Israele moltiplica i fronti di guerra e attacca (di nuovo) anche in Siria: perché?

Nella notte tra 8 e 9 settembre, lo Stato ebraico ha attaccato diversi obiettivi in terra siriana. Il vero bersaglio è la rete costruita dall'Iran nel Paese, che per motivi tutti suoi non reagisce ai raid israeliani

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Dopo averlo dichiarato per mesi, Israele ha messo in atto l’allargamento calcolato del conflitto in Medio Oriente. Il termine “calcolato” fa tutta la differenza del mondo perché, esattamente come l’acerrimo rivale Iran, lo Stato ebraico non vuole provocare l’escalation incontrollata.

Per questo motivo la potenza nucleare “si limita” a condurre raid contenuti, anche se la tragedia delle vite umane spezzate si perpetua nella criminale inazione dei cosiddetti mediatori. L’ultima offensiva di questo tipo è stata compiuta in Siria, dove nella notte tra 8 e 9 settembre si sono registrate decine di vittime tra morti e feriti.

Perché Israele lancia raid in Siria

La giustificazione degli attacchi israeliani è sempre la stessa: la scoperta, o anche solo il sospetto, che nella zona scelta per il raid si nascondano milizie iraniane o filo-iraniane. In questo caso si trattava dell’area di Masyaf, a ovest di Hama. Una zona in cui, secondo Tel Aviv, Teheran produce missili terra-terra di precisione che potrebbero minacciare direttamente il Paese. L’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr) ha infatti riferito che uno degli attacchi ha preso di mira un centro di ricerca scientifica a Masyaf e altri siti dove “le milizie e gli esperti iraniani sono di stanza per sviluppare armi in Siria“. I media locali hanno anche riferito di attacchi nei pressi della città costiera di Tartus, sede della più importante base navale della Marina russa.

Israele ha condotto offensive aeree all’interno della Siria fin dallo scoppio della guerra civile nel Paese nel 2011, prendendo di mira principalmente i tentativi di trasferire armi ai miliziani Hezbollah in Libano, o di impedire agli stessi combattenti iraniani di impiantarsi stabilmente a pochi chilometri dal confine israeliano. Dopo il maxi attacco da parte di Hamas del 7 ottobre 2023, lo Stato ebraico ha intensificato le sue ritorsioni militari contro obiettivi sostenuti dall’Iran in Siria, colpendo anche le difese aeree dell’esercito siriano. I raid israeliani vengono lanciati anche per impedire le consegne di armi da Teheran ai miliziani libanesi.

L’ultimo grande attacco israeliano in terra siriana prima di quello odierno risale ad aprile 2024, quando furono lanciati missili contro il consolato iraniano nella capitale Damasco, uccidendo alti comandanti militari. Fu l’episodio che poi scatenò la rappresaglia di Teheran con il grande e scenografico raid con 300 droni e missili. Una risposta “per l’onore” lanciata sempre nella totale consapevolezza preventiva del nemico, onde evitare l’escalation. L’Iran, da parte sua, non ha perso occasione per scagliarsi contro lo Stato ebraico anche con la consueta propaganda, condannando “i crimini del regime sionista, che vanno oltre i confini della Palestina”. Con tanto di appello alle Nazioni Unite, in una sorta di rovesciamento delle parti da commedia degli equivoci.

Perché la Siria è importante nel gioco di forze in Medio Oriente

Anni di sostegno da parte di Iran e Russia al governo del presidente siriano Bashar al Assad hanno garantito a quest’ultimo il controllo sulla maggior parte del Paese. Paese che è però diviso in zone in mano a diverse fazioni e che ospita basi americane (le principali sono Al Tanf, Al Omar e Al Shaddadi), iraniane (circa 125) e russe (oltre a Tartus, Ḥumaymīm/Kheimim, Tiyas e Shayrat). Proprio queste lacerazioni interne consentono il “gioco” israeliano, che cerca di destabilizzare il fragile mosaico siriano attaccando postazioni avversarie (anche in Libano) soprattutto dalle Alture del Golan. Senza che il regime di Assad sia in grado di intervenire.

Dal 2017, e ancor più dopo il 7 ottobre 2023, gli attacchi israeliani in Siria si sono intensificati, diventando quasi a cadenza settimanale, per contrastare la crescente presenza e influenza dell’Iran e di Hezbollah. Per visualizzare bene chi è nemico di chi: Iran, Hezbollah e il regime siriano sono alleati tra loro contro lo Stato ebraico e il suo principale sostenitore militare e finanziario, gli Stati Uniti. Nel cosiddetto Asse della Resistenza (o Mezzaluna sciita in dizione occidentale) anti-israeliano figurano anche gruppi armati in Iraq gli Houthi dello Yemen.

Secondo alcuni analisti è la Siria, più del Libano, a rappresentare il principale territorio da proteggere per l’Iran. Innanzitutto per la maggiore vulnerabilità degli obiettivi alla portata di Israele, ma anche perché in Siria i persiani hanno gli stivali sul terreno e il controllo effettivo di ampie porzioni di territorio. Il Paese è inoltre il “perno” delle rotte di rifornimento regionali che collegano Iran, Iraq e Libano.

La Siria diventerà il nuovo teatro della guerra?

La risposta è semplice, quanto orribile: la Siria è già uno dei campi di battaglia del Medio Oriente. Non l’unico, ovvio, e sicuramente quello più in ombra tra i teatri del conflitto. Come evidenziato da Hanin Ghaddar, senior fellow del Washington Institute, il Paese è da tempo un “campo aperto” per Israele, sostanzialmente privo di deterrenza. A differenza, ad esempio, del pur bersagliato Libano, nel quale permangono ancora taciute linee rosse da non superare con Hezbollah. Pena: uno sforzo bellico decisamente superiore e un’escalation militare dalle proporzioni catastrofiche.

In altre parole: finché la guerra a Gaza proseguirà, Israele continuerà a bombardare obiettivi siriani. Specialmente nei momenti in cui l’accanimento su altri territori risulterà troppo insistente e, dunque, possibile causa di un’escalation con l’Iran che ancora non si vuole. Ci si potrebbe chiedere perché il regime siriano non reagisce direttamente agli attacchi israeliani. Innanzitutto perché, pur avendo una propria agenda, risponde alle esigenze tattiche della potenza dirigente, cioè l’Iran. Poi anche perché il Paese reputa i raid israeliani “di basso profilo”, lanciati cioè per tenere alta la pressione su Teheran ma non con intenti distruttivi. Infine il Paese affronta ancora i postumi della sua lunga guerra civile con estrema difficoltà e forti timori per ciò che potrebbe accadere in caso di sovraesposizione militare. Anche per questo motivo, le sparute e timide risposte di Damasco a Israele sono consistite in qualche razzo lanciato oltre confine e atterrato su terreni deserti. Pura scenografia.

Con ogni probabilità il prossimo grande scontro sarà con Hezbollah, di gran lunga l’esercito più potente dell’intera rete filo-iraniana avversa a Israele e che ancora deve scatenare tutta la sua forza. Si tratta in sostanza dell’ultimo “scudo a distanza” per Teheran, da alzare e scatenare soltanto quando non ci saranno alternative e i tempi saranno maturi. Nel frattempo la Siria resterà base di retroguardia e insieme rampa di lancio per gli attacchi dei clientes dell’Iran verso Israele.