci e pesticidi, nuovo report Legambiente: l’elenco degli alimenti più contaminati

Fitofarmaci e pesticidi presenti negli alimenti sulle nostre tavole: i dati del dossier di Legambiente

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Fitofarmaci e pesticidi presenti negli alimenti e sulle nostre tavole: sottoposti ad analisi 6085 campioni di frutta, verdura e prodotti di origine animale.

Grazie al dossier aggiornato di Legambiente – uno screening unico nel suo genere – dall’elaborazione dei dati forniti dalle Regioni e dagli enti preposti, è possibile oggi individuare quali sono gli alimenti più contaminati, spesso portati nelle nostre tavole con frequenza e senza l’attenzione necessaria.

Gli alimenti più contaminati

Stando a quanto riportato nel rapporto che Legambiente elabora in collaborazione con Alce Nero ogni anno – “Stop pesticidi nel piatto”, in linea con il trend degli anni precedenti, la categoria più colpita dalla presenza di residui è risultata la frutta, arrivando a quota 67,96% di campioni con uno o più residui.

Nello specifico, le tipologie di alimenti più colpite dalla presenza di fitofarmaci sono risultate essere, in ordine decrescente:

  • pere (84,97%);
  • pesche (83,00%);
  • mele (80,67%).

Nella frutta esotica (banane, kiwi e mango) è stata riscontrata la percentuale più alta di irregolarità, pari al 7,41%.
Dato nettamente superiore alle altre tipologie di alimenti.

Per quanto riguarda la verdura, è stata osservata una maggiore presenza di campioni privi di residui, pari al 68,55%, con una percentuale di irregolarità del 1,47%.

Gli alimenti di questa categoria più colpiti dalla presenza di pesticidi sono stati:

  • peperoni (53,85%);
  • insalate e pomodori (entrambi a quota 53,14%);
  • ortaggi da foglia (38,12%) come spinaci, bietole e cavoli.

Tra gli alimenti trasformati si evidenzia invece una percentuale estremamente bassa di irregolarità, pari allo 0,67%, mentre la percentuale di alimenti con uno o più residui è del 36,22%. I trasformati con la più alta percentuale di residui sono risultati essere i cereali integrali trasformati (farine e pasta integrali) con il 71,21%, seguiti dal vino con il 50,85% di campioni aventi tracce rilevabili di fitofarmaci.

Residui anche nel vino

Non solo cibo, Legambiente ha analizzato anche 354 campioni di vino e, elaborando i risultati ottenuti, appare evidente come sia frequente il ricorso al multiresiduo (26,55%), contro una percentuale di campioni senza residui pari al 48,87%.

Inoltre, nel 73,17% dell’uva analizzata è stata rinvenuta la presenza di almeno un pesticida. Un trend lievemente in diminuzione rispetto allo scorso anno (88,3%), con una percentuale di multiresiduo nettamente superiore al monoresiduo (62,20% vs. 10,98%), contando oltre 27 tipologie differenti di fitofarmaci. Nell’uva da tavola i residui più frequenti sono stati: Fluxapyroxad (10,00%), Metalaxyl (9,17%) e Acetamiprid (7,50%).

Per quanto riguarda il vino, sono 15 i fitofarmaci riscontrati, arrivando ad un massimo di 6 nello stesso campione. Le sostanze attive più frequentemente riscontrate sono state: Dimetomorph (32,38%), Fenhexamid (18,10%), Metalaxyl (16,19%).

Sostanze pericolose nei prodotti confezionati

Oltre ai rischi legati all’uso di sostanze oltre i limiti per la produzione e coltivazione degli alimenti, il report di Legambiente si è soffermato anche sui prodotti confezionati, sottolineando come negli ultimi anni si è palesata una notevole preoccupazione riguardo alla sicurezza degli imballaggi alimentari in plastica a causa della presenza di sostanze chimiche potenzialmente pericolose per la salute umana.

È infatti stato accertato che tali sostanze riescono a migrare all’interno degli alimenti in funzione del tempo di esposizione, della temperatura e della quantità di grassi presenti nell’alimento.

Nonostante la normativa stringente, soprattutto negli anni passati sono stati usati imballaggi contenenti sostanze capaci di migrare negli alimenti. Tra queste, si segnalano il bisfenolo A (o BPA), un additivo riconosciuto globalmente come interferente endocrino (EDC) in quanto capace di alterare i sistemi ormonali, omeostatici e riproduttivi soprattutto nei primi stadi di sviluppo e pare addirittura capace di aumentare la suscettibilità allo sviluppo di tumori al seno a causa della sua elevata liposolubilità.  Per questo motivo e a seguito della valutazione fornita dall’EFSA (Autorità Europea per la sicurezza alimentare) nel 2010, è stato proibito per la produzione di biberon e, più in generale, di prodotti per l’infanzia. Tuttavia è doveroso sottolineare come questo continui a essere utilizzato per la produzione di lattine e imballaggi.

