Israele si dice aperto al cessate il fuoco, ma non molla il Libano

Netanyahu condivide gli obiettivi Usa per una tregua, ma i raid proseguono anche in Siria. Con conseguenze terribili, sulla scia di Gaza: si registra il doppio di vittime fra i bambini rispetto alla guerra del 2006

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Israele vuole diventare “Grande” e per farlo deve spezzare il contenimento che l’Iran gli ha costruito intorno supportando le milizie della cosiddetta Mezzaluna sciita. Compreso il gruppo Hezbollah, il cui auspicato annientamento ha spinto lo Stato ebraico a bombardare il Libano come mai prima d’ora.

Mentre prosegue la pioggia di fuoco su nemici e civili, il premier Benjamin Netanyahu afferma di condividere gli obiettivi americani per un cessate il fuoco in Libano.

I raid di Israele su Libano e Siria non si placano

Da lunedì i raid israeliani hanno provocato la morte di più di 700 persone nel Paese confinante, mentre migliaia e migliaia di residenti si affannano nella fuga verso la Siria. Ma anche la Siria è tornata nel mirino dei missili di Tel Aviv, così come le postazioni sciite in Iraq. Da questi due Paesi passano quasi tutti i rifornimenti diretti dall’Iran ai suoi satelliti Hamas e Hezbollah. In Siria e Iraq sono inoltre presenti decine di basi militari e siti di addestramento realizzati e gestiti dai pasdaran.

L’ultimo bombardamento israeliano a Kfer Yabous, al confine tra Siria e Libano, ha provocato la morte di diversi soldati siriani. Ennesimo segnale della volontà di Tel Aviv di proseguire la guerra su sette fronti annunciata mesi fa, nella determinazione di ricostruire la sua capacità securitaria di deterrenza che è alla base del processo di normalizzazione con le monarchie arabe, incarnato dagli Accordi di Abramo. Processo che, all’opposto, l’Iran vuole distruggere armando le fazioni sciite in tutto il Medio Oriente.

Netanyahu concorda con gli Usa sul cessate il fuoco, ma…

Nella notte l’ufficio del primo ministro israeliano Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione sui “resoconti errati” in merito all’iniziativa di cessate il fuoco mediata da Stati Uniti e Francia. “È importante chiarire che, all’inizio di questa settimana, Washington ha informato Israele dell’intenzione di avanzare, insieme ad altri partner internazionali e regionali, una proposta di cessate il fuoco in Libano. Lo Stato ebraico condivide gli obiettivi dell’iniziativa, volti a consentire alle persone di tornare in sicurezza nelle proprie case lungo il confine settentrionale e apprezza gli sforzi degli Usa in questo senso”.

Il governo Netanyahu ha poi riferito di un incontro tra funzionari israeliani e americani per discutere la proposta di tregua e che i colloqui proseguiranno nei prossimi giorni. Retorica pura, alla quale siamo ormai ampiamente abituati. In realtà Netanyahu ha un piano preciso per un “Grande Israele”, che estenda il suo controllo sull’intera fascia di territorio che va dal Mediterraneo alla Valle del Giordano. Inglobando dunque anche la Cisgiordania, dove presto si registrerà un’altra escalation.

Al momento lo Stato ebraico è però dilaniato da proteste e fratture interne che minacciano la sopravvivenza politica del premier, il quale non può più ignorare il deterioramento dell’immagine del Paese a livello internazionale. La mossa calcolata di apertura a negoziati per il Libano si inserisce in questo solco di propaganda. Un bluff “chiamato” anche dalle autorità libanesi. Il presidente del Parlamento, Nabih Berri, ha infatti accusato il primo ministro israeliano di “mentire a tutti e di tergiversare ritirando la sua approvazione dell’iniziativa statunitense” riguardante un cessate il fuoco di 21 giorni tra lo Stato ebraico e il partito sciita filo-iraniano Hezbollah. In un’intervista al quotidiano libanese francofono L’Orient Le Jour, ha sottolineato che “un cessate il fuoco di 21 giorni deve valere sia per il Libano sia per Gaza”.

I bambini uccisi in Libano sono il doppio del 2006

L’intensa offensiva israeliana in Libano, al momento non ancora sfociata in un’invasione terrestre, sta causando tragedie umanitarie terribili sulla scia di quelle che continuiamo a vedere nella Striscia di Gaza. Secondo l’Unicef, il numero medio di bambini uccisi al giorno nel Paese dei cedri questa settimana è più che doppio rispetto al numero di quelli uccisi durante il devastante conflitto israelo-libanese del 2006. Si stima che durante la guerra di 18 anni fa, durata 33 giorni, siano morti 400 bimbi, circa 12 al giorno. Secondo il ministero della Sanità libanese, 50 piccoli sono stati assassinati nell’arco di soli due giorni, lunedì e martedì di questa settimana. Senza contare tutti i minori che si ritengono rimasti sepolti sotto le macerie degli edifici distrutti in tutto il Paese.

L’escalation degli ultimi giorni ha provocato migliaia di morti e feriti, sfollamenti di massa, danni ingenti alle infrastrutture e una paura inimmaginabile nella vita quotidiana delle persone in tutto il Paese. “Con il proseguire di questa settimana la devastazione aumenta, accumulando tragedia su tragedia”, ha dichiarato Edouard Beigbeder, Rappresentante dell’Unicef in Libano. “Gli attacchi in Libano stanno uccidendo e ferendo i bambini a un ritmo spaventoso e devastano ogni senso di sicurezza per centinaia di migliaia di minori in tutto il Paese”.

La tragedia delle famiglie libanesi

Il conflitto è l’ultima calamità che attanaglia la situazione di decine di migliaia di famiglie libanesi. Negli ultimi anni il Paese è stato colpito da una serie di crisi inarrestabili, tra cui la massiccia esplosione del porto di Beirut, l’impatto della pandemia da Covid-19 e il quinto anno di un crollo economico paralizzante che ha fatto impennare i tassi di povertà. Un’indagine condotta dall’Unicef nel novembre 2023 ha evidenziato che più di 8 famiglie su 10 hanno dovuto chiedere un prestito per acquistare generi alimentari di prima necessità. Nel Governatorato del Sud, il più bombardato nel nuovo inasprimento delle ostilità, il 46% dei nuclei familiari ha dichiarato che i propri figli erano ansiosi e il 30% depressi.

Centinaia di migliaia di persone sono state sfollate nelle comunità ospitanti e più di 70mila sono stipate nei rifugi, secondo l’Unità di gestione del rischio di disastri del Libano. Prima delle intense operazioni militari di questa settimana, più di 111mila persone, tra cui 39mila bambini, erano già state allontanate da villaggi e città del sud del Libano. È molto probabile che a breve verranno sfollate per la seconda volta. Intanto la crisi umanitaria ripercorre anche in Libano le tragiche orme di Gaza. Tra gli ingenti danni alle infrastrutture civili, le stazioni di pompaggio dell’acqua costruite o riabilitate dall’Unicef nei governatorati della Beqa’ e del Sud sono state danneggiate, lasciando almeno 30mila persone senza accesso all’acqua potabile. Gli aiuti essenziali offerti alla popolazione da Unicef e altre organizzazioni non bastano. Semplicemente, non bastano.