Israele-Hezbollah, è scontro aperto: ma ancora nessuno vuole l’escalation

Le Idf israeliane sferrano all'alba un attacco preventivo contro il Libano, Hezbollah risponde con 320 droni e missili. Tanto fuoco, ma l'allargamento del conflitto spaventa il mondo

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 25 Agosto 2024 12:52

Come avevamo previsto e anticipato, nonostante la psicosi generale l’Iran non ha attaccato direttamente Israele, continuando a delegare il contenimento di quest’ultimo ai miliziani fondamentalisti della Mezzaluna sciita (o Asse della Resistenza in dizione filo-iraniana).

Come avevamo previsto e anticipato, il protagonista principale della nuova fase del conflitto è diventato Hezbollah. Nonostante gli inviti statunitensi alla distensione, lo Stato ebraico ha lanciato un pesante attacco preventivo contro postazioni nel confinante Libano, scatenando la reazione degli islamisti con centinaia di razzi. Un deciso innalzamento dello scontro, ma ancora non l’incipit di una guerra aperta e allargata.

L’attacco di Israele in Libano

All’alba del 25 agosto le Idf israeliane hanno sferrato una serie di attacchi aerei in Libano, prendendo di mira obiettivi di Hezbollah in una mossa che è stata definita preventiva dal portavoce dell’esercito Daniel Hagari. La giustificazione è che il gruppo terroristico sarebbe stato pronto per un attacco imminente contro civili israeliani, che nel nord del Paese vivono ormai sotto costante allerta. Decine di aerei da guerra hanno partecipato all’attacco, ha dichiarato ancora Hagari, descrivendo il raid come “un atto di autodifesa per eliminare le minacce”. Secondo il Times of Israel, Hezbollah avrebbe pianificato di lanciare missili contro la base di Glilot, nei pressi di Herzliya, dove si trovano il quartier generale del Mossad e sedi di unità dell’intelligence israeliana.

Ancora una volta, il megafono dell’intransigenza israeliana è stato il premier Benjamin Netanyahu: “Siamo determinati a fare di tutto per difendere il nostro Paese, per far rientrare a casa in sicurezza gli abitanti del confine settentrionale. E continueremo a seguire una semplice regola: chiunque ci faccia del male, noi gli facciamo del male“. Anche senza che Hezbollah abbia sferrato il fantomatico attacco missilistico paventato da Tel Aviv, le ostilità tra Idf e miliziani libanesi sono state le più consistenti dall’ottobre 2023, quando Hezbollah aveva aperto il fuoco sugli insediamenti israeliani settentrionali in solidarietà con Hamas. Più di 80mila israeliani sono stati evacuati dalla zona di confine e le due parti si sono scambiate colpi di fuoco quasi quotidianamente nelle ultime settimane.

L’intenzione dello Stato ebraico di colpire Hezbollah, dopo settimane di scontri a bassa intensità, era diventata palese dopo la simulazione di attacco terrestre in territorio libanese a inizio luglio. Israele vuole far capire a tutti, alleati e nemico, che fa sul serio. Dunque non manca occasione di sbandierare la propria intransigenza militare. Questo perché la sconfitta tattica subita da Hamas il 7 ottobre 2023 ha incrinato fortemente la sua immagine di grande potenza nucleare del Medio Oriente, mettendo a rischio lo strategico processo di normalizzazione diplomatica con le monarchie arabe tramite gli ormai celebri Accordi di Abramo. Ma al contempo sa benissimo che una guerra aperta con Hezbollah sarebbe un autentico disastro.

La risposta di Hezbollah

Poco dopo, Hezbollah ha lanciato oltre 300 fra razzi e droni contro lo Stato ebraico come rappresaglia per l’uccisione di uno dei suoi comandanti di alto livello a Beirut, Fuad Shukr, facendo scattare le sirene antiaeree nel nord di Israele. La Difesa ha dichiarato lo stato di emergenza di 48 ore in tutto il Paese e disposto la controrisposta: migliaia di lanciarazzi di Hezbollah sono stati colpiti simultaneamente da circa 100 jet da combattimento.

L’attacco del “Partito di dio” è stato dichiarato “per ora concluso” dagli stessi miliziani filo-iraniani, facendo come sempre scivolare il confronto nella propaganda. I fondamentalisti libanesi hanno infatti affermato che i droni esplosivi lanciati dal Libano sono volati verso i loro obiettivi previsti in quella che è la “prima fase” dell’offensiva, negando invece l’efficacia del raid preventivo israeliano. Le affermazioni di Tel Aviv “contraddicono i fatti sul campo e saranno confutate” dal leader del gruppo sciita Hassan Nasrallah in una conferenza stampa.

Perché lo scontro fra Israele e Hezbollah non è segnale di escalation

Il clamore dello scambio di fuoco, sicuramente più consistente del consueto, ha tutta l’aria della scontro scenografico e non di una volontà di escalation. Come già sperimentato a giugno, quando il livello degli scontri fra le due parti si era pericolosamente alzato e l’allarme era stato urlato in tutto il globo. E, alla fine, era tutto fuorché la miccia della tanto temuta guerra totale, che non conviene a nessuno. Al netto dell’aspetto irrazionale che caratterizza ogni conflitto.

Nonostante Israele gridi (facendosi sentire) di aspettarsi una “risposta più estesa” da parte di Hezbollah, non vuole rischiare di trovarsi sotto il fuoco pieno del maggiore arsenale degli agenti di prossimità dell’Iran in Medio Oriente, la cui potenza è 10 volte superiore a quella di Hamas (che Israele non è ancora riuscito a neutralizzare). Non a caso ad agosto lo Stato ebraico ha fatto in modo da mostrarsi in grado di combattere anche gli Houthi su tre fronti di guerra aperti contemporaneamente: a Gaza, in Libano e in Yemen. Si è trattato però anche in quel caso di propaganda e attacchi scenografici, che non hanno impensierito i miliziani islamisti né spostato gli equilibri del conflitto.

Anche dal punto di vista di Hezbollah l’escalation bellica non è lo scenario desiderato. Come l’Iran all’epoca del maxi attacco telefonato di aprile con 300 droni e missili, anche i miliziani libanesi hanno messo in atto un raid simbolico e spaventevole. Anche in questo caso si è trattato di un raid annunciato preventivamente, che desse così luogo a un’escalation controllata. L’attuale obiettivo principale, oltre ad aumentare la pressione sul nemico e vendicare pubblicamente l’affronto subìto per l’uccisione di Skukr, è quello di impedire un’invasione israeliana del sud del Libano. Hezbollah era certamente obbligato a rispondere allo Stato ebraico per mantenere la sua aura di potenza e deterrenza che dura almeno dal 2006.

Perché Hezbollah ci ha messo così tanto a rispondere?

Ma allora perché Hezbollah ha aspettato così tanto prima di replicare allo smacco israeliano? Per consentire ai negoziatori arabi e ai mediatori Usa-Qatar-Egitto di continuare a trattare la tregua a Gaza e lo scambio dei prigionieri. La pazienza è scaduta e l’opportunità si è presentata però alla fine dell’Arba’in, i 40 giorni di commemorazione per la morte dell’imam Ali, vista anche il vuoto prodotto dai colloqui del Cairo.

I tempi erano insomma maturi per lanciare un grande attacco missilistico, che mostrasse la grande potenza dell’esercito di Hezbollah senza oltrepassare la linea rossa dell’offesa imperdonabile. Di più: il raid libanese era talmente prevedibile (e previsto) che le forze israeliane sapevano tutto e sono intervenute immediatamente riuscendo a neutralizzare tutti i vettori avversari. Esattamente come nel “duello” dei cieli con l’Iran di qualche mese fa che, per suggestione astorica e anti-geopolitica, fece tremare mezzo mondo.

Perché Israele e Hezbollah sono nemici

Al di là del fare gli interessi militari dell’Iran, Hezbollah persegue una propria agenda e ha i suoi personali motivi per opporsi a Israele. Quest’ultimo e il Libano sono in stato di guerra da decenni, da quando lo Stato ebraico lanciò una devastante invasione nel 1982, inviando carri armati fino alla capitale Beirut, dopo essere stato attaccato a sua volta dai militanti palestinesi nel Paese. Israele ha poi occupato il Libano meridionale per 22 anni, finché non è stato cacciato proprio da Hezbollah nel 2000. Per questo motivo, in Libano il “Partito di Dio” è ufficialmente considerato un gruppo di “resistenza” incaricato di affrontare Israele, che Beirut classifica come uno Stato nemico. Ovviamente, dall’altro lato, gran parte del mondo occidentale ha designato Hezbollah come un’organizzazione terroristica.

Da allora le due parti si sono scontrate sporadicamente, fino alla grande escalation del 2006, quando Israele è intervenuto in forze nel sud del Libano dopo che Hezbollah aveva rapito due soldati israeliani. In quel conflitto furono uccisi più di mille libanesi, perlopiù civili, così come 49 civili israeliani e 121 soldati. Due anni dopo, Hezbollah restituì i resti dei militari rapiti in cambio del rilascio dei prigionieri libanesi e palestinesi nelle carceri israeliane, nonché dei corpi dei militanti detenuti da Israele. Un copione già visto, sì. Le ostilità tra Israele e Hezbollah sono cresciute nuovamente dopo il fatidico 7 ottobre. Ciò ha spinto Tel Aviv a entrare in guerra contro Hamas a Gaza con la ferocia che ben conosciamo, radendo al suolo gran parte degli insediamenti nella Striscia e uccidendo oltre 36mila civili palestinesi. Hezbollah ha quindi potuto aggiungere come giustificazione della sua “guerra giusta” anche la causa palestinese.

La capacità militare del gruppo libanese è cresciuta dal 2006, quando faceva affidamento in gran parte sugli imprecisi razzi Katyusha di produzione sovietica. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, sostiene che il suo gruppo vanta più di 100mila combattenti e riservisti. Si ritiene inoltre che l’arsenale includa oltre 150mila razzi, che potrebbero sopraffare le difese di Israele nel caso scoppiasse una guerra totale. Hezbollah rappresenta dunque di fatto la più grande minaccia militare per lo Stato ebraico. Come ha dimostrato appunto nel 2006, quando resistette all’assalto a tutto campo di Tel Aviv. Da allora il gruppo libanese non ha fatto altro che rafforzarsi, accumulando armi sempre più sofisticate ed esperienza e combattendo al fianco del governo siriano. E incrementando anche il suo risentimento verso Israele e la sua “dottrina Dahiya” di guerra asimmetrica – dal nome di un quartiere di Beirut controllato da Hezbollah – che prevede di prendere di mira le infrastrutture civili.

Verso l’allargamento del conflitto in Medio Oriente?

Al di là della tensione altissima delle ultime ore, l’impianto strategico dei due contendenti rimane invariato. Hezbollah possiede un vasto arsenale di razzi e missili in grado di colpire ovunque in territorio israeliano. Kassem ha detto di non credere che lo Stato ebraico abbia la capacità o abbia preso la decisione di lanciare una guerra al momento. In ogni caso ha avvertito che anche se Tel Aviv intendesse lanciare un’operazione limitata in Libano, che si fermi al di sotto di una guerra su larga scala, non dovrebbe aspettarsi che i combattimenti restino limitati. Lo Stato ebraico “può decidere ciò che vuole: guerra limitata, guerra totale, guerra parziale“, ha detto il vice leader di Hezbollah, “ma deve aspettarsi che la nostra risposta e la nostra resistenza non siano all’interno di un tetto e di regole di ingaggio stabilite da Israele”.

Se lo Stato ebraico fa la guerra, “significa che non ne può controllare l’estensione o chi vi entra”. Questo sembra un apparente riferimento agli alleati di Hezbollah nel cosiddetto “Asse della Resistenza” sostenuto dall’Iran nella regione, che include gruppi armati in Iraq, Siria e Yemen. Questi gruppi e potenzialmente la stessa Teheran potrebbero entrare in gioco in caso di una guerra su larga scala in Libano, che potrebbe arrivare a chiamare in causa anche il più forte alleato di Israele, gli Stati Uniti. Scenario estremo e di scarsa probabilità, almeno al momento. L’escalation del conflitto non giova a nessuno e nessuno sembra volerla davvero, al di là dei proclami bellicosi. Ma negli scontri armati, lo abbiamo imparato, la componente irrazionale gioca un ruolo decisivo e imprevedibile.

Gli Stati Uniti, da parte loro, non ritengono che una “piccola guerra regionale” sia un’opzione realistica, perché sarà difficile impedire che si allarghi e si espanda. Tuttavia per la Casa Bianca sarà impossibile riportare la distensione al confine israelo-libanese senza prima aver concluso un cessate il fuoco a Gaza. Nonostante i proclami e le minacce odierne, Israele non avrebbe reale intenzione di invadere la parte di Libano controllata da Hezbollah. E, dall”altro lato della barricata, anche i fondamentalisti sciiti hanno tutto l’interesse a non accelerare l’inasprimento della contesa militare col nemico confinante. In altre parole a Iran e Hezbollah conviene che il conflitto resti a bassa intensità e tenga impegnato Israele a lungo, mentre dall’altra parte c’è più urgenza di inasprire il conflitto, ma manche l’opportunità e la forza necessarie.