Le sostanze rilevate

Stando a quanto riportato nel rapporto Legambiente, la percentuale dei campioni in cui sono state rintracciate tracce fitofarmaci negli alimenti che ogni giorno arrivano sulle tavole di italiane e italiani è in diminuzione.

Nello specifico, è risultata più contenuta la presenza di pesticidi rispetto allo scorso anno (39,21% contro il 44,1% dello scorso anno).

Regolare e senza residui è risultato, invece, il 59,18% dei campioni (lo scorso anno erano 54,8%), mentre nei prodotti biologici sono stati rintracciati residui solo nell’1,38% dei campioni.

A destare invece preoccupazione il fatto che, seppur nei limiti di legge, nel 15,67% dei campioni regolari sono state trovate tracce di un fitofarmaco e nel 23,54% di diversi residui. Le sostanze rintracciate nei campioni analizzati sono 95. Si tratta nello specifico di sostanze attive provenienti da fitofarmaci.

Sul fronte dei dati provenienti da agricoltura convenzionale (5940 campioni), emerge una percentuale molto bassa di alimenti irregolari, pari all’1,62% dei dati. In questa categoria è doveroso ricordare che rientrano tutti gli alimenti in cui si è verificato il superamento del Limite Massimo di Residuo (LMR) o quelli in cui è stata registrata la presenza di una sostanza non ammessa per la matrice in analisi o un fitofarmaco revocato dal mercato.

I dati evidenziano che il 59,18% degli alimenti risulta regolare e privo di residui, mentre nel 39,21% dei campioni analizzati sono state rilevate tracce di uno o più residui di fitofarmaci con una percentuale di monoresiduo pari al 15,67%, contro un multiresiduo del 23,54%.

I pesticidi maggiormente rilevati sono stati insetticidi e fungicidi, nello specifico e in ordine decrescente: Acetamiprid, Fludioxonil, Boscalid e Dimethomorph. Mentre è stata segnalata la presenza di residui di neonicotinoidi non più ammessi come Thiacloprid in campioni di pesca, pompelmo, ribes nero, semi di cumino e tè verde in polvere; Imidacloprid in un campione di arancia, 2 campioni di limoni, 3 campioni di ocra; Thiamethoxam in un campione di caffè. Tali sostanze attive sono particolarmente pericolose per la salute delle api e degli insetti pronubi e il loro impiego non è più consentito dai Regolamenti UE.

La soluzione

Nel quadro del Green Deal europeo e del concetto di produzione alimentare sostenibile “dalla fattoria alla tavola”, vengono definiti obiettivi chiari: ridurre del 50% l’uso di fitofarmaci entro il 2030 e puntare all’azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050. Ma come fare allora? Qual è una possibile soluzione?

Secondo Legambiente: “Affrontare questa sfida ambiziosa richiede l’individuazione di soluzioni efficaci e sostenibili”, per questo “l’agroecologia rappresenta un approccio all’agricoltura che si concentra sull’uso sostenibile delle risorse naturali e sulla loro integrazione nell’ecosistema agricolo”.

Si tratta cioè di adottare pratiche che promuovono la biodiversità, la fertilità del suolo e la gestione degli ecosistemi agricoli. L’obiettivo in questo caso è preservare e migliorare attraverso tecniche di fertilizzazione organica e di lotta all’erosione. Un suolo fertile e in salute, oltre a svolgere le sue funzioni in modo ottimale, compresa la capacità di supportare la crescita delle piante, la conservazione dell’acqua e la filtrazione, ospita un numero rilevante di microrganismi benefici in grado di colonizzare l’apparato radicale costituendo il “microbiota rizosferico”.

“Da evidenze sperimentali abbiamo verificato che l’utilizzo di varietà resistenti di patate alla peronospora ha permesso di azzerare l’utilizzo di prodotti mentre nel caso di varietà suscettibili sono stati resi necessari più interventi come accaduto nella stagione 2023 caratterizzata dal mese di maggio particolarmente piovoso”, si legge nel report.

L’utilizzo di varietà resistenti è stato quindi integrato alla fertilizzazione organica con compost e da lavorazioni minime così, proprio grazie a questa strategia integrata, è stato possibile produrre tuberi in quantità e qualità equivalente alla produzione integrata senza l’utilizzo di prodotti chimici.

“Nuove prospettive nella riduzione nell’uso di prodotti fitosanitari sono offerte dalla disponibilità di microrganismi e sostanze prodotte o derivate da microrganismi benefici” viene spiegato in conclusione. Infatti, sono disponibili formulati in grado di sostituire i presidi di natura chimica nella prevenzione di una serie di malattie come l’oidio e la botrite in viticoltura.

In conclusione, a oggi sono disponibili mezzi di produzione alternativi e innovativi la cui integrazione in chiave agroecologica permette di minimizzare l’utilizzo di prodotti fitosanitari, ma è necessaria una costante sperimentazione da parte degli organismi di ricerca per mettere a punto le strategie più efficaci e fornire al mondo della produzione risposte sostenibili, efficaci e durature.