Con l’attacco di Hamas a Israele l’Italia si blinda, lo ha confermato la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che in visita alla Sinagoga di Roma ha messo in guardia dal “rischio di emulazione degli atti criminali che potrebbe arrivare anche da noi”. Ma cosa prevede il piano anti terrorismo italiano? E quando è stata l’ultima volta che è stato aggiornato?
Piano anti terrorismo in Italia
In materia di anti terrorismo, l’Italia è attualmente dotata di una legislazione in linea con quanto previsto a livello internazionale. Il nostro ordinamento, dopo gli attacchi del 2001 alle Torri Gemelle, ha gradualmente abbandonato il quadro normativo approvato per fronteggiare la minaccia terroristica degli anni ’70 del secolo scorso per adeguarsi, coniugando misure repressive con intenti di prevenzione del fenomeno.
La comunità internazionale ha sviluppato, fin dall’11 settembre 2001 appunto, iniziative volte alla prevenzione ed al contrasto della minaccia terroristica, utilizzando di volta in volta strumenti militari, di “law enforcement” o affrontando, sotto il profilo della prevenzione, anche quelle condizioni di natura sociale ed economica che possano favorire la diffusione della propaganda estremista e del reclutamento di terroristi.
L’Unione Europea ha promosso un approccio basato su indagini investigative, attività di intelligence, confronto politico-diplomatico e dialogo interculturale e interreligioso, ma si è concentrata anche sulla lotta al finanziamento dei terroristi, la sicurezza dei trasporti e su una strategia di contrasto al reclutamento e alla radicalizzazione.
Tornando invece alla struttura del sistema di sicurezza civile italiano, c’è da dire che questa è caratterizzata, in generale, dall’interazione tra due principali ambiti: la difesa civile e la protezione civile. Il concetto di difesa civile si riferisce proprio agli atti intenzionali, come il terrorismo o il rilascio intenzionale di agenti Nucleari, Biologici, Chimici e Radiologici (NBCR), mentre quello di protezione civile riguarda soprattutto la salvaguardia, il soccorso e l’assistenza alla popolazione, così come la tutela e il recupero di beni, in caso di eventi e disastri naturali e/o antropici.
Questa distinzione ha portato allo sviluppo di un sistema di gestione delle crisi che presenta specifici distinti dipartimenti per la protezione civile e la difesa civile, dotati di una certa complementarità tra i rispettivi attori a livello operativo. A monitorare la situazione in Italia dopo l’intensificarsi del conflitto tra Hamas e Israele, sarà il Dipartimento di Difesa Civile che fa parte del Ministero dell’Interno, che risponde attualmente alla direzione di Matteo Salvini.
Il sistema di sicurezza civile italiano è caratterizzato da un approccio multi-rischio alla gestione delle crisi poiché, data la forte capillarità ed estensione dei rischi presenti sul territorio nazionale, l’Italia ha sviluppato un sistema di risposta imperniato sul principio di sussidiarietà. Questo in pratica vuol dire che l’azione di risposta inizia a livello locale e coinvolge le amministrazioni competenti in senso verticale, secondo una classificazione dei disastri basata sulla loro estensione e intensità, nonché sul livello di risposta da parte della protezione civile: “tipo a” (livello comunale), “tipo b” (provinciale e regionale) e “tipo c” (nazionale).
Ai vertici politici e istituzionali del sistema di sicurezza civile si trovano i seguenti organi decisionali nazionali:
- il Presidente del Consiglio dei Ministri;
- il Consiglio dei Ministri;
- il Comitato Politico Strategico;
- il Centro Decisionale Nazionale;
- il Nucleo Interministeriale Situazione e Pianificazione.
Il responsabile per la preparazione alle crisi e l’immediata risposta è il sindaco. In caso di emergenza nazionale il responsabile esecutivo è invece il Presidente del Consiglio dei Ministri, in questo caso Giorgia Meloni, che tramite il Dipartimento della Protezione Civile dirige e coordina le attività delle strutture operative.
Cosa prevede la legge
Nel 2015, con l’adozione del Decreto Legge n. 7 del 18 febbraio 2015 avente ad oggetto “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale”, poi convertito nella Legge n. 43 del 17 aprile 2015, il nostro Paese si è adeguato alla Risoluzione n. 2178 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel settembre 2014, volta in particolare a colpire il fenomeno dei combattenti stranieri, i cosiddetti “Foreign Terrorist Fighters” (FTF), dei c.d. ‘lupi solitari’, ovvero di persone, spesso immigrati anche di seconda o terza generazione, che si sono convertite a titolo individuale alla causa del “Jihad” e che agiscono “motu proprio”. Vale a dire un profilo di terrorista distinto da quello tradizionale, affiliato a un’organizzazione criminale, anche internazionale, come era descritto dall’Art. 270-bis e successivi del Codice Penale (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale).
Il legislatore, in questo modo, ha voluto anche potenziare i meccanismi di contrasto al terrorismo internazionale, con particolare riguardo al fenomeno dell’estremismo islamico-fondamentalista, a pochi mesi dagli attentati di Parigi del 7 gennaio 2015.
Le strategie di contrasto identificate dalla Legge 43/2015 si articolano attraverso la previsione di nuove norme incriminatrici o nell’allargamento delle maglie di quelle già esistenti (l’incriminazione dell’arruolato e non solo del reclutatore, l’auto- addestramento, l’organizzazione di trasferimenti all’estero per finalità di terrorismo) e tramite l’adozione di misure di prevenzione personali, regolate oggi organicamente dal codice antimafia (d.lgs. n. 159/2011), con il quale è stato affidato per la prima volta un ruolo di coordinamento delle indagini in materia di terrorismo alla Procura Nazionale Antimafia, ribattezzata ora “Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo”.
La legge prevede anche l’espulsione amministrativa dello straniero per motivi di ordine e sicurezza pubblica, come sancito dal D.L.vo 286/98, che viene adottata dal Ministro dell’Interno (o dal Prefetto con delega del Ministro) con provvedimento che motivi la pericolosità dell’espulso in relazione alla “sicurezza dello Stato”, come nel caso di soggetti implicati in attività di spionaggio o di terrorismo. Si tratta di uno strumento flessibile per un’opera preventiva del rischio terroristico nei confronti di quei cittadini, regolarmente presenti sul territorio nazionale, che pur non avendo compiuto reati riconducibili alle categorie citate al paragrafo precedente presentano un pericolo per lo Stato.
Con la Legge n. 438/2001, approvata all’indomani degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, erano state inoltre adottate misure urgenti per la prevenzione ed il contrasto dei reati commessi per finalità di terrorismo internazionale. Fra queste la punibilità di chiunque “promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia” associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza compiuti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento democratico.
Il legislatore è tornato sulla materia del contrasto al terrorismo poi nel 2016, attraverso l’adozione della legge n. 153 del 28 luglio, che ha adeguato il nostro ordinamento ad una serie di impegni internazionali in materia , apportando alcune modifiche al Codice Penale e aggiungendo ulteriori fattispecie incriminatrici quali:
- i delitti di finanziamento di condotte con finalità di terrorismo;
- la sottrazione di beni o denaro sottoposti a sequestro, con una nuova ipotesi di confisca obbligatoria per tutti i reati commessi con finalità di terrorismo;
- atti di terrorismo nucleare.
Con chi collabora l’Italia nella lotta al terrorismo
In termini generali è largamente condiviso dall’Italia lo sviluppo di una collaborazione internazionale in chiave di prevenzione e contrasto al terrorismo, attraverso lo scambio di informazioni utili a perseguire i sospettati di terrorismo nonché a prevenire nuovi attentati.
I principali ambiti di cooperazione multilaterale contro il terrorismo vedono l’Italia impegnata insieme a:
- Nazioni Unite;
- Coalizione internazionale anti-Daesh, promossa dagli Stati Uniti all’indomani della caduta di Mosul, nel giugno 2014 per il contrasto all’autoproclamato Stato islamico (Daesh);
- il G7;
- l’Unione Europea;
- la NATO.
La cooperazione internazionale inoltre ha continuato a svilupparsi anche sotto il profilo del contrasto all’abuso di Internet da parte dei gruppi terroristici e del contrasto al finanziamento del terrorismo. In tema di cooperazione internazionale contro il finanziamento del terrorismo, in sede GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale, FATF – Financial Action Task Force) sono state elaborate 9 Raccomandazioni Speciali contro il finanziamento del terrorismo (che si sono aggiunte alle pre-esistenti 40 Raccomandazioni contro il riciclaggio di denaro sporco).
Le falle del sistema di sicurezza italiano
C’è da dire, tuttavia, che a livello operativo, l’ultima volta che il sistema di difesa civile è stato attivato, è stato in vista del Millennium Bug, nel 1999 e a seguito degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Dopo di che, nel 2005 si è svolta a Milano la prima esercitazione ufficiale voluta dal Ministero dell’Interno tramite una simulazione di risposta ad attacco terroristico.
Per di più, il sistema di sicurezza civile in alcuni casi è stato oggetto di commissioni di inchiesta e indagini giudiziarie. Tra queste il processo contro sette membri della Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi, accusati di aver rassicurato eccessivamente i cittadini dell’Aquila prima del terremoto del 2009. A seguito di tale sentenza, i sette esperti si sono dimessi dalle rispettive cariche all’interno della Commissione.