La trasformazione politica di Mario Vargas Llosa

L'evoluzione politica del celebre scrittore e drammaturgo, dal comunismo alla destra. Dura la sua critica alla politica italiana

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Mario Vargas Llosa è uno scrittore e drammaturgo di fama internazionale. Nato nel 1936 ad Arequipa, in Perù, è stato in seguito naturalizzato spagnolo. Nel 2010 ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura, ma il suo nome è particolarmente citato anche nel mondo della politica. Proviamo quindi a comprendere il suo approccio all’impegno politico, che lo ha visto nel tempo trasformare la propria posizione.

Dal comunismo al centro-destra

L’impegno politico di Mario Vargas Llosa ha avuto inizio in maniera evidente negli anni Cinquanta. Al tempo sostenne in maniera aperta la rivoluzione cubana di Fidel Castro. Simpatizzava per gli ideali comunisti.

Tutto cambiò, però, dopo l’affaire Padilla. Il celebre poeta Heberto Padilla venne arrestato e costretto a pubblica autocritica per aver scritto contro la Rivoluzione e il castrismo. Ciò allontanò numerosi intellettuali, tra i quali anche Sartre, Moravia e Fellini, che firmarono una lettera di critica al governo cubano. Se ne tenne invece ben fuori Gabriel Garcia Marquez (lui e Vargas Llosa non si sono parlati per 30 anni, ndr).

Negli anni Ottanta, invece, l’autore peruviano si è avvicinato a posizioni neoliberiste. Rinnegate del tutto le idee giovanili. Anche in questo caso, però, tutto è cambiato ancora una volta. È il 1987, e le intenzioni del governo di Alleanza Popolare Rivoluzionaria Americana di nazionalizzare le banche spinsero al destra peruviana ad agire. Si aggregò al movimento di protesta lanciato da Vargas Llosa con il suo Movimento Libertad.

Ebbe così inizio la sua carriera politica. Candidato di una coalizione di centro destra, perse le elezioni in Perù contro Alberto Fujimori. Fu così che decise di chiedere la cittadinanza in Spagna, dove lavorava da tempo.

Critiche a Berlusconi

Nel 2013 Mario Vargas Llosa commentò la situazione politica italiana, spiegando come fosse incomprensibile, vista dall’estero. Parlando di Berlusconi, spiegò a Repubblica come la figura dei politici fosse cambiata radicalmente. Occorre essere istrioni per essere votati, superando l’esame dell’immagine, non dell’idea.

La figura di Berlusconi lo interessava particolarmente, perché al centro di vicende che riteneva assurde: “In qualsiasi Paese, dopo il terzo grado di giudizio una persona uscirebbe dalla scena politica”.

Vedeva una politica totalmente degradata, conseguenza della scomparsa della cultura tradizionale, fondamentale per riconoscere i valori da rispettare. È così che tutto è stato stravolto, portando al potere politici istrioni e buffoni.

Parole che affondano le radici in una profonda depressione nell’osservare lo stato dell’Italia, uno dei Paesi dalla più ricca tradizione culturale: “Com’è possibile che sia governata da una classe politica così mediocre? Berlusconi è un buffone da commedia d’arte. Un personaggio caricaturale”.

Definendosi un liberale di destra, ha spiegato come non si sentisse affatto rappresentato dal Cavaliere. La sua immagine di riferimento, in quella fase della vita, era Margaret Thatcher. Nel 2013 indicava l’estremo pericolo del populismo, ormai divenuta l’unica espressione politica vincente. Un virus, lo ha definito, capace di distruggere le istituzioni e la democrazia. La soluzione? “Cito Karl Popper. In un saggio scriveva come ai politici si debba chiedere di fare il minor danno possibile. La crisi che vive l’Europa è la dimostrazione che la politica è enormemente distruttiva”.