Dopo l’approvazione del 15° pacchetto di sanzioni contro la Russia, e mentre lavora già al 16°, l’Unione europea ha rinnovato a grandissima voce il proprio impegno per l’adesione dell’Ucraina. Addirittura aprendo sul cosiddetto “cluster dei fondamentali” all’inizio del 2025 e su altri cluster durante lo stesso anno.
Nulla di trascendentale, ma una decisa accelerazione nell’iter di ingresso ucraino nell’Ue. Almeno a parole, visto che in realtà un eventuale ancoraggio del Paese alla comunità europea – soggetto economico e non geopolitico – sarebbe un boccone assai più digeribile per la Russia piuttosto che un’adesione alla Nato. Ed è proprio su questo delicato equilibrio che si gioca una sorta di “patto” non scritto messo sul tavolo dagli Stati Uniti.
Cluster e requisiti, come funziona l’iter di adesione all’Ue
Innanzitutto è bene chiarire un po’ di termini. Abbiamo parlato di cluster e fondamentali in rapporto all’adesione di uno Stato all’Unione europea. Di cosa si tratta? Quando un Paese vuole aderire all’Ue, deve passare per un esame analitico dell’acquis comunitario, definito screening. Si tratta, in pratica, della fase di preparazione dei negoziati di adesione. Per acquis comunitario si intende l’insieme dei diritti, degli obblighi giuridici e degli obiettivi politici che accomunano e vincolano gli Stati membri dell’Unione europea.
Il processo di screening è suddiviso in 35 capitoli, raggruppati a loro volta in sei cluster. Questo pacchetto funge da base per i negoziati bilaterali fra l’Unione e gli Stati candidati. In tal senso, lo screening si configura come un passaggio formale e tecnico condotto dalla Commissione Ue per preparare le trattative di adesione. Tale passaggio consente ai Paesi candidati di familiarizzare con l’acquis e gli obblighi che esso comporta, proprio perché lo stesso Stato candidato deve essere in grado di attuare l’acquis. Uno screening ulteriore, e di conseguenza ulteriori cluster, hanno luogo nel corso dei negoziati. Anche per aggiornare le norme in caso di aggiornamento del diritto comunitario.
Miliardi di euro e adesione, la promessa di von der Leyen a Kiev
Ora siamo in grado di inquadrare meglio le dichiarazioni rilasciate da Ursula von der Leyen alla plenaria del Parlamento europeo, in una seduta in gran parte dedicata alla postura di Bruxelles nei confronti delle guerre in corso e dei Paesi in esse coinvolti. A partire proprio dall’Ucraina, grande protetta di Usa e Ue nel suo conflitto di resistenza contro la Russia. In un momento storico in cui gli Stati Uniti, stanchi e bisognosi di ridurre la sovraesposizione su più fronti, attendono il nuovo corso promesso dal presidente eletto Donald Trump, l’Unione europea appare sempre più divisa anche politicamente. Il rinnovo dell’esecutivo von der Leyen è passato col minimo dei voti e la sua missione mediatrice ne risulta già compromessa. Ciononostante, Washington conta sulla capacità degli Stati Ue di sobbarcarsi il sostegno a Kiev, anche nel futuro dopoguerra e al netto delle divisioni e delle rivalità interne e della crisi del motore tedesco.
Alla numero uno della Commissione Ue toccava dunque un cambio di passo, almeno retorico. Se il governo di Volodymyr Zelensky, di fatto a capo di uno Stato fallito che ha bisogno vitale dei finanziamenti esteri, confermerà gli “enormi progressi verso l’adesione alla nostra Unione”, si potranno aprire ufficialmente i negoziati già nei primi mesi del 2025. A tal proposito Bruxelles verserà a Kiev 13 miliardi di euro l’anno prossimo e, a partire da gennaio, inizierà a trasferire la parte comunitaria del prestito del G7, finanziata con i proventi delle attività e dei beni immobilizzati. In tutto si parla di oltre 18 miliardi di euro per il 2025. Nei calcoli dell’esecutivo Ue, questo impulso dovrebbe garantire all’Ucraina stabilità economica e finanziaria fino alla fine del prossimo anno e libererà spazio fiscale per l’acquisto di attrezzature militari. In altre parole, “la strategia di Vladimir Putin per spingere Kiev nel disastro finanziario è completamente fallita”, ha sentenziato von der Leyen. Retorica allo stato puro, ma serve anche quella.
Il piano europeo passa anche dalla sfida più immediata per un’Ucraina che vuole rimettersi a posto socialmente ed economicamente, al fine di poter entrare nell’Ue: la ricostruzione del sistema energetico, pesantemente danneggiato dai bombardamenti russi. Finora l’Ue ha fornito a Kiev migliaia di generatori di corrente, trasformatori, componenti elettrici e milioni di lampadine a Led. “Ma dobbiamo fare di più”, ha sentenziato la von der Leyen, che chiederà al Consiglio europeo di potenziare ulteriormente la rete di connessione e facilitare la generazione decentrata di elettricità. Intanto il Fondo Monetario Internazionale ha stimato il deficit di finanziamento dell’Ucraina a oltre 42 miliardi di dollari per il 2025. Colmare questo gap sarà la vera sfida per l’Ue, sempre che la presidenza Trump e le frizioni interne tra Stati non inceppino il meccanismo.
Lo “strano gioco” tra Ucraina, Ue, Usa, Nato e Russia
L’Ue è una costruzione dell’egemonia americana sul continente europeo. In pratica il braccio politico degli Usa in Europa, mentre la Nato ne rappresenta il braccio armato. Al momento della riunificazione della Germania, si decise di farne il centro della nuova comunità economica europea, mantenendola tuttavia divisa al suo interno e spogliandola di qualunque autonomia strategica o soggettività geopolitica nei trattati internazionali. In altre parole: nulla si muove che gli Stati Uniti non vogliano. E ora gli Stati Uniti vogliono sedersi al tavolo coi russi, con gli ucraini in piedi in seconda fila. Manca meno di un mese all’insediamento ufficiale di Trump alla Casa Bianca. In questo frangente Mosca tenta di conquistare Pokrovsk e cementare così la sua posizione di vantaggio territoriale, mentre Kiev usa le armi a lungo raggio fornite dagli europei dietro approvazione americana.
Allo stesso tempo, l’Occidente a guida statunitense fa in modo che i russi non si indispettiscano troppo prima dell’avvio dei negoziati, che dovrebbe avvenire nei primi mesi del 2025. Il Cremlino ha posto una condizione sopra ogni altra: la neutralità dell’Ucraina, ossia la garanzia che il Paese non entrerà nella Nato. Ovviamente si tratta di una cosa che non può essere accettata pubblicamente, anche se Trump si è mostrato d’accordo in linea di principio. In scia agli apparati, vale dire i veri decisori statunitensi (altro che il presidente). Come fare dunque per tenere legata a sé l’Ucraina e al contempo accordarsi coi russi? Facile, lasciando che sia l’Unione europea a tirare Kiev dentro l’Occidente, ma secondo una partnership economica e non militare. In questo modo il Cremlino potrebbe accettare le condizioni di un cessate il fuoco senza che i fucili tornino a cantare tanto presto. Con l’Ucraina che dovrà accontentarsi di intraprendere un percorso europeo e non atlantico.
Ma allora l’Ucraina entrerà o no nell’Ue?
Nonostante i proclami di Bruxelles, potrebbero volerci anni, se non decenni, per un compiuto ingresso dell’Ucraina nell’Ue. Al momento il Paese invaso ha intavolato negoziati su 35 materie per armonizzare il sistema nazionale alle norme comunitarie e deve ancora finire di partecipare a trattative bilaterali con ogni singolo Stato membro. Il governo ucraino aveva compilato da tempo i documenti necessari per la candidatura, consegnando il secondo questionario compilato il 9 maggio 2022. Per riuscire nell’intento, Kiev ha bisogno del sostegno di tutti i 27 Stati Ue. Se però da un lato alcuni di questi sostengono apertamente la prospettiva, come l’Italia, altri tentennano ancora. Secondo le norme attuali, per aderire all’Unione uno Stato deve:
- essere uno Stato europeo (articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, noto anche come Trattato di Maastricht);
- rispettare i principi di libertà, di democrazia, di rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché dello Stato di diritto (articolo 6);
- rispettare una serie di condizioni economiche e politiche conosciute come criteri di Copenaghen (tra cui l’esistenza di un’economia di mercato funzionante e la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Ue).
E qui subentrano i primi grossi problemi: l’Ucraina è un Paese tecnicamente fallito, che ha bisogno vitale dei finanziamenti esterni per sopravvivere. Gli aiuti che l’Occidente invia a Kiev non sono infatti di natura esclusivamente militare, ma anche finanziario per sostenere l’intera macchina statale. Anche l’impostazione dello Stato di diritto non appare cristallina, per usare un eufemismo, nonostante il parere positivo della Commissione Ue, come dimostra il dibattito sull’estensione dei poteri presidenziali di Zelensky (scaduti da tempo) per via di un’interpretazione di una legge marziale non proprio chiarissima. Alla fine della fiera, però, Bruxelles sembra aver deciso di sbandierare l’adesione dell’Ucraina. Il motivo è senza dubbio propagandistico, di risposta a una Russia percepita come sempre più minacciosa al confine orientale dell’Ue, e in concomitanza con un maggiore peso politico e militare assunto da Polonia e Stati Baltici in ambito Nato.
La Commissione, da parte sua, è l’ultima a fissare i parametri per ogni capitolo e le date per il raggiungimento degli obiettivi in ciascuno dei 35 ambiti. E ha già fatto capire di voler dare semaforo verde a Kiev facendo larghissimi compromessi. In questo modo rischia però di scatenare la dura reazione degli altri Paesi in attesa di una risposta sull’adesione. Per citare un esempio calzante, alla Croazia è servito un intero decennio per completare il tutto, nonostante fosse uscita da un bel pezzo dal caos delle guerre balcaniche degli Anni Novanta. Motivo per cui Bruxelles ha annunciato l’avvio di un percorso simile anche per l’Albania, tassello fondamentale per contrastare le influenze turca e russa nei Balcani e per arginare l’emergenza migratoria. Ma questa è un’altra storia